Gratitudine per l’accoglienza, preoccupazione per chi è ancora in Ucraina e speranza di ritornare il prima possibile nel proprio Paese, “per poter vivere in pace e serenità”. Sono questi i sentimenti prevalenti nel gruppo di una cinquantina di ucraini ospitati al centro Mater Dei, alla scuola dell’infanzia Sacro Cuore e alla casa Paterno di Tortona, a pochi passi dal santuario della Madonna della Guardia dove il Crocefisso ha alle spalle drappi dei colori della bandiera ucraina.
I primi ad essere accolti sono state le “perle” dall’Ucraina, 8 ragazzi disabili di “Casa Cafarnao” di Leopoli, arrivati nella serata del 1° marzo. Poi dal 4 marzo altre 26 persone, soprattutto mamme con bambini, mentre nella notte tra il 5 e il 6 marzo sono arrivati alcuni ragazzi non vedenti e altre famiglie. “Quest’esperienza di accoglienza – racconta don Renzo Vanoi, rettore del santuario e direttore del Centro Mater Dei – è nata anzitutto perché abbiamo dei confratelli in Ucraina con cui ci si sentiva. Ci aggiornavano su cosa succedeva giorno dopo giorno e abbiamo sentito il loro appello a dover aiutare e accogliere”. Potendo contare su spazi e case, sul volontariato nella Famiglia orionina che “si è compattata”, è iniziata questa “avventura”, prosegue don Vanoi. “Certo, non è facile portarla avanti perché un conto è l’emergenza di un giorno o di una settimana; noi ci stiamo aprendo a un periodo lungo”, aggiunge il rettore, precisando:
“La speranza è che la guerra cessi e che tutti possano tornare in Ucraina”.
Ma, in attesa che le armi tacciano e che possa riprendere una vita pacifica, “ci stiamo organizzando perché questi ‘ospiti’ si sentano accolti” attraverso percorsi e momenti “per farli sentire a casa loro”.
Ogni attimo della “nuova quotidianità” è raccontato nel “Diario dell’accoglienza” pubblicato giornalmente online. Fin da quando è stato annunciato che sarebbero arrivati alcuni profughi ucraini, Tortona ha “aperto il cuore per questa emergenza”, conferma il rettore: subito “l’abbiamo fatto sapere al nostro vescovo, mons. Guido Marini, che è unitissimo a noi in questo cammino di bene che stiamo facendo. Ha organizzato dei momenti anche molto intensi di spiritualità e di preghiera in santuario; adesso li faremo in cattedrale proprio per chiedere al Signore la grazia della pace per queste terre, per queste popolazioni”. Da inizio marzo in città e sul territorio è partita una gara di solidarietà che vede coinvolti istituzioni, organizzazioni, imprese e singoli cittadini che mettono a disposizione anche le proprie competenze e professionalità. Una generosità quasi sovrabbondante:
“Si è sviluppata una solidarietà che io non avrei mai creduto così profonda”, ammette don Vanoi, secondo cui “è un bel segno anche per noi. Alcune volte si dice che il volontariato sta un po’ cedendo e non c’è più quell’apertura al prossimo ma non vediamo tutto quel sottobosco di bene che ancora c’è nella maggioranza delle nostre famiglie. Davvero, la città e il territorio hanno risposto in una maniera unica e si vede come c’è questo sottobosco di famiglie positive, pronte a lavorare e intervenire per l’altro”.
In questi giorni è don Fabio Cerasa a fare da interprete per avvicinare ancora di più il gruppo di ucraini all’interesse e alla solidarietà dei tortonesi. Fino ad un paio di settimane fa era anche lui a Leopoli, in una delle due “missioni” che gli Orionini hanno avviato dal 2001 in Ucraina. Con l’apertura nel 2019 di una “piccola” realtà appena fuori Kiev, l’Opera ha potuto contare in questi anni su 4 sacerdoti e 3 seminaristi impegnati anche nelle attività di oratorio e nell’assistenza ai disabili. In particolare, nel Centro “Divina Provvidenza” di Leopoli sono ospitati a “Casa Cafarnao” otto ragazzi disabili. I primi ad aver raggiunto l’Italia, accompagnati dall’assistente Nataliia Kaplia. “Non avevo nessuna intenzione di venire in Italia né tanto meno di fare questo viaggio”, racconta. Poi però su consiglio di don Egidio Montanari, l’iniziatore delle Opere orionine in Ucraina, “alla fine ho deciso di venire sapendo che sarebbe stata un’esperienza difficile e impegnativa”. Arrivata a Tortona ha scoperto che “la gente è molto ospitale e di cuore ha accolto il nostro gruppo. Non solo quelli di Don Orione, anche in giro per la città ho visto come tutti sono pronti a salutarci, ad aiutarci e a chiedere se abbiamo qualche bisogno”. In Italia, aggiunge, “mi sto trovando molto bene anche se è impegnativo il lavoro quotidiano con i disabili”. Ma spesso il pensiero torna al proprio Paese: “La vita va avanti, nascono bambini. Abbiamo visto le immagini in cui le mamme danno alla luce i figli. E quando c’è vita c’è sempre la speranza di vivere nella pace”. In questa situazione di difficoltà dovuta alla guerra “ho visto le persone avvicinarsi sempre di più a Dio, nella preghiera cercano di essere uniti e chiedono il dono della pace”.
“Alla fine – commenta – si capisce che è quello che serve adesso: qualcosa di molto semplice. Non servono tante cose ma la pace, per poter vivere nella serenità, insieme. Questa è una lezione che stiamo imparando noi ma è anche una lezione per tutto il mondo”.
Nel cortile corrono e giocano i bambini, altri non si allontano molto dalle mamme. Nonostante tutto, sui volti di Mark e Maksym, come su quelli di Sofia e Veronika, non manca il sorriso. “Le donne hanno mariti e parenti in Ucraina ma sono riuscite a comprare schede telefoniche italiane e quindi avere un contatto con con chi è rimasto là”, spiega don Cerasa, aggiungendo che “anche noi abbiamo ancora i confratelli a Leopoli”. Tutti i giorni ci si sente per tenersi aggiornati. “Leopoli – sottolinea – come sappiamo non è stata ancora attaccata Speriamo che non lo sia mai. Però è pericoloso vivere lì; quando ho lasciato Leopoli c’erano le sirene che suonavano al mattino e poi durante la giornata”. “Si respira veramente tensione e preoccupazione – riferisce il sacerdote – però i nostri confratelli riescono comunque ad andare avanti e ad accogliere famiglie nella nostra comunità. Anche il gruppo di ucraini che è ospitiamo qui prima di arrivare in Italia è passato da lì, dove ancora adesso si stanno raccogliendo famiglie provenienti dall’Est. Don Cerasa si fa interprete del sentimento prevalente: “Non vediamo l’ora che tutto questo incubo finisca, speriamo il prima possibile”. “La preoccupazione delle mamme che sono qui con noi – conclude – è quella di ritornare subito in Ucraina”. E anche in questi giorni, nei quali si pensa a come inserire i bambini a scuola, il pensiero è uno solo:
“Vogliamo tornare in Ucraina, non vogliamo stare qui tanto tempo. La speranza che tutti abbiamo è che la guerra finisca al più presto possibile”.