Essere un punto di riferimento per le famiglie, a partire dai primi anni di vita del bambino con sindrome Charge, per migliorare la qualità di vita dei propri associati e per creare una rete di comunicazione, di dialogo, di confronto e scambio d’informazioni ed esperienze tra pazienti, familiari e operatori, così da facilitare l’accesso alle cure, alla riabilitazione, ai percorsi educativi e a tutte le necessità di persone con sindrome Charge. Questa è la mission di Mondo Charge. L’associazione ha promosso, ai primi di luglio, a Roma, presso l’Ospedale Bambino Gesù, la conferenza “Un nuovo inizio”, due giorni di dialogo e confronto per fornire ai genitori e ai professionisti informazioni sulle buone pratiche e sull’approccio richiesto per l’istruzione e lo sviluppo armonico di persone con sindrome Charge, una malattia rara riconosciuta come una delle principali cause di sordocecità “congenita”. Alla sindrome, che ha un’incidenza di 1/12.000 nati vivi e colpisce in egual modo maschi e femmine, sono associate più di quaranta anomalie e questo la rende una delle più complesse patologie. Le persone con Charge possono presentare solo alcune delle caratteristiche tipiche e di conseguenza avere aspetti clinici e residui sensoriali differenti. Dei problemi e delle sfide da affrontare per chi ha un figlio con questa patologia parliamo con Luigi Di Lello, presidente di Mondo Charge.
Quand’è nata l’associazione?
Mondo Charge nasce ufficialmente nel 2018, ma è frutto di contatti che sono nati negli anni tra familiari che avevano il problema di un figlio con la sindrome Charge. In Italia parliamo di un paio di centinaia di persone con questa sindrome. Possiamo dire che in un certo senso Mondo Charge nasce nel 1998 quando è nato mio figlio Maurizio e abbiamo cercato informazioni su Internet, ma la rete non era allora quella di oggi, non c’erano Facebook, Google. Ho trovato le uniche informazioni grazie alla Charge Syndrome Foundation degli Stati Uniti, da cui mi sono fatto mandare del materiale in inglese, e ho creato un sito, ormai in disuso. Pian piano mi sono arrivate alcune telefonate e mail. E abbiamo iniziato a prendere contatti con genitori di tutta Italia, scambiandoci esperienze, storie, consigli. In un secondo momento è nata una pagina Facebook attraverso la quale è stato più facile scriversi, poi da tutti questi contatti nel 2018 abbiamo pensato di dar vita a un’associazione per raccogliere le necessità delle famiglie e dare loro delle risposte. Sappiamo le difficoltà che abbiamo affrontato quando sono nati i nostri figli e volevamo mettere la nostra esperienza a disposizione di genitori che dovessero trovarsi nella stessa situazione. A volte il solo contatto con una persona che vive la tua stessa situazione, anche se non ha risposte, ti dà sollievo. Le diagnosi mediche sono quasi sempre nefaste, tra l’altro la sindrome si manifesta in modi molto diversi e difficilmente un medico dice a un genitore: “Tuo figlio camminerà o mangerà da solo”, ma tende a restare “basso” con le aspettative. Dal punto di vista scientifico è giusto, ma da quello psicologico dei genitori tutto ciò è molto pesante.
Chi fa parte di Mondo Charge?
Siamo 18 soci fondatori, adesso abbiamo una quarantina di soci. Nel nostro piccolo abbiamo un’ampia casistica di ragazzi con sindrome Charge. Per questo quando siamo contattati da nuove famiglie a cui nasce un bimbo con la sindrome possiamo metterle in contatto con quelle che sono sullo stesso territorio o che hanno un figlio con le caratteristiche più simili. Quindi, le diagnosi sono importantissime, ma nella vita a volte vengono superate le aspettative infauste iniziali. Per questo occorre, senza negare le difficoltà, lasciare almeno quel briciolo di speranza e di luce in fondo al tunnel ai genitori nel momento in cui si accingono a intraprendere un percorso di vita così impegnativo. In molti casi abbiamo visto che tanti ragazzi, superati i primi 3/5 anni di vita che trascorrono ospedalizzati per i loro problemi clinici, poi sbocciano, iniziano ad avere delle capacità incredibili di compensazione di quello che manca loro. Ogni caso è a se stante e ha bisogno di un pool che lo segua in modo corretto e fornisca loro un metodo comunicativo. Ognuno di questi ragazzi comunica, infatti, a modo suo: abbiamo ragazzi verbali, che comunicano esclusivamente con la lingua dei segni o con metodi alternativi o che mescolano vari elementi. Possiamo portare, come abbiamo fatto anche con la conferenza a Roma, l’esperienza di esperti stranieri che sono più bravi nella misura in cui hanno visto molti più casi. Comunque l’associazione nasce soprattutto come forma di mutuo aiuto delle famiglie e creare una rete con consigli anche sui centri medici già sperimentati.
Quali progetti portate avanti?
Quando è subentrato il Covid, molti dei nostri ragazzi non sono potuti andare più a scuola o nei centri diurni. In quel periodo siamo entrati in contatto con la Cei e con Cbm e abbiamo lanciato il progetto +Aria, per tamponare per tre mesi le chiusure degli istituti e dei centri e dare a questi ragazzi e alle loro famiglie le risposte ai bisogni che ci avevano espresso, attraverso professionisti e centri clinici. Poi visto il successo dell’iniziativa, da un lato, e il prolungarsi del Covid, dall’altro, il progetto è andato avanti. Dopo nove mesi +Aria si è trasformato in un ulteriore progetto “Come l’acqua”, di più ampio respiro, della durata complessiva di 12 mesi. Ma non ci siamo ancora fermati, pensando che fosse utile capire le buone pratiche rispetto alla sindrome Charge, così siamo stati invitati alla conferenza nazionale della Charge Syndrome Foundation negli Stati Uniti e in quell’occasione la nostra vice presidente ha preso contatti con dei professionisti che si sono detti disposti a venire in Italia per valutare i nostri ragazzi e consigliare sull’approccio che le strutture italiane e le famiglie devono tenere. Abbiamo iniziato con Jerry G. Petroff, professore presso “The College of New Jersey”, che è venuto nel nostro Paese più volte e in queste occasioni ha conosciuto le famiglie e soprattutto ha visitato i ragazzi. Tutto questo anche grazie al supporto di Cbm. Il professore è stato uno dei protagonisti della nostra conferenza a Roma. È importante infatti offrire delle alternative alle famiglie, attraverso esperti qualificati. Qui esistono approcci per ragazzi con disabilità gravissime, ma non specifici per chi soffre di sindrome Charge. Per questo è importante avere più chance. Inoltre, è importante dare molte informazioni ai genitori, perché un genitore più formato è più sereno.
Suo figlio ora non c’è più, ma lei sta continuando nel suo impegno…
Ho perso mio figlio a settembre 2021, aveva oltre alla sindrome Charge anche altre fragilità, aveva smesso di alimentarsi correttamente, avevamo dovuto mettergli una Peg, per la sua fragilità ha sviluppato una setticemia. Lui è stato lo stimolo per fare tutto quello che abbiamo costruito in questi anni. In quel dolore la vicinanza dei soci mi ha fatto capire come è stata importante la sua nascita e che dovevamo andare avanti affinché la sua vita non sia stata inutile. Diciamo sempre che ha fatto più lui in 24 anni senza dire una parola di tanti altri che parlano tanto. Mio figlio in 24 anni mi ha cambiato come persona, ora è giusto che questi 24 anni di esperienza li faccia maturare a favore di altri, perché nessun altro viva come noi una vicenda di solitudine.
Progetti per il futuro?
Adesso il prossimo step è il progetto Fire (Formazione, inclusione, resilienza, educazione), che, attraverso alcuni professionisti, mira a formare e informare tutte le persone che sono a contatto con i nostri ragazzi (insegnanti, insegnanti di sostegno, fisioterapisti, assistenti alla comunicazione) rispetto alle buone pratiche applicate nei centri specializzati per ragazzi sordociechi. Sono progetti di formazione e informazione da fare nelle famiglie, nelle scuole, con il patrocinio, ci auguriamo, del Ministero dell’Istruzione. Oltre a ciò continueremo con i progetti già avviati con le famiglie e gli esperti stranieri e
vorremmo creare un Comitato scientifico, che possa fungere da faro per la realizzazione di tutti questi progetti.
Durante la conferenza di Roma abbiamo organizzato un workshop per le mamme e uno per i papà. Queste attività di formazione proseguiranno con incontri tra famiglie e professionisti una volta all’anno. È importante dare attenzione ai genitori e anche ai fratelli e le sorelle di questi ragazzi: deve essere gestito bene, a mio avviso, proprio il rapporto dei fratelli con i ragazzi Charge, con un supporto adeguato e un coinvolgimento nella cura, ma senza un’imposizione.