Criminalità e Pnrr. Cafiero de Raho: “La politica pensi a nuove e più moderne forme di contrasto per arrestare l’infiltrazione mafiosa nell’economia”

L'ex procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo al Sir: "Le mafie si rendono invisibili attraverso l’intermediazione di soggetti insospettabili. Investire di più sul contrasto alla corruzione"

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Occorre che la politica parli di mafie e costruisca nuovi progetti antimafia. Non basta affidarsi alla specializzazione della magistratura e delle forze di polizia. Bisogna pensare e investire di più sul contrasto alla corruzione e alle mafie, che possono essere battute se vi è volontà di batterle, anche prosciugando i fiumi di illegalità in cui la corruzione e le mafie prosperano”. Lo dice al Sir Federico Cafiero de Raho, già procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, incentrando la propria riflessione sui tentativi delle mafie di mettere le mani sui soldi del Pnrr.

Dal ministro dell’Interno Lamorgese al premier dimissionario Draghi, sono stati diversi gli appelli pronunciati sul rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dei fondi del Pnrr. Ma cosa potrebbe concretamente fare? Quali sono i rischi?
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza assicura risorse straordinarie per il conseguimento di importanti obiettivi, che consentiranno al nostro Paese di crescere attraverso investimenti in settori e territori diversi. È necessario, però, impedire alle mafie di condizionare le procedure di appalto. Quando si parla di mafie, bisogna ricordare che sono organizzazioni criminali dotate di una struttura “militare” ed una economico-imprenditoriale. Le mafie hanno investito in numerosi settori: nelle costruzioni, nel ciclo dei rifiuti, nei trasporti, nella distribuzione di generi alimentari, nel settore sanitario, nella filiera agroalimentare, nella produzione dell’energia eolica, nell’intermediazione della manodopera, nella ristorazione e negli alberghi, in imprese multiservizi.

Le mafie nell’economia si rendono invisibili attraverso l’intermediazione di soggetti insospettabili o, comunque, apparentemente distanti dalle organizzazioni criminali.

Negli affari sviluppati nei territori diversi da quelli di origine, la mafia non minaccia, né spara; usa la corruzione e la convenienza economica come strumenti di aggregazione. La forza di intimidazione emerge solo quando tali strumenti non riescono a piegare l’interlocutore. Gli appalti pubblici sono il campo privilegiato dalle mafie. Basta considerare che nel 1982, la legge La Torre-Rognoni, nel descrivere l’associazione mafiosa, tra le finalità, indicò, non solo il programma criminoso, ma, conformemente ai risultati dell’osservazione scientifica sui contenuti giurisprudenziali riguardanti la dimensione economica del fenomeno mafioso, “il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso “Cosa nostra” e “il clan dei Casalesi”, per citare due esempi di storia giudiziaria, erano già dotati di una struttura economico-imprenditoriale finalizzata all’acquisizione di appalti pubblici. Le mafie, oggi, quindi, non hanno cambiato pelle, ma il fenomeno dell’infiltrazione nell’economia legale è colto con maggiore continuità dalle indagini specializzate della polizia giudiziaria sempre più attrezzata per contrastare questo fenomeno.

Come potrebbero insinuarsi le mafie nelle maglie delle strutture amministrative?

La corruzione è il principale strumento per stringere rapporti con esponenti delle amministrazioni pubbliche. In tale ambito ciò che conta non è più la forza di intimidazione del sodalizio criminale, ma il denaro, l’enorme ricchezza accumulata. Attraverso gli accordi corruttivi vengono pilotate le gare di appalto. L’appoggio compiacente di funzionari pubblici riduce la necessità di ricorrere a tecniche di manipolazione delle gare particolarmente sofisticate. Tra le tecniche più frequenti possono annoverarsi la redazione di capitolati contenenti specifiche caratteristiche possedute soltanto dall’impresa che si intende favorire; la formazione pilotata delle commissioni aggiudicatrici; l’adozione sistematica di procedure di rinnovo; la partecipazione di cartelli di imprese.

E, a suo avviso, come si può evitare che ciò si verifichi?

La “trasparenza” e la “pubblicità” delle regole sono le prime, basilari misure “anticorruzione”. La corruzione si diffonde laddove nelle pubbliche amministrazioni vi è opacità di azione e farraginosità nell’organizzazione. La politica e le pubbliche amministrazioni, che intendono allontanare il rischio di corruzione, impongono regole chiare, informando la collettività sulla propria azione e offrendo canali informativi per la segnalazione “protetta” delle irregolarità, tutelando il segnalante. La burocratizzazione nella pubblica organizzazione rende al cittadino difficile l’esercizio del diritto e quindi l’accesso ai servizi e alle attività, agevolando la diffusione della corruzione. Occorre nelle pubbliche amministrazioni l’individuazione e l’applicazione di modelli di responsabilità e controllo in grado di rilevare le procedure anomale e escludere irregolarità.

Quali controlli si possono esercitare sui finanziamenti, sui bandi e nella scelta delle ditte?

Al fine di eseguire seri controlli sugli appalti è necessario disporre di una banca dati riguardante tutte le procedure con i dati identificativi dei soggetti economici partecipanti e le relative offerte; solo il confronto dei dati riguardanti gli appalti e i soggetti economici partecipanti alle gare potrà far emergere le irregolarità e l’operatività di “cartelli di imprese”, governati dalle regie mafiose, come è emerso in alcune indagini penali, che hanno evidenziato questo meccanismo come il maggior rischio di infiltrazione “invisibile” delle imprese mafiose. Nell’ambito dei controlli assumono grande rilievo le indagini di prevenzione e repressione penale sviluppate dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia di Stato, dai Carabinieri, dalla Direzione investigativa antimafia, dalla Magistratura e, nello specifico campo della prevenzione, dalle Prefetture, con la straordinaria attività di approfondimento, che si traduce nelle numerose “interdittive antimafia”. Nell’ambito delle indagini preventive o penali, significativo è il ricorso alle intercettazioni preventive come a quelle probatorie; altro importante strumento è l’infiltrazione degli agenti sotto copertura.

La creazione nel nostro Paese di un organismo anticorruzione, l’Anac, conformemente alla previsione della convenzione delle Nazioni Unite firmata a Merida, costituisce un importante strumento di orientamento e controllo sui contratti pubblici  e quindi sugli appalti.

Tavoli tecnici per l’elaborazione di strategie efficaci di monitoraggio e controllo degli appalti sono stati costituiti con la partecipazione della Dia, dei Servizi centrali di Polizia giudiziaria (Sco, Scico, Ros), dell’Uif, dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, al fine di impedire l’infiltrazione di imprese mafiose. Potenziare le “tecnologie applicate” per proiettare gli uffici verso l’utilizzazione delle più moderne forme di intelligenza artificiale, utilissime a vigilare sulla “Next generation Eu”, consentirebbe la modernizzazione delle strutture antimafia; è necessario promuovere e attuare progetti finalizzati alla individuazione di sistemi predittivi dell’infiltrazione mafiosa, anche utilizzando l’attuale elaborazione di indici di anomalia nelle movimentazioni economiche e finanziarie riconducibili alla criminalità mafiosa. Contro le mafie globali è indispensabile associare all’impegno e alla specializzazione della magistratura e delle forze di polizia, la cooperazione e collaborazione internazionale di tutti gli enti impegnati nei diversi Paesi, per rilevare in modo coordinato l’operatività economica del crimine organizzato.

Che cosa ha fatto la politica per prevenire il rischio di infiltrazioni? E, soprattutto, che cosa ha fatto sul sistema delle misure di prevenzione?

Sia in materia di accesso al credito di cui al Dl 8 aprile 2020 n. 23 e successive modifiche sia in tema di contratti pubblici in attuazione del Pnrr, funge da elemento generale di controllo il “rilascio della documentazione antimafia”, previa consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, prevista dall’art 96 del D. lgs. 6.09.2011 n. 159. Altro utile strumento di controllo nell’esecuzione dell’appalto è quello della tracciabilità dei flussi finanziari già previsto dall’art. 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136. Di significativo ausilio nella prevenzione dell’infiltrazione mafiosa e del sistema della corruzione è la normativa dettata dal D. lgs. 21 novembre 2007 n. 231 come modificato dai D. lgs. 27 maggio 2017 n. 90 e 92 e dal D. lgs. 4 ottobre 2019 n. 125, attuativi della IV e V direttiva Ue in materia di anti-riciclaggio, che prevede modelli di adeguata verifica della clientela e rigorose linee guida per l’operatività delle banche e degli altri soggetti abilitati all’esercizio del credito, ma anche dei professionisti, notai, commercialisti, avvocati.

Contro il rischio di inquinamento e di infiltrazione sono attivati i meccanismi di controllo con il potenziamento del monitoraggio e dell’approfondimento pre-investigativo delle segnalazioni per operazioni sospette e delle analisi economiche dei mercati, al fine di individuare  soggetti potenzialmente pericolosi e soprattutto le aree di intervento delle organizzazioni criminali in materia economica.

Diverse innovazioni legislative hanno poi migliorato la trasparenza dei soggetti economici: è stato istituito il registro dei titolari effettivi, che è di primaria importanza con riferimento alle Holding, alle Società collegate, ai Trusts: alcune società vengono costituite all’estero proprio per eludere la normativa interna, che impone la trasparenza nella partecipazione  ai soggetti economici collettivi. È stato istituito il Registro Pep (persone politicamente esposte), che assume significativo rilievo nel sistema delle segnalazioni per operazioni sospette. Il nostro sistema di contrasto alle mafie fonda su una legislazione che è certamente all’avanguardia rispetto agli altri Paesi; basta ricordare che lo strumento delle misure di prevenzione, istituito fin dal 1956, è stato esteso alle mafie nel 1965 ed è oggi disciplinato dal Codice delle leggi antimafia (D. lgs. 6 settembre 2011 n. 159), aggiornato costantemente, per renderlo sempre più adeguato ed efficiente, con modifiche frequenti, l’ultima delle quali intervenuta con gli articoli 47, 48 e 49 del decreto-legge n. 152 del 2021, che hanno inciso sul procedimento di verifica e rilascio dell’informazione interdittiva antimafia e sulla disciplina del controllo giudiziario adottato in sede giurisdizionale ex art. 34 bis del codice. La politica, oltre ad intervenire con provvedimenti utili ad aggiornare la disciplina antimafia e anticorruzione, si è affidata alla straordinaria specializzazione della Polizia giudiziaria e della magistratura, che negli ultimi cinquant’anni hanno acquisito un’esperienza ed una capacità di contrasto probabilmente unica al mondo. Uguale efficienza e incisività è stata acquisita dal sistema delle misure interdittive governate dalle Prefetture.

Tutto ciò è sufficiente?

Sicuramente no. Per contrastare efficacemente le mafie ed il sistema della corruzione “globali” occorre modernizzare i sistemi informativi della magistratura e delle forze di polizia e rendere concretamente dialoganti tutte le banche dati; tale sforzo, attualmente, è portato avanti dalla Dia, dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri, singolarmente; occorre uno sforzo corale con il superamento delle divisioni, mantenendo, però, inalterati i diversi organismi, a garanzia della nostra democrazia.

È necessario, ancor prima, che la Politica pensi a nuove e più moderne forme di contrasto capaci di arrestare l’infiltrazione mafiosa nell’economia.

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