“Occorre rimettere al centro della sanità la persona, la sua dignità e il suo diritto alla cura in ogni fase della vita. Anche di fonte a malattie inguaribili”. Ne è convinto il professor Filippo Maria Boscia, ginecologo e ostetrico di lungo corso, appena confermato alla guida dell’ Amci (Associazione medici cattolici italiani), che in un’intervista al Sir parla della “lezione” impartita dalla pandemia e delle piste di lavoro per i prossimi anni. A partire dal tema scottante del fine vita, dopo lo slittamento dell’esame in aula a Montecitorio del testo unico sul suicidio assistito firmato da Alfredo Bazoli (Pd), in precedenza previsto per il 25 ottobre, e il traguardo di oltre un milione 231 mila firme raccolte dai radicali per il referendum sull’eutanasia.
Non a caso, spiega Boscia, i temi al centro del congresso che dal 7 al 9 ottobre scorsi ha visto a Roma gli aderenti da tutta Italia, sono stati “la vita e l’emergenza culturale, etica, educativa e sociale. Abbiamo parlato di dignità umana, di servizio alla vita, di accompagnamento, discernimento, solidarietà e cura, amore, competenza associata a libertà e responsabilità”. Obiettivo “tracciare un cammino che, partendo dalla crisi antropologica che in questo momento sta negando il primato dell’essere umano, ribadisca la centralità della persona e l’inviolabilità della vita umama”.
“E’ bastato un piccolo virus ad azzerare molte delle nostre certezze mettendoci di fronte alla realtà dei nostri limiti. Un virus – riconosce il presidente Amci – che ci ha colto impreparati a causa delle fragilità del nostro sistema sanitario, vittima da anni di tagli e ferite di ogni sorta. La sanità pubblica è andata in sofferenza, mentre il nostro impegno si è concentrato soprattutto in progetti di solidarietà, attivazione di punti vaccinali, formazione, ribadendo senza mezzi termini anche nelle sedi istituzionali l’inammissibilità di scelte disumane come il dover decidere, di fronte alla mancanza di posti letto in rianimazione, se ricoverare l’anziano o il giovane, il malato con altre patologie o il sano”.
Centrale da sempre, e continuerà ad esserlo, l’azione positiva a sostegno e difesa della vita, dal concepimento fino alla morte naturale, “in ogni sua fase e con particolare attenzione agli innocenti e agli indifesi”. Un impegno, chiosa Boscia, che “dovrebbe tuttavia essere l’obiettivo di ogni medico, non solo del medico cattolico, perché la vita umana è di per sé inviolabile”.
Ma un’altra emergenza esasperata dal Covid-19 è quella della salute disuguale “causata dalle diseconomie in sanità, che ha colpito in particolare i fragili, i malati cronici, gli inguaribili, e richiede un’urgente riorganizzazione del sistema. Non basta curare, occorre prendersi cura sostenendo il valore dell’assistenza di prossimità”. Del resto, proprio il rafforzamento della prevenzione e dei servizi sanitari sul territorio, la modernizzazione del sistema sanitario e la garanzia di equità di accesso alle cure sono gli obiettivi della mission 6 del Pnrr, alla quale sono destinati oltre 18 miliardi di euro. “Con queste risorse – il commento del presidente Amci – dobbiamo certamente programmare l’innovazione tecnologica, ma gli strumenti non bastano: occorre puntare anche sulla formazione del medico: nessuno strumento, neppure il più sofisticato, può privare il malato dello sguardo del medico”.
Formazione che deve tenere conto anche della deontologia professionale e dell’obiezione di coscienza, “baluardo di autonomia professionale da salvaguardare”, afferma senza giri di parole Boscia:
“Non si possono obbligare i medici a dare la morte attraverso l’eutanasia”.
Ma lo sguardo si allarga: “Occorre diffondere la coscienza dell’obiezione anche nella società: mi pongo la coscienza di obiettare se ritengo un’azione sbagliata, o l’accetto passivamente?”.
E con riferimento alle oltre un milione 231 mila firme raccolte dai radicali per il cosiddetto “referendum sull’eutanasia”, il presidente dei medici cattolici sbotta: “Sono firme ‘estorte’ in modo ingannevole. La domanda di fondo non è: vuoi una morte migliore? Bensì: vuoi vivere una vita migliore?”. E qui entra in gioco “l’eubiosia, che indica il vivere bene ed è l’esatto contrario dell’eutanasia”. Perché, spiega, “la medicina si fa umana, non quando elimina la malattia ma quando aiuta l’uomo a viverla prendendosi cura della sua sofferenza”. La legge 38/2010 sulle cure palliative viene purtroppo applicata poco e a macchia di leopardo: “Eppure, sappiamo per esperienza che chi è assistito con umanità non chiede di morire, ma solo di essere sollevato da sofferenza e solitudine. Siamo contrari ai trattamenti medici inutili e sproporzionati, ma anche all’eutanasia.
La risposta a sofferenza, solitudine e disperazione non è l’eutanasia ma l’eubiosia”.
“Come medici cattolici – prosegue il presidente – vogliamo ripensare l’associazione nel suo complesso alla luce della dottrina cristiana. Per noi fare medicina oggi significa anche essere testimoni e missionari, portatori di una parola di bene per un nuovo modo di vivere la professione contro le derive della parcellizzazione delle cure che fa perdere la visione olistica della persona, o della creazione di filiere riproduttive o della ‘buona morte’”. Ma significa anche impegno per una nuova organizzazione sanitaria “non più basata solo sui bisogni minimali, e in grado di rispondere alle emergenze”. “Intendiamo farci carico di questa complessità di percorsi – conclude il presidente Amci – anche sollecitando e richiamando la politica a questa assunzione di responsabilità”.