Festival di Sanremo 2022. Bernardini: “Un buon livello musicale, la canzone di Ranieri quella di maggiore qualità”

“Il direttore artistico è riuscito per almeno tre quarti del Festival a mettere insieme il meglio della canzone revival, la grande canzone d’autore, il meglio delle nuove tendenze”, spiega al Sir l’esperto

(Foto: ANSA/SIR)

Il Festival di Sanremo 2022 incorona vincitori Mahmood & Blanco con il brano “Brividi”. Al secondo posto si è classificata Elisa, con “O forse sei tu”; al terzo Gianni Morandi con “Apri tutte le porte”. Massimo Ranieri, con la canzone “Lettera di là dal mare”, vince il Premio della critica “Mia Martini”; Gianni Morandi, con il brano “Apri Tutte le Porte”, conquista il Premio “Sala stampa Lucio Dalla”; Elisa si aggiudica il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione musicale, assegnato dall’orchestra del Festival di Sanremo; a Fabrizio Moro va il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo per il brano “Sei tu”. Delle canzoni in gara parliamo con Massimo Bernardini, giornalista, autore, conduttore di Tv Talk (RaiTre) e Nessun dorma su Raicinque.

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Qual è stato il livello delle canzoni quest’anno?

Ascoltando e riascoltando le canzoni, viene fuori con chiarezza che tre quarti hanno due caratteristiche: sono di buon livello e di linguaggi musicali molto diversi. È come se il direttore artistico fosse riuscito per almeno tre quarti del Festival a mettere insieme il meglio della canzone revival, tipo quella di Morandi, la grande canzone d’autore come quella di Truppi e di Ranieri (scritta dal bravo cantautore Fabio Ilacqua), il meglio delle nuove tendenze come “Brividi” che ha vinto, molto contemporanea, con caratteristiche di scrittura molto raffinate, vocalmente molto interessante. Paradossalmente Elisa, che è stata un’avanguardista, molto attenta al panorama internazionale, agguanta il secondo posto con uno dei suoi pezzi più classici: ha fatto una rotazione da canzoni internazionali a qualcosa di molto più italiano, come la sua di Sanremo 2022. Mentre negli altri anni lamentavo la presenza di 4 o 5 pezzi, al massimo, rilevanti, qui siamo nell’ordine di almeno 15 brani importanti.

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Quali canzoni le sono piaciute di più? Chi meritava di vincere?

Secondo me è stata abbastanza naturale la vittoria.

Le prime due serate di Sanremo mi sono chiuso nel mio studio e le ho ascoltate con molta attenzione. Su Twitter avevo scritto dopo il primo ascolto di “Brividi”: “Canzone che c’è, che arriva, cantata bene, scritta bene, destinata a far fortuna. Testo per niente banale, con sincerità e peccati confessati fra le righe. E belle doppie voci in coppia”. Ma la grande canzone, a mio avviso, è “Lettera di là dal mare” di Massimo Ranieri. Anche per lui avevo scritto su Twitter: “Una canzone importante sull’emigrazione di Fabio Ilacqua, quello di ‘Amen’ di Gabbani. Intensa, potente, antica (forse un po’ estesa per Ranieri 2022)”. Ma mi sbagliavo, ho ascoltato il disco e non ho trovato nessunissima difficoltà di Ranieri, quindi nella prima serata è stato solo un incidente. Ora, al di là della classifica, “Lettera di là dal mare” è una grandissima canzone, un pezzo formidabile, anche arrangiato benissimo. Insomma, è la canzone più di qualità di questo Sanremo. Trovo deliziosa anche “Apri tutte le porte” di Gianni Morandi, che ha una citazione di sapore rhythm and blues anni Sessanta, con un bravo arrangiatore come Mousse T. Ancora quella di Giovanni Truppi, “Tuo padre, mia madre, Lucia”, è complessa, difficile, ma molto di qualità, cantautorale. Anche quella di Noemi, “Ti amo non lo so dire”, è una canzone con un fraseggio molto complesso, difficile da interpretare, ma di grande qualità.

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Oltre a quelle citate, i testi le sono sembrati convincenti?

Paradossalmente, ci sono pezzi molto leggeri che hanno, però, dei testi azzeccati. Ne cito tre, che sono poi le canzoni di breve consumo: ad esempio, “Chimica” di Ditonellapiaga con Rettore è commerciale ma per una canzone funky il testo è perfetto. Anche quella di Dargen D’Amico, “Dove si balla”, con la sua autoironia, è molto intelligente. Stesso discorso vale anche “Ciao ciao” della Rappresentante di Lista. Sono tre esempi di come si devono scrivere pezzi leggeri. Quello che mi stranisce un po’ in questo Sanremo è che ci sono canzoni scritte da una marea di firme: si mettono in cinque o sei autori per tirar fuori un testo brillante, non so se è un segno dell’epoca nostra nella quale, scarseggiando la capacità di scrittura, bisogna mettersi in tanti per far qualcosa di decente. Ci sono pochi che sanno scrivere oggi, ma questo non è un problema italiano, quanto internazionale. La qualità in giro non è tanta. E noi italiani, di solito bistrattati, siamo quelli, come dice il maestro Paolo Conte, che dovremmo prendere per la nostra canzone d’autore il Nobel per la letteratura.

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Quest’anno sono prevalse più le canzoni o lo show?

È stato un Festival equilibrato.

Aggiungo un aspetto: Sanremo ha una lunghezza mostruosa. Da questo punto di vista potremmo entrare nel guinness dei primati: nel mondo non ci sono altri show di cinque o sei ore. Inizialmente la lunghezza è nata sull’idea di massimizzare gli ascolti perché all’epoca Sanremo era entrato in competizione con la concorrenza. Alla fine, la malattia dell’allungamento è diventata tipica della televisione italiana. Abbiamo anche talk show con politici mostruosamente lunghi anche 180 minuti. Precisato che il Festival è obbligato a una forma “monstre”, allora, onore grandissimo a chi conduce e scrive uno show come questo: la capacità di reggere l’interesse del pubblico per cinque ore sulla carta è impossibile. Se le serate del Festival 2022 si fossero chiuse intorno alle 23,30 sarebbero state pazzesche, perché almeno dieci numeri di grandissimo livello ci sono stati: il medley di Jovanotti e Morandi, lo sketch di Maurizio Lastrico e Maria Chiara Giannetta con i titoli delle canzoni, il monologo sull’inclusione di Drusilla Foer, che aveva garbo e finezza, la poesia letta da Jovanotti, tanto per fare qualche esempio di numeri riusciti perfettamente.

La qualità dello spettacolo c’è stata.

Amadeus poi ha capacità vocali notevoli, è un radiofonico puro, ma più bravo di altri, perché ha un timbro di partenza bellissimo.

(Foto: ANSA/SIR)

C’è un vincitore morale del Festival?

Forse, potrebbe essere Ranieri,

che in classifica è ottavo: ha avuto il coraggio di portare una canzone di qualità, che è molto diversa da quelle che l’hanno reso famoso, a voce spiegata, come “Perdere l’amore”, con un certo tipo di enfasi e retorica tipicamente sanremese, nella consapevolezza che quella del Festival è una platea molto attenta a melodie emotive o molto ritmate, calde.

Cosa resterà di questo Sanremo 2022?

Resterà un risultato dell’attenzione da parte del Paese che nessuno si aspettava così plebiscitaria.

Diciamo da anni che la televisione generalista è prossima al tracollo, eppure i numeri del Festival, con l’ultima serata arrivata al 65% di share, ci dicono che in moltissime case è arrivato, anche se resta ancora una buona fetta di italiani che non sono interessati e non lo guardano. Secondo me, bisognerebbe chiedersi perché quest’anno si è allargata così tanto la platea di Sanremo, a che bisogno corrisponde questo desiderio degli italiani di riconoscersi in uno spettacolo popolare come questo.

(Foto: ANSA/SIR)

Ha una risposta a questa domanda?

No, sto cercando di capire, mi aspettavo il solito 40-50% di share. Non mi bastano le risposte sulla bravura di Amadeus o la bellezza delle canzoni. Quando succede un fatto del genere, c’è qualcosa di più da leggere nel Paese, dove stiamo vivendo delle crisi importanti: quella della pandemia, che ha modificato la nostra vita, e quella della politica. Abbiamo un Paese che si unisce in maniera così sinfonica per guardare cinque serate di canzonette e abbiamo i nostri rappresentanti politici che non sono in grado neanche di eleggere il presidente della Repubblica e che da trent’anni vivono in una polarizzazione continua.

Qual è il suo auspicio per il Festival 2023?

Ridurre la lunghezza.

Ma qui faccio un discorso politico. Oggi la lunghezza rispetto a quanto accade in altre televisioni nasce anche dal fatto che la Rai ha bisogno della pubblicità di Sanremo per riequilibrare un canone che è a un livello così basso in Italia, senza pari in Europa. Le ragioni di un canone così basso sono inerenti alla scelta dei politici, che lo impongono, ma per mantenere un servizio pubblico adeguato c’è bisogno di risorse, moltiplicando le entrate pubblicitarie.

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