Società. Bassi: “Il welfare migliore per le famiglie è quello sussidiario”

Il presidente della Fafce evidenzia al Sir: “Serve un fisco che riconosca la rilevanza pubblica delle spese impegnate al servizio della famiglia”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Famiglie equilibriste”, cioè famiglie costantemente alla ricerca di un equilibrio dinamico tra un contesto socio-economico turbolento e transizioni familiari sempre più esposte a condizioni di vulnerabilità. È uno degli elementi emersi dall’ascolto delle famiglie italiane avviato “Nomisma Spazio sociale”, nell’ambito di “Sguardi famigliari”. In un tempo caratterizzato da transizioni radicali e crisi plurali, emerge sempre di più l’importanza dei legami, del bisogno di comunità e di uno sviluppo sostenibile non solo dal lato ambientale e della governance, ma anche dal lato sociale. Delle difficoltà delle famiglie in Italia parliamo con Vincenzo Bassi, presidente della Fafce, la Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa (Federation of Catholic Family Associations in Europe), che rappresenta 32 associazioni da 20 Stati europei.

Vincenzo Bassi (Foto Fafce)

Come aiutare le famiglie a vivere questo complesso periodo storico?

Le famiglie “naturalmente” e “storicamente” esprimono la loro vocazione “servendo”. Nessuno crea una famiglia se non vuole realizzare questa “vocazione” di servizio all’altro. Ricordiamo che il matrimonio è un “atto di dono di sé” (mater munus). È chiaro che questo percorso non deve essere un percorso “elitario”, per pochi eletti, ma una scelta di generosità. A questo proposito, Papa Francesco è stato chiaro nel suo indirizzo di saluto alla Fafce del 10 giugno: le famiglie non possono essere lasciate sole ma devono essere parte di comunità di famiglie, di rete di famiglie, con cui poter condividere un’esperienza di vita, di vocazione, che porta alla santità, senza essere eroi, ma solo persone normali che sanno essere generose.

Quali sono a suo avviso le categorie di famiglie più vulnerabili in questo momento nel nostro Paese?

Credo che le famiglie non possano essere divise in categorie, perché nessuna famiglia è perfetta e, nelle loro imperfezioni, tutte le famiglie sono fragili. Ciò detto, è evidente che le famiglie numerose vivono più spesso momenti di grande difficoltà economica, ma anche organizzativa (per esempio, durante la pandemia, le nostre case sono risultate inadeguate per le famiglie numerose che dovevano gestire la didattica a distanza). Ma non solo: anche la solitudine dei genitori anziani mette in grande difficoltà i figli, i quali, anch’essi troppo spesso soli, non si sentono adeguati a svolgere questo importante ruolo di cura e assistenza verso i propri cari.

Sulle difficoltà molto pesa la condizione economica delle famiglie, il 65% degli intervistati da Nomisma valuta il proprio reddito inadeguato per far fronte alle necessità primarie, quali la spesa, l’affitto, il mutuo. Si arriva al 72% nel caso di famiglie con almeno un componente non autosufficiente. Che tipo di welfare potrebbe aiutare le famiglie ad arrivare più serenamente a fine mese?

Innanzitutto, il welfare migliore per le famiglie è quello sussidiario: le famiglie aiutano le famiglie, perché solo le famiglie conoscono i reali bisogni delle famiglie. Tuttavia, un tale welfare deve permettere alle famiglie di poter essere autosufficienti e, quindi, tornare a risparmiare. Infatti, le famiglie, solo così, vivranno il futuro con meno paura, trovando risorse anche per aiutare le famiglie in difficoltà. Pertanto, pur riconoscendo l’importanza degli aiuti statali, ciò che fa la differenza è la giustizia fiscale, ovvero un fisco che riconosca la rilevanza pubblica delle spese impegnate al servizio della famiglia. Oggi, per esempio, in Italia, si vive in una situazione di estrema ingiustizia fiscale per le famiglie.

L’indagine ha individuato le cosiddette “famiglie sandwich”, cioè quelle famiglie o quegli adulti che, per posizione generazionale, ogni giorno si prendono cura allo stesso tempo dei figli e dei genitori. Perché è sempre così difficile la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura?

Credo molto nella responsabile capacità di cura e assistenza delle comunità di famiglie.

Occorre ispirarsi alle esperienze dei nostri villaggi del passato, nel senso di ricreare non i villaggi (sarebbe irrealistico), ma la qualità dei rapporti che nei villaggi le persone e le famiglie potevano vivere. In questo senso, un modo per iniziare a migliorare la qualità delle relazioni può essere quello di ripensare le nostre abitazioni, che sono diventate “appartamenti” e meno case, isolando le nostre famiglie e persone. L’isolamento rende irrisolvibili i problemi e la solitudine è la peggiore malattia sociale ed economica della nostra epoca. Ripartiamo da questa analisi e tentiamo di immaginare un futuro con le famiglie e le reti di famiglie, più protagoniste e responsabili.

Dalla ricerca emerge che quasi una famiglia su quattro negli ultimi sei mesi ha riscontrato difficoltà nella gestione educativa dei figli e il 20% segnala la presenza di problemi legati alla sfera psicologica e comportamentale. Perché oggi si fa fatica tanto sull’educazione?

In una società individualistica come la nostra, educare i figli è complicato, se per educazione si intende insegnare e preparare i nostri figli ad agire per il bene comune. Oltretutto, l’educazione non è un’attività meramente intellettuale: occorre essere maestri, ma anche testimoni. È perciò vero che testimoniare la virtù e suscitare il senso del bene comune oggi è più complicato. Una soluzione efficace è proprio quella di

aiutare i nostri figli a vivere nella comunità approfondendo e non solo “consumando” relazioni sociali.

Si tratta di un percorso umano ed educativo che non si può dare per scontato soprattutto in un’epoca in cui molti dei nostri figli sono figli unici o figli di coppie separate.

Secondo lei negli ultimi anni quali sono stati i passi avanti più significativi a favore delle famiglie e quali sono oggi ulteriori vie praticabili per prendersi cura delle categorie più fragili del sistema famiglia?

Va detto che finalmente oggi, anche a causa del presente inverno demografico, si può parlare di famiglia e di funzione della famiglia in modo non divisivo. Non vi è sviluppo sostenibile senza equilibrio intergenerazionale e non vi è equilibrio intergenerazionale senza famiglie e comunità di famiglie protagoniste della nostra società. Questo incide positivamente sull’opinione pubblica. In Italia, l’assegno unico è un esempio positivo, votato all’unanimità, un esempio che tuttavia non è perfetto e va migliorato in molti dei suoi aspetti. Per il futuro mi auguro comunque che la società civile, le nostre comunità siano in grado, con l’aiuto delle associazioni familiari, di rigenerare le loro istituzioni oppure di crearne di nuove, più attente al servizio e alla mutualità familiare.

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