Nessuna retorica. Anche dopo anni sarebbe di cattivo gusto. E nemmeno rancore, perché la giustizia ha fatto il suo corso. Ma riconoscenza. A un decennio di distanza, Luciano Castro, uno dei naufraghi della Costa Concordia, ricorda chi si è adoperato per aiutare e chi ha accolto fin da subito. Il 13 gennaio ricorre l’anniversario di una tragedia inspiegabile, avvenuta di fronte all’isola del Giglio a tarda sera, costata la vita a 32 persone. Da giornalista, mentre era ancora in attesa di essere salvato, Castro diede la notizia alle testate di ciò che era appena avvenuto. Oggi al Sir ricorda i frangenti saldati nella memoria: il rumore, il panico, le bugie dalla plancia, i volti degli inservienti, la nave gigante che il vento sposta e protegge in qualche modo da un esito più nefasto. E ancora: l’arrivo al Giglio, il freddo, le coperte degli albergatori, la chiesa rifugio, le arance di chi è giunto fra i primi ad aiutare. Per gli errori commessi a bordo la Corte di Cassazione nel 2017 ha confermato la condanna nei confronti del comandante della nave, Francesco Schettino, a 16 anni di carcere. Per tutto il resto, non manca la gratitudine di chi è riuscito a salvarsi.
Sono trascorsi dieci anni, cosa ricorda di più di quella notte?
Il primo flash è la buona volontà del personale che si è rimboccato le maniche per portare in salvo i passeggeri.Ricordo alcuni volti. A queste persone una parte di noi naufraghi deve qualcosa. Si sono confrontati con il panico, il vero panico delle folle. L’altro flash è l’accoglienza degli abitanti dell’isola del Giglio. Ci fu una vera invasione di persone del piccolo porto. Appena sbarcato, seguì le persone che si rifugiarono nella chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano, il primo ricovero per molti. Anche la popolazione civile si mosse per darci accoglienza. Come quel ragazzo che all’ingresso della chiesa distribuiva acqua e arance o i tanti alberghi e case vacanze che ci hanno accolto, dandoci tutto. Anche le coperte. Centinaia di coperte poi donate per beneficenza.
Avrà raccontato altre volte l’urto, ma cosa ricorda degli attimi immediatamente successivi?
Eravamo a cena. Abbiamo sentito un gran rumore unito a una forte vibrazione che faceva cadere a terra i bicchieri. Man mano il rumore e la vibrazione aumentavano. Sembrava un terremoto misto a fragore. La nave dopo aver urtato contro lo scoglio ha continuato a muoversi a motore fermo per via dell’abbrivio. Ha quindi costeggiato il porto e virato verso destra, visto che l’ultimo comando ai timoni era in quella direzione. È stata la salvezza. Se la nave fosse rimasta al largo dell’isola i morti probabilmente sarebbero stati di più. Senza nessuna possibilità di essere comandata, è stata spinta dal vento verso l’isola, si è arenata e inclinata. Qualcuno potrebbe chiamarla una serie di coincidenze. Qualcun altro, fra cui me, lo definirebbe un miracolo. Ma i fatti sono questi: la nave è rimasta aggrappata alla scogliera e ha permesso a migliaia di persone di mettersi in salvo. Moltissime non hanno potuto scendere con la scialuppa come me, ma sono rimaste sulla chiglia in attesa dei soccorsi. Se fosse accaduto a largo, il bilancio delle vittime sarebbe stato diverso.
A pochi minuti dallo scontro, ha avuto la lucidità di avvertire l’agenzia Ansa. All’inizio non le hanno creduto?
No. La collega al desk verificò con la sede della Toscana che dalla Capitaneria di porto di Grosseto aveva saputo solo di un black out, cioè quello che veniva detto anche a noi a bordo. Io però, appena imbarcato, due ore prima, avevo visto un avviso in cabina che spiegava il comando di abbandono della nave: sette fischi brevi e un fischio lungo. Proprio quello che stavo sentendo mentre gli altoparlanti parlavano di altro. A quel punto ho richiamato l’Ansa che ha battuto il primo lancio. Da lì sono seguiti tutti i collegamenti con le altre testate. Da giornalista mi rendevo conto che i colleghi avevano bisogno di sapere cosa fosse successo.
Francesco Schettino a maggio potrà chiedere di essere ammesso a misure alternative alla prigione dopo aver scontato un terzo della pena. Probabilmente lo farà. Che effetto le fa?
Alla prima udienza in un teatro di Grosseto ho voluto conoscerlo. Mi sono avvicinato al banco della difesa, mi sono presentato e gli ho detto che dal processo mi aspettavo la verità sull’accaduto. Su di lui ho un’idea precisa: ho visto le sue azioni, ho seguito le sue interviste e la linea difensiva. Era un professionista che ha commesso una serie di malsani errori che deve pagare avendo delle gravi responsabilità. Non sono uno di quelli che vorrebbe vederlo alla gogna. Sono convinto che sia uno dei principali accusatori di se stesso. Penso che abbia rovinato la sua vita e quella della sua famiglia. Non avrò nessuna reazione se verrà ammesso a misure alternative perché la legge va rispettata.
Più volte Schettino si è dichiarato come il “capro espiatorio” della tragedia.
Anche gli altri ufficiali di bordo sono stati condannati. Anche il commissario di bordo, sebbene fosse rimasto ferito e avesse salvato delle persone, è stato condannato. È chiaro che non va dimenticato che Schettino fosse il comandante. Se fosse rimasto a bordo, forse a livello giuridico non sarebbe cambiato molto, ma a livello di immagine avrebbe avuto un processo mediatico diverso.
La scorsa settimana il tribunale di Genova ha riconosciuto danni da stress per un passeggero condannando la Costa Crociere al risarcimento. Un precedente che potrebbe aprire altri ricorsi.
Ho visto le persone perdere la testa in quei momenti. Il panico collettivo è un mostro sanguinario in cui nessuno guarda in faccia nessuno pur di salvare la vita. Io mi sono stupito della tranquillità e lucidità che ho avuto. Il problema è che io ero uno, mentre lì c’erano altre 4000 persone, molte delle quali anziane. Mi hanno poi raccontato che molti hanno avuto problemi e traumi. La Costa Crociera mi ha proposto un accordo per il risarcimento che ho accolto perciò non ho nulla da pretendere. Ma altri non lo hanno fatto.
Tornerà al Giglio in occasione dell’anniversario?
Ci sarò. Ci sarò per pregare e ricordare le vittime. In segno di gratitudine, a distanza di un anno, ho regalato agli abitanti la stampa di un quadro che ho chiesto a un illustratore per immortalare il momento dell’accoglienza sull’isola, visto che non ci sono foto o video.