“Fedele alla mia vita”. Così si presenta mamma Zaira, che pensando al passato non vede rimpianti ma solo l’amore donato e ricevuto dai suoi 30 figli. No, il suo nome non è da ricercare nel libro dei primati, da sfogliare in prossimità della festa della mamma. Quella di Zaira è stata una maternità diversa, una “maternità di vocazione”. Chi conosce Nomadelfia, la comunità fondata da don Zeno Saltini nel 1947, sa che il popolo dei fedeli in oltre settanta anni ha accolto centinaia di bambini orfani o bisognosi. Nell’Italia povera e distrutta del secondo dopoguerra, nello stesso luogo dove in tanti avevano trovato la morte, il campo di concentramento di Fossoli vicino Carpi, i ‘Piccoli Apostoli’, i primissimi membri della comunità, fondano un nuovo modo di vivere, ispirato al Vangelo.
Fra quei fedeli c’è anche Zaira, allora neanche ventenne, cresciuta nella provincia riminese. “Avevo da poco preso la licenza delle magistrali e don Zeno mi invitò a far scuola ai suoi bambini. È nato subito un rapporto bello, di fraternità e amicizia”, racconta oggi al Sir con lucidità e una voce squillante, a dispetto dei 94 anni. “Ho scoperto allora la mia vocazione alla quale sono rimasta fedele. Ho deciso di accogliere i figli”. Zaira non nasconde come sia stato difficile spiegare la decisione alla sua famiglia, nel contesto sociale e culturale dell’epoca.
L’inizio è stato subito prorompente: a Roma, nel 1948, la comunità raduna gli orfani delle borgate e li porta in treno a Fossoli, verso una nuova vita piena di amore e accoglienza. “Erano 120 bambini – ricorda – un intero vagone delle Ferrovie dello Stato fu destinato allo scopo. A me furono affidate otto bambine, da uno a nove anni. La nostra era una vita di fraternità e apostolato, abbiamo cercato noi quei figli che avevano più bisogno”. Ancora oggi, dopo 74 anni di maternità di vocazione, Zaira vive nella comunità di Nomadelfia, trasferita nel frattempo nei pressi di Grosseto.
“Sono divenuta nonna, bisnonna e trisavola di oltre cento nipoti. Non mi sono mai sposata. Sono stata fedele alla mia vita di mamma. Non ho vissuto da sola e i problemi li ho sempre affrontati insieme agli altri”. Le leggi per gli affidamenti dei minori sono cambiate negli anni. Ma i bambini di allora erano diversi da quelli di oggi? “Forse sì – risponde – avevano bisogno di essere amati. I primi giorni sono stati difficili perché non si conoscevano fra loro ma poi si sono voluti tanto bene. Posso dire di avere dei figli che si sentono veramente fratelli, che si vogliono bene. Vivono un rapporto di vita che è superiore, nato dalla fede”.
Contrasti e momenti di crisi ci sono stati, indubbiamente. “Nessuno è perfetto ma il nostro rapporto è soprattutto fraterno. La nostra missione è portare un senso di fraternità fra i popoli, specie oggi in cui nemmeno nelle famiglie c’è sempre amore”. Sul compito che ha assolto non ha dubbi: “Non dobbiamo crescere dei nomadelfi (nome degli abitanti della comunità, ndr) ma donne e uomini liberi, capaci di scegliere la loro vita. Non si impone loro di fermarsi a Nomadelfia, sono liberi di andare e vivere come vogliono”.
La gioia più grande? “Che i miei figli siano diventati più bravi di me”, risponde sicura. In una vita così lunga ci sono stati anche momenti tristi: “È stata una vita di grande povertà dove però c’era quella che io chiamo la ‘forza novella’ cioè la spinta a fare, a non disperare”. E la sofferenza? Zaira ricorda la morte di uno dei figli a quasi un anno, per una meningite fulminante. “È stato il primo grande dolore della mia vita. È andato in fondo ma è sempre rimasto vivo e quando ne parlo riappare subito”, dice commossa.
Per lei, una festa della mamma è già stata in parte celebrata perché lo scorso 24 aprile nella comunità è stato ricordato l’inizio della sua lunga storia. In quella occasione, Zaira ha voluto lasciare una testimonianza scritta, in cui ripercorre gli attimi salienti di un’esperienza di mamma fuori dal comune. “La mia maternità – scrive nel memorandum – si è manifestata amando e cercando di educare tutti i figli e non solo della mia famiglia, ma anche vivendo la mia vocazione di maternità virginea all’interno del popolo di Nomadelfia. Voltandomi indietro nella mia vita, una vita vissuta in tanta povertà, ho la sensazione d’aver vissuto la più grande ricchezza che, vivendo sulla terra, si possa raggiungere”.