Guerra. Il viaggio di Carlo per portare in Italia i rifugiati ucraini

Dall’inizio dell’attacco di Putin all’Ucraina, il 24 febbraio, con la fuga della popolazione locale verso i confini occidentali, non ho smesso di pormi tante domande: cosa posso fare per questa povera gente? Come aiutarli? Quale contributo potrebbe dare la mia famiglia, la mia comunità? Potrebbe essere utile portare in Italia i rifugiati che lo desiderano?

Dall’inizio dell’attacco di Putin all’Ucraina, il 24 febbraio, con la fuga della popolazione locale verso i confini occidentali, non ho smesso di pormi tante domande: cosa posso fare per questa povera gente? Come aiutarli? Quale contributo potrebbe dare la mia famiglia, la mia comunità? Potrebbe essere utile portare in Italia i rifugiati che lo desiderano?
Domande cui ho cercato dare risposte cominciando dal parlarne con mia moglie che, prudente come sempre, mi indicò di puntare sulla chiesa di Santa Sofia, punto di riferimento a Roma della comunità ucraina, indispensabile per verificare quali fossero le necessità più impellenti e le modalità più utili da seguire. Così ho fatto. Il mio proposito di andare ai confini e rientrare in Italia con alcuni profughi loro connazionali trovò subito accoglienza e il totale appoggio dei sacerdoti. A confortarmi, anche la Parola ascoltata il 28 febbraio, primo lunedì di Quaresima. Quel giorno la Liturgia della messa proponeva il noto capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Ciò che avete fatto a questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”. Una Parola che ho da subito avvertito come una conferma del mio desiderio e uno sprone a proseguire.

La preparazione

Dopo l’assenso dei fratelli ucraini, il secondo passo fu quello di rendere tale iniziativa un’opera non personale ma comunitaria. Partire non per me stesso ma in nome e per conto della nostra comunità, “Il Germoglio di Davide”, appartenente al Rinnovamento nello Spirito cui apparteniamo da circa 40 anni. I responsabili, interpellati, accolsero la proposta ponendo condizioni al fine di evitare rischi inutili e inconvenienti. Prima e assolutamente necessaria quella di “fare carovana” con qualcuno. Condizione subito soddisfatta grazie a Facebook, uno strumento formidabile, se ben utilizzato. Scoprimmo infatti che un sacerdote nostro amico, don Roberto, stava organizzando un viaggio umanitario diretto al confine tra Polonia e Ucraina. Mi misi subito in contatto con lui e scoprii che non era solo. A coordinare la spedizione, infatti, era una famiglia di Civitavecchia. Furono loro, dopo qualche giorno, a comunicare il luogo di consegna degli aiuti umanitari: Przemysl, cittadina polacca al confine con l’Ucraina (vicino Leopoli), poco più di 1.700 km da Roma, punto d’arrivo per migliaia di ucraini in fuga dalla guerra. La carovana c’era, e il viaggio venne pianificato: partenza venerdì 18 marzo mattina e rientro previsto per la mattina di lunedì 21.

I dubbi

Ma più ci si avvicinava la partenza e più sorgeva in me qualche dubbio. A suscitarli, soprattutto le difficoltà di comunicazione con l’organizzatrice della spedizione. Forse non era quello il momento migliore per partire, forse sarebbe stato meglio aspettare, forse era il caso di non insistere, se non di desistere. Malgrado ciò, in cuor mio, sentivo che bisognava andare avanti. Un’ispirazione confermata nella preghiera. E così fu. Finalmente si decide di partire. L’appuntamento con don Roberto venne fissato per venerdì 18 marzo, alle 8.30 del mattino, sulla A1 presso l’area di servizio Giove. Ero contento ma ancora un po’ dubbioso. La rassicurazione mi giunse da un messaggio su WA inviatomi la mattina stessa della partenza alle 6.15, da parte di un mio cugino che vive in Addis Abeba. Faceva riferimento alla novena alla Madonna di Fatima. Lo interpretai come il segno che il manto di Maria era su di noi. Eravamo sotto la Sua protezione.

L’incontro e il viaggio

Con tale conforto salii in macchina e mi avviai all’appuntamento. Ed ecco la prima sorpresa. Ad accogliermi, oltre a don Roberto e altri sei partecipanti, trovai anche Bruno, un carissimo fratello che non vedevo da più di 20 anni! Impossibile trattenere la sorpresa e la grande gioia manifestatasi in un grande abbraccio. La carovana era pronta: il furgone del don, un Fiat Ducato furgonato della famiglia organizzatrice e la mia vettura a 7 posti.
Abbiamo viaggiato per oltre 24 ore. Alle 6 del mattino di sabato eravamo giunti a destinazione. Un paio d’ore di riposo, e poi, verso le 8, di nuovo in macchina per raggiungere il punto di raccordo dove confluiscono sia gli aiuti che i rifugiati provenienti dall’Ucraina. Insieme a Bruno mi recai al punto d’incontro gestito da volontari polacchi. A uno di loro, molto disponibile e capace di un buon inglese, spiegai la mia disponibilità ad ospitare e trasportare rifugiati che desideravano raggiungere l’Italia. Non passò qualche minuto dal suo annuncio che al tavolo si presentò Marina, una donna ucraina che, insieme alla sua famiglia costituita da lei, il marito e due bambini uno di 6 e l’altro di 3 anni, desiderava raggiungere Roma. Il marito infatti aveva potuto lasciare l’Ucraina in quanto uzbeco e di religione islamica. Ci presentammo e scambiammo qualche parola con lei dandoci appuntamento per l’indomani per la partenza. Ero davvero felice.

Il ritorno

Domenica mattina, Bruno ed io ci alzammo di buon’ora e intorno alle 8.30 eravamo già al centro di raccolta per accogliere i rifugiati, che però non si presentarono all’appuntamento. Feci fare numerosi avvisi, ma di Marina e la sua famiglia nessuna traccia. Sconsolati e rattristati uscimmo dal centro per recarci nell’area esterna dove viene servita la colazione e, quasi rassegnati, cominciammo ad organizzare il rientro, purtroppo, pensavo, a mani vuote.
Prima di andar decisi di fare un ultimo tentativo all’interno del centro. Fu un’intuizione felice perché con mia grande gioia ritrovai Marina. Era seduta su una brandina. Appena mi vide mi venne incontro, mi salutò con affetto e dopo aver raccolto le sue cose (una valigia, un borsone, due piccole borse e una busta con alimenti), radunò la sua famiglia e si preparò per il viaggio. Dopo un’attesa paziente di 45 minuti legata al disbrigo delle operazioni di polizia, ottenemmo dalle autorità locali il “via libera” a lasciare il centro in sicurezza. Finalmente potevamo rientrare in Italia.

Una volta in macchina ci avviammo verso l’A4 polacca, destinazione Roma. Con don Roberto e i giovani Elio e Gianluca ci ritrovammo in un’area di servizio nei pressi di Cracovia. Una volta riuniti condividemmo un momento di grande gioia legato alla presenza di questa bella famiglia ucraina. Eravamo felici di averli con noi, di poterli aiutare ad affrontare questo difficilissimo momento. Abbiamo viaggiato tutti insieme fino al confine tra l’Austria e l’Italia dove siamo giunti a notte fonda. La stanchezza era davvero tanta. Decidemmo cosi di separarci e di dirigerci ognuno verso la propria destinazione pur restando sempre in contatto telefonico per qualsiasi emergenza o problema.
Sono entrato a Roma nella città eterna intorno alle 7 del mattino di lunedì 21 marzo. Alle 7.30 ero presso la basilica di Santa Sofia dove ho lasciato Marina, Alimi e i loro due piccoli che, dopo una prima accoglienza, sono stati presi in carico dalla Protezione civile.

L’obiettivo era stato raggiunto. Ero stanco ma felice anche se, dentro di me, avvertivo un senso di inadeguatezza, di pochezza. Mentre rientravo a casa, infatti, pensavo che forse si poteva fare di più o meglio, o forse fare altro ancora. Insomma, un retrogusto un po’ amaro… Ma la risposta del buon Dio non si fece attendere.
A fornirmela, una frase di santa Giuseppina Vannini, fondatrice delle Figlie di san Camillo, e nella quale mi sono imbattuto visitando la Casa generalizia delle Suore Camilliane di Grottaferrata, piccolo centro alle porte di Roma, durante il consueto ritiro mensile della mia comunità. “Nulla – scriveva Madre Vannini – è piccolo davanti al Signore, quando si opera con grande amore a Lui!”. La commozione e la pace hanno subito inondato tutto il mio cuore.

Oggi, a distanza di qualche settimana, continuiamo a seguire questa famiglia anche grazie all’aiuto provvidenziale di Alina, una donna ucraina conosciuta circa due settimane prima del viaggio in Polonia. Estremamente disponibile e sensibile, Alina, indispensabile per comunicare con i nostri amici ucraini, da subito ha preso a cuore le sorti di questa e altre famiglie ucraine giunte in Italia.

Conclusioni

La storia che ho raccontato è solo per la maggior gloria della Trinità e di Maria nostra madre e del Cielo. Perché il nostro Dio è risorto, è vivo e operante nelle nostre vite per opera dello Spirito Santo. “Dio è amore” scrive san Giovanni e continua ad amarci nonostante le nostre infedeltà e i nostri tradimenti. Questa storia è un solo un piccolo semplice racconto del Suo grande amore per l’umanità. Molto piccolo, infinitesimo, ma estremamente vero.

Carlo (Comunità “Il Germoglio di Davide”)

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