Rivedere il bollettino giornaliero dei contagiati da Covid-19 evidenziando, almeno per i dati su decessi e ricoveri, chi è vaccinato e chi no. Nelle intenzioni del governo c’è un cambio di passo o meglio di narrazione della pandemia che dovrà essere adottato nei prossimi giorni. Ma rimescolare i numeri che effetti può avere nel pubblico che legge o che ascolta? Al Sir la professoressa Patrizia Bertini Malgarini, docente ordinario di Linguistica Italiana e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Lumsa, spiega come sul piano linguistico la pandemia abbia insegnato quanto le parole e la comunicazione abbiano effetti sulla vita delle persone.
Professoressa, da più parti nel governo c’è l’intenzione di voler descrivere i numeri della pandemia in maniera diversa. Questo che effetto porterebbe secondo lei?
I numeri appaiono a prima vista l’oggetto più sicuro in assoluto, ma sono in verità i più manipolabili. In base a come vengono presentati, i numeri si possono raccontare cose diverse. La valutazione sul come verranno descritti i casi positivi sta al tecnico e non entro nel merito ma quello che è importante ribadire è che non prevalgano ragioni di convenienza politica su ragioni sanitarie. È importante ricordare che il ministero che se ne occupa si chiama ‘ministero della Salute’ perciò tutto quello che riguarda la comunicazione dei dati deve essere nell’interesse della salute pubblica.
La pandemia ha messo in risalto la necessità di curare la comunicazione pubblica?
Abbiamo trascurato in questi anni l’importanza della comunicazione e ora ci rendiamo conto di quanto sia basilare. Chi fa comunicazione di mestiere deve essere in questi casi consultato per capire come è opportuno comunicare un tema così drammatico. I nostri studenti universitari sono in difficoltà sul piano personale perché da due anni a questa parte l’impatto della pandemia si è abbattuto su di loro in maniera pesantissima. Per nascondere la realtà delle volte usiamo parole inglesi come lockdown che in italiano sarebbe segregazione o confinamento, cioè parole che non evocano sensazioni piacevoli. Ebbene con lockdown ci siamo cullati sebbene la realtà sia questa. Questo ci dovrebbe far riflettere su quanto sia delicato comunicare. Il termine stesso ‘comunicazione’ significa mettere in comune, un’azione non facile come in questi casi da dare in mano a professionisti. Purtroppo sono state spinte persone a comunicare che non avevano esperienza o conoscenza. Speriamo che la pandemia impartisca questa ulteriore lezione: dare attenzione alle parole e al peso della comunicazione.
Secondo lei è in atto una comunicazione contro i no vax?
Di sicuro fare la lista dei buoni e dei cattivi è un’attività da evitare. Il rischio è che potremmo consegnare in mano ai no vax la bandiera di chi protesta contro: contro lo Stato, contro la cosa pubblica e così via. È molto pericoloso perché, come abbiamo visto negli scontri di Trieste, la protesta potrebbe essere cavalcata da chiunque. Una comunicazione attenta deve evitare questi fenomeni.
Come è possibile comunicare i rischi della pandemia senza provocare paure?
Il modo da seguire è quello della ‘glossa esplicativa’ cioè quando qualcuno usa un tecnicismo difficile deve fare lo sforzo di aggiungere accanto la spiegazione in parole facili. In modo che anche chi non è addentro possa capire. Si faceva già nel Medioevo. Il secondo suggerimento è non spaventare inutilmente. Con la questione dei tamponi abbiamo visto file interminabili di persone prese dal panico non solo perché necessitate dal farlo. Questa credo sia una responsabilità della politica e della campagna di comunicazione.
Che giudizio darebbe alla comunicazione gestita finora?
A un mio esame non darei un voto alto. Si sono trovati a gestire una comunicazione rivolta alle masse, persone che non hanno mai affrontato di mestiere la comunicazione si sono trovate catapultate all’improvviso in una situazione inedita. Gli stessi virologi che ascoltiamo, fino a qualche anno fa il grande pubblico non li conosceva, né loro erano abituati a essere intervistati da tante testate. Non è facile parlare al pubblico. Forse un professore universitario un po’ è abituato, ma molti di questi esperti non sono mai usciti dal laboratorio e questo va a giustificare certe cadute che hanno avuto.