Ambienti di maturazione umana, di formazione culturale e civile, di dialogo interculturale e interreligioso, dove si promuove l’ospitalità e l’accompagnamento educativo e spirituale degli studenti, anche nella prospettiva della mobilità internazionale. È la fotografia delle realtà che aderiscono all’Acru (Associazione collegi e residenze universitari). L’Acru, che opera in costante collegamento con l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei, riunisce i collegi e le residenze universitari che si riconoscono nella Charta dei collegi universitari di ispirazione cristiana e in particolare nella progettualità educativa, che caratterizza la loro peculiare azione di cura dell’educazione e della formazione integrale, culturale, umana e religiosa degli studenti. Collegi e residenze sono presenti in tutte le città che ospitano Università. A fine novembre si è svolta on line l’Assemblea dell’Acru.
“Forse oggi, ancora più che in passato, è necessario che ci sia una presenza di ispirazione cristiana per i ragazzi che entrano in Università”, sottolinea il presidente dell’Acru, Angelo Giornelli, che ricorda come l’Associazione sia nata nell’ambito della pastorale università della Cei, dodici anni fa. “In questi anni man mano siamo cresciuti, adesso rappresentiamo circa 110 collegi per oltre 10mila studenti – ricorda il presidente dell’Acru -. Quello che banalmente si pensa di un collegio – vitto e alloggio –è una sorta di prerequisito, per noi è fondamentale accogliere i ragazzi che stanno entrando nel mondo dell’Università per poterli accompagnare in questo momento che è fantastico ma anche ricco di situazioni problematiche. I ragazzi che vanno nelle residenze e nei collegi sono fuori sede, arrivano da lontano, sono spaesati, non conoscono gli altri e la città che li ospita. Le nostre realtà offrono una presenza adulta che si affianca a questi ragazzi”. In collegi e residenze aderenti all’Acru, spiega Giornelli, “anche se in modalità differente, c’è sempre un’équipe educativa, che grazie all’esperienza di anni è in grado di mettere in atto, insieme ai ragazzi, una serie di iniziative, dai giochi ai momenti liturgici, dallo sport al volontariato e al teatro, per aiutare i ragazzi non solo a crescere nella disciplina che stanno studiando, ingegneria, medicina o lingue ad esempio, ma anche a sviluppare tutte quelle competenze, le cosiddette soft skill, che sono fondamentali per far diventare una persona adulta a tutto tondo. Infatti, non basta sapere tutto quello che serve per la tua futura professione, ma devi saper accogliere, gestire situazioni problematiche, vivere la multiculturalità. Tutti questi aspetti nelle nostre realtà vengono sperimentate sin dal primo momento”.
Giornelli racconta un episodio a suo giudizio emblematico: “Una volta andando in una residenza di una ventina di studenti, gestita da una congregazione di suore, vedo un ragazzone di quasi 2 metri di altezza, che abbraccia la suora in portineria, di un’ottantina d’anni, la tira su come si fa tra persone che si vogliono bene e le dice: ‘Avevi ragione tu, ho preso 30 e lode’. Questo episodio, apparentemente banale, dice di un clima, di un’affettività nel rispetto di ruoli. Questo ragazzo ricorderà per tutta la vita che c’è stato un luogo come se fosse casa, ma non era casa, che lo ha aiutato, l’ha rassicurato, gli ha dato quella dignità per superare una prova che era l’ultimo esame, ma che non riusciva a dare”.
Come tutti, anche collegi e residenze hanno sofferto durante il lockdown, “ma – evidenzia il presidente – siamo rimasti sempre aperti, questo ha voluto dire anche un impegno importante perché per una struttura da 100 posti rimanere aperta per 7/8 persone i costi sono quasi gli stessi, ma mancano le entrate per sostenere quei costi. La scelta è stata quella di non mandare via nessuno, anche perché nella prima fase del lockdown la gente non si poteva spostare tra le regioni. Noi abbiamo recentemente svolto un’indagine attraverso un questionario somministrato a un gruppo di studenti per capire qual è stata l’esperienza di chi era rimasto all’interno delle residenze.
Nella quasi totalità si riscontra un sentimento di gratitudine perché i ragazzi si sono resi conto che esisteva una sorta di alleanza tra generazioni.
E l’educatore, in quel momento, non erogava un servizio, ma metteva a disposizione la sua presenza per accogliere i ragazzi che si sono sentiti come a casa”.
Da quanto accaduto durante il lockdown, secondo Giornelli, bisogna trarre una lezione:
“Non possiamo più permetterci che chiudano collegi,
noi abbiamo tante realtà che purtroppo non ce la fanno economicamente ad andare avanti. Per noi diventa un’emergenza, così come sta avvenendo per le scuole paritarie, dove ogni anno abbiamo alcune costrette a chiudere. Qui è la stessa questione: chiudere vuol dire far perdere un’opportunità di crescita ai giovani. Anche dopo la prima fase di lockdown, i ragazzi che avrebbero potuto andare a casa sono restati perché si sentivano più accolti per una possibilità di studio. Le residenze e i collegi hanno anche creato una comunità virtuale tra chi era a casa e chi era presente”.
Per la pandemia, racconta il presidente dell’Acru, “abbiamo avuto il primo anno una riduzione importantissima. Tranne pochissimi casi, soprattutto di realtà molto piccole, abbiamo sempre mantenuto un minimo di ospiti. Nell’anno accademico 2020-2021 la ripresa è già stata molto importante, adesso il 2021-2022 direi che tutte le nostre realtà sono piene. Anche in questo caso è interessante notare che, malgrado l’Università abbia aperto le aule a tutti gli studenti e contemporaneamente stia lavorando ancora in streaming, moltissimi seguono le lezioni a distanza. In ogni nostra realtà abbiamo il 20/30% di studenti che pur essendo fuori sede vengono nei nostri collegi e da lì seguono a distanza le lezioni.
Scelgono le nostre residenze perché significano esperienza che aiuta a diventare più adulti.
I ragazzi lo sentono e le famiglie accettano anche di affrontare delle spese perché credono e lo sperimentano che questa sia un’opportunità”.