49ª Settimana sociale. Don Patriciello: “Porterò il dolore della Terra dei fuochi”

Il sacerdote è parroco a Caivano, in una zona dove ambiente, lavoro e futuro sono pesantemente compromessi

(Foto: ANSA/SIR)

Ci sono luoghi dove è più evidente che mai come un ambiente malato mini la salute della popolazione, riduca le possibilità di sviluppo e di lavoro onesto, neghi un futuro alle nuove generazioni. Porterà la sua esperienza da una di queste zone, al Terra dei fuochi, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, alla 49ª Settimana sociale, che si terrà a Taranto, dal 21 al 24 ottobre, sul tema “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tutto è connesso”. Il sacerdote interverrà il primo giorno alla tavola rotonda “L’orizzonte che speriamo. Ecologia integrale e Pnrr”.

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Don Maurizio, quale esperienza porterà alla Settimana sociale dalla Terra dei fuochi dove ambiente, lavoro e futuro sono pesantemente compromessi?

Qui, al Parco Verde di Caivano, abbiamo il cuore gonfio di dolore e di angoscia per Antonio, il ragazzo di 22 anni scomparso il 4 ottobre e ritrovato cadavere il 18 ottobre in una zona periferica di Caivano. Aveva fatto delle scelte scellerate, come ammettono gli stessi genitori, era restato invischiato nelle maglie della camorra. Purtroppo, tutto lasciava prevedere il peggio. È terribile: era così giovane, l’ho battezzato il 19 settembre 1999. Ancora una volta, ambiente, lavoro, dignità della persona umana stanno insieme: questo ragazzo – al di là delle responsabilità personali che vanno messe in conto – è stato il frutto di quartieri come il nostro, una “fabbrica” di disagi. La mancanza di lavoro può spingere a bussare alle porte più vicine, che sono sempre quelle della camorra e del facile guadagno. Nel momento in cui il facile guadagno arriva, anche in percentuali alte, alla fine è difficile per far imboccare a un giovane la strada della normalità. L’unica possibilità che noi abbiamo è agire prima evitando che entrino in contatto con la criminalità organizzata. E non è solo qui, nei giorni scorsi a Secondigliano è stato ucciso, come un boss, con una decina di colpi di pistola un altro giovanissimo, 19 anni, fuori a un piccolo circolo. Oltre alla sua vita spazzata via, altre sono state messe a rischio. Sono stato contattato dalla mamma di Noemi, la bambina che a 4 anni, il 3 maggio 2019, fu colpita da un proiettile e lottò tra la vita e la morte. Dovevano venire a messa da me ma per la pioggia hanno rinunciato perché la bambina quando piove ha difficoltà a muoversi con il pesante busto che porta; è poi venuta domenica 17 ottobre senza pioggia. Noemi non è morta e di lei ci siamo già dimenticati, eppure in quell’agguato è stata segnata per il resto della vita. Ecco, alla Settimana sociale, porterò tutto questo dolore e dirò che non bisogna dimenticare queste zone, che fanno parte dell’Italia.

Il disagio di questi quartieri pesa sulla vita di tutti.

La sua è una terra che non offre futuro ai giovani, ma che, con il disastro ambientale legato allo smaltimento illecito dei rifiuti e i roghi tossici, nega anche la salute a tutta la popolazione…

Anche in questo caso il problema è che vogliamo dimenticare che è tutto collegato. I roghi tossici che avvengono in Campania sono frutto del lavoro in nero: in essi bruciano gli scarti delle lavorazioni in nero delle industrie di pellami, scarpe, borse, abbigliamento. Dall’ambiente, diventato malsano, il salto alla salute malsana è molto breve, anzi l’effetto è immediato. La prima prevenzione non sono gli screening, la prima prevenzione è un ambiente salubre: noi siamo l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, i prodotti della terra che mangiamo, se tutto ciò viene avvelenato è ovvio che saremo avvelenati anche noi. Tornano le parole del Papa sugli scarti che si lasciano dietro. Sono nodi che prima o poi arriveranno al pettine. E fanno male.

(Foto: ANSA/SIR)

Ci sono buone pratiche che può raccontare?

In Terra dei fuochi ci sono piccole realtà, danno lavoro a poche persone, ma non è sufficiente.

È necessaria la presenza di uno Stato più attento.

Dopo la stesa qui al Parco Verde dell’8 luglio scorso con dodici motociclette che percorrevano le strade e i centauri che sparavano con i kalashnikov, c’è stato un vertice nella scuola del Parco Verde alla presenza del prefetto, del questore, del commissario di Polizia, del comandante dei Carabinieri e della Guardia di finanza, del sindaco di Caivano. Tutti si affannavano a dire che lo Stato c’è, ma io ho osservato: se lo Stato c’era, in quel momento era distratto o stava dormendo. I ragazzi sono stati spaventati dai camorristi che sparavano come folli, sono stato refertati 27 bossoli, ma chissà quanti non sono stati trovati. Qualcosa che non funziona c’è. Se un episodio del genere fosse successo a via del Corso o a piazza del Popolo a Roma, a via Montenapoleone a Milano, che si sarebbe detto? Noi non abbiamo italiani di serie A o di serie B o, anzi, di serie Z: abbiamo italiani che vivono i Lombardia, nel Lazio e in Campania. I diritti dei ragazzi del Parco Verde di Caivano sono identici a quelli dei loro coetanei che vivono a Roma o a Milano.

Cosa si aspetta dalla Settimana sociale?

Già è importante che ci sia questo appuntamento nel quale la Chiesa cattolica italiana – e non solo – riflette sul connubio tra ambiente, lavoro, futuro. Come dice Papa Francesco, è tutto connesso. Non dimentico le sue parole di quel 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro deserta: pensavamo “di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Ma se il mondo è malato anche noi ci ammaliamo, se è sano il mondo saremo sani anche noi. Al di là delle piccole risposte che può dare pure la Chiesa, il lavoro è un problema politico. La Chiesa può essere sentinella, custode, può allertare gli animi e avvertire se si intraprende una strada sbagliata, ma i soldi da stanziare sono decisi dalla politica, come pure il lavoro da incrementare è una scelta politica.

A suo avviso, qual è l’orizzonte che abbiamo di fronte a noi sul fronte ambientale?

Ci sono situazioni diverse. I vari Siti di interesse nazionale (Sin) presentano caratteristiche diverse: un conto è parlare di Taranto con l’ex Ilva, un conto di Vincenza con i Pfas, un conto della Terra dei fuochi. In ogni regione i vescovi debbono guardare il problema a livello internazionale – i ghiacciai che si sciolgono, le plastiche nell’oceano, la temperatura che aumenta, le migrazioni -, ma anche conoscere le criticità del territorio diocesano.

Tutti insieme i vescovi devono fare da pungolo.

Richiamo le parole del Papa nella Laudato si’: “È lodevole l’impegno di organismi internazionali e di organizzazioni della società civile che sensibilizzano le popolazioni e cooperano in modo critico, anche utilizzando legittimi sistemi di pressione, affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali”. Infatti, se la società civile non obbliga coloro che ci governano a fare delle scelte importanti non sarà mai possibile un contrasto ai reati ambientali, perché ci sono interessi economici enormi e le persone non si fanno tanti scrupoli di sversare liquami. Il Papa sa che fa comodo agli industriali disonesti, ai politici corrotti, collusi o ignavi sfruttare l’ambiente. Se uccidi con una bomba una decina di persone, la strage ha un grande impatto emotivo. Se uccidi un intero popolo come sta succedendo in Terra dei fuochi avvelenandolo, questo avviene lentamente, perché prima le persone si ammalano, poi finiscono in ospedale e infine muoiono. Ma tutto ciò non suscita grande impressione.

Con il Pnrr c’è possibilità di cambiare rotta?

Spero che si tengano presenti le emergenze dei nostri territori e i soldi vengano spesi in base alle vere criticità che ci sono. Con una battuta, dico che noi cristiani siamo condannati alla speranza. Speriamo che i fondi siano usati davvero bene e non finiscano in mille rivoli che non aiutano o, peggio, in mani poco raccomandabili. È necessaria una sorveglianza e anche sorveglianti dei sorveglianti.

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