Sanremo 2022 si è chiuso con il botto: l’ultima serata del Festival ha riunito davanti alla tv 13 milioni 380mila telespettatori pari al 64.9% di share, non solo migliorando la performance delle due precedenti edizioni condotte da Amadeus, ma anche centrando il risultato migliore dal 2000, quando l’ultima serata ottenne una media del 65.47% di share. Di queste cinque serate di Sanremo parliamo con Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e di Etica della Comunicazione all’Università di Pisa.
Professore, chi è il vero vincitore di Sanremo 2022?
Indubbiamente è un Festival da consacrazione dell’audience, perché mai c’è stato un pubblico così ampio e soprattutto continuativo dal martedì al sabato. Un aspetto molto importante dal punto di vista della pubblicità e degli sponsor. Ed è la consacrazione di Amadeus, che ha ricevuto addirittura la telefonata dal presidente della Repubblica. E proprio dopo la chiamata di Mattarella c’è stata una sorta di normalizzazione nelle proposte, negli interventi, nei monologhi, una sorta di riallineamento. Ci si è forse davvero resi conto che se la chiave del Festival è generalista, cioè quella che deve tenere insieme i 18 anni di Blanco e i 77 di Gianni Morandi, il pubblico non può essere tenuto incollato allo schermo solo con le provocazioni e neanche con discorsi di principio. È stata molto precisa e misurata su questo aspetto Sabrina Ferilli, nell’ultima serata del Festival. Prima ha rivendicato il discorso della competenza, evidenziando che è giusto sollevare determinati problemi importanti su un palcoscenico come quello di Sanremo, ma si rischia anche di banalizzarli, quindi ha preferito non correre questo rischio. Poi ha inserito il discorso della famiglia, ha parlato del figlio di Amadeus, precisando che lei non ha figli con una punta di rimpianto. Un discorso equilibrato e sottolineato da gesti, come quando è andata a salutare la moglie e abbracciare il figlio di Amadeus. Forse, poteva risparmiarsi la citazione, un po’ scontata e banale, di Italo Calvino sulla leggerezza. L’intervento di Ferilli è un esempio di questo riallineamento del Festival, così più istituzionale. Se si vuole tenere davvero assieme il pubblico più ampio non si può correre il rischio di sorprendere oppure offendere qualche parte di questo pubblico o una generazione. Da questo punto di vista, alla fine,
Amadeus ha davvero compiuto il “miracolo”: ha creato un cocktail equilibrato
con varie componenti sia per età, sia per tipologia di canzoni sia per simbologie che queste canzoni veicolavano. Potremmo dire che ha fatto il suo mestiere più proprio, cioè il dj: ha remixato una serie di canzoni e interventi che sono andati incontro alla sensibilità di un pubblico globale.
C’è qualcuno che ha perso in questo Festival?
Più che ha perso oggi, direi che rischia di perdere domani, è un discorso serio quello che voglio fare, al di là dei toni trionfalistici che sentiremo in questi giorni sulla kermesse da parte del direttore di Rai Uno. Nella pubblicità che interrompeva regolarmente il percorso del Festival – tanto da preoccupare Amadeus che quasi implorava: “Non lasciateci” -, c’era una parte dei grandi sponsor, una parte di lanci di serie Rai, ma una gran parte di canali tematici privati. È significativo che nella tv generalista, nel momento del trionfo del mix più equilibrato di questo tipo di televisione, venissero acquistati a carissimo prezzo spazi pubblicitari dai canali privati della tv tematica: ci dice quale sarà il futuro della televisione e su che cosa si sta combattendo la vera battaglia.
Il Festival di Sanremo con il suo impianto generalista rischia di essere sorpassato da canali tematici,
offerti dalle varie piattaforme a pagamento, che non vogliono fare il “miracolo” di Amadeus. E questo come cavallo di Troia era già presente nella pubblicità di Sanremo. Se fossi il direttore di Rai Uno sarei veramente preoccupato perché non terrà per sempre l’approccio generalista, il cocktail in cui tutti prendono un pezzettino e sono contenti. Se, invece, in modo più banale e meno di prospettiva, vogliamo dire chi è lo sconfitto di Sanremo direi che è Fiorello: ha partecipato così così alla prima serata, poi il Festival ha trovato benissimo chi lo ha rimpiazzato.
Cosa possiamo dire delle co-conduttrici, in particolare di Drusilla Foer?
Drusilla Foer si è posta nell’ottica della normalizzazione, è una riconferma di questa tendenza: non ha voluto scandalizzare, forse le è scappata una mezza imprecazione quando si è travestita da Zorro, ma, in generale, è andata sul registro dell’ironia, ha giocato questa ambiguità in maniera non plateale, non è Vladimir Luxuria,
non è un’ambiguità sbandierata, ma normalizzata.
Hanno voluto proporre un tema che è quasi scivolato proprio perché non è stato sbandierato in una maniera provocatoria.
Cosa pensa invece della favola con il “Cenerentolo trans” proposta da Checco Zalone? È stato politicamente scorretto o prevedibilmente scorretto?
Era nelle serate pre normalizzazione, addirittura si poteva pensare che uno dei temi del Festival sarebbe stato questo, vista la partecipazione nel giorno successivo di Drusilla Foer, invece poi è scomparso dai radar, c’è stato un cambiamento di rotta. Zalone è intervenuto ancora nel momento in cui sembrava che al Festival si puntasse sullo scandalo, sulla provocazione. Zalone ha presentato le sue battute, con il suo stile, forse un po’ scontate, nel senso di grevi, anche a rischio di volgarità. Potremmo dire che Drusilla Foer è stata la risposta all’impostazione di Checco Zalone.
Nel corso delle serate sono stati affrontati temi importanti, come il razzismo, la diversità, le mafie, la disabilità: l’Ariston è il palco giusto dove parlarne o c’è il rischio di banalizzazione, come ha detto Ferilli nell’ultima serata?
Non c’è una risposta univoca a questa domanda. C’è un rischio perché c’è una forte ambiguità, vale a dire che da una parte c’è un palco con un amplissimo share per proporre determinati temi all’attenzione del pubblico, come quelli che ha citato; dall’altra parte, la logica della tv è molto delicata e rischiosa, ci vuole poco a scadere, che vuol dire commuoversi troppo, come è capitato a Lorena Cesarini, nella seconda serata, non servendo bene neppure la causa che doveva interpretare. Inoltre,
in televisione c’è la logica dello schermo piatto, appiattisce tutto quello che ci passa dentro:
dunque, anche il coraggio, la coerenza e il sacrificio di Falcone e Borsellino rischiano di essere appiattiti, perché quel momento viene prima della canzonetta e dopo lo sketch, sempre che non venga interrotto dalla pubblicità. Questo è un grosso rischio, soprattutto per certi temi e per chi li esprime.
Cosa le è piaciuto e cosa no dell’edizione 2022?
Mi è piaciuto che è stato un Festival della canzone.
Molti brani sono effettivamente belli, alcuni resteranno e già iniziano a girare. Non mi è piaciuto il modo in cui alcune canzoni sono state interpretate. Nella penultima serata i nostri cantanti si sono provati nelle cover: in alcuni casi non hanno retto al confronto con chi aveva nel proprio repertorio quelle canzoni.