“Il reddito di cittadinanza non è una semplice misura di contrasto alla povertà ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale”. Lo ha ribadito ieri una sentenza della Corte Costituzionale nel giorno in cui l’Inps ha diffuso i dati del suo “Osservatorio su Reddito e Pensione di cittadinanza” con statistiche aggiornate a fine 2021.
Nel corso dello scorso anno, i nuclei percettori di Reddito di cittadinanza sono stati oltre 1,59 milioni, mentre quelli percettori di Pensione di cittadinanza sono stati 169mila, per un totale di oltre 1,76 milioni di nuclei e quasi 3,94 milioni di persone coinvolte. L’importo medio è stato di circa 546 euro.
Dal marzo 2019, mese in cui la misura è entrata in vigore, è andato progressivamente aumentando il numero di nuclei percettori e, quindi, di persone beneficiarie che sono passate dai 2,7 milioni del primo anno ai circa 4 milioni dello scorso. Un dato che non sorprende Matteo Luppi, sociologo dell’Università di Trento e collaboratore di Caritas Italiana e dell’Inapp: “Il Reddito di cittadinanza è stata una risorsa” che, considerata la pandemia, “è caduta nel momento migliore come rete sociale di ultima istanza per la popolazione italiana”. “La povertà assoluta – ricorda – era già elevata prima della pandemia, con un trend di crescita fino a poco prima dell’inserimento di misure di contrasto alla povertà”.
Nell’intero 2021 le famiglie che hanno avuto almeno una mensilità di reddito o di pensione di cittadinanza sono state 1.763.257 e, tra queste, oltre un milione risiede al Sud (1.056.850). Le persone coinvolte nel complesso sono 3,93 milioni con una larga prevalenza nel Sud (2,5 milioni).
“La pandemia è stata ovviamente un fattore di accelerazione sull’accesso alla misura”,
conferma Luppi. In questi anni, la misura introdotta ha mostrato anche dei limiti: “Le criticità sono note e riguardano, in primis, i criteri di accesso; soprattutto il decennio di residenza richiesta alla popolazione che non ha cittadinanza italiana. E poi, c’è la scala di equivalenza che dev’essere molto piatta al crescere del numero dei beneficiari del nucleo, con penalizzazione per i nuclei con figli”. “Questi – sottolinea il sociologo – sono i nuclei di più recente esposizione alla povertà assoluta”. Si tratta dei nuclei con minori, che “sono ancora una buona quota dei beneficiari del RdC, oltre il 25% del totale”. In questa situazione risulta proporzionalmente piccola la differenza tra quanto percepito per esempio da un nucleo monocomponente (a dicembre sono stati poco più di 615mila) e da una famiglia con due figli minori.
“La speranza – evidenzia Luppi – è che l’ingresso dell’assegno unico nel panorama delle misure di contrasto alla povertà o di supporto alle famiglie possa correggere questa distorsione”.
Anche i dati diffusi da Caritas Italiana nel 2021 hanno messo in evidenza che i nuclei che hanno subito un peggioramento relativo e assoluto maggiore durante la pandemia sono proprio le giovani coppie anche di lavoratori con figli minori, non esclusivamente con origine straniera.
“Il reddito di cittadinanza – ha precisato ieri la Consulta – non si risolve in una mera provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma presenta un contenuto più complesso di misura di politica attiva del lavoro, che comprende un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale”. Anche su questo fronte non sono mancati i problemi. “La pandemia – osserva il sociologo – ha azzoppato quella che era l’implementazione dei servizi previsti dalla misura. Combattere la povertà attraverso politiche attive del lavoro richiede un forte ruolo di coordinamento e interpolazione a livello territoriale tra enti preposti”. “L’esplosione di domande ai centri per l’impiego, la pandemia e i suoi effetti – aggiunge – hanno reso difficile la gestione e, qui, credo che il RdC abbia mostrato una delle sue principali limitazioni”.
Difficile prevedere se del Reddito di Cittadinanza beneficerà un numero ancora crescente di italiani rispetto a quello attuale, anche perché è arduo capire “quando e come usciremo da questa pandemia e cosa comporterà sul mercato del lavoro” atteso che “il reddito da lavoro è considerato lo strumento principale nel combattere la povertà, assoluta o relativa che sia”. “Ci sono segnali positivi”, rileva Luppi, “una ricrescita veloce o comunque importante dell’economia può facilitare” nel ridurre la povertà ma “non credo che siamo ancora arrivati al plateau” dei beneficiari.
“È prevedibile che ci sia ancora una crescita del numero dei beneficiari, anche trainato dall’effetto cumulativo, e che progressivamente andrà ad appiattirsi e si arriverà ad una sorta di regime, da qui a due anni presumo”.