Provare a tenere accesa una luce, seppur flebile, sulla morte di un “bravo ragazzo, un vero uomo delle istituzioni, una figura che andrebbe mostrata come esempio a tutti i giovani che iniziano il loro cammino di preparazione alla carriera diplomatica”. È da queste convinzioni che il giornalista di Limes, Matteo Giusti, ha preso le mosse per dare alle stampe il libro “L’omicidio Attanasio, morte di un ambasciatore” (Castelvecchi editore, 128 pagine, 15 euro), il primo (“e unico”, sottolinea l’autore) libro dedicato alla figura di Luca Attanasio, accompagnato da una prefazione firmata dal premio Nobel per la pace Denis Mukwege.
“Fa malissimo vedere come a distanza di pochi mesi il silenzio sia tornato ad avvolgere l’est della Repubblica Democratica del Congo. Nemmeno il sacrificio di un diplomatico italiano, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo sono serviti a riportare l’attenzione su una terra da troppi anni martoriata”,spiega al Sir il giornalista.
Il suo lavoro di ricerca è iniziato all’indomani della tragedia del 22 febbraio 2021 quando l’ambasciatore, in visita alla provincia congolese del Nord Kivu, al confine con il Ruanda, veniva ucciso nel corso di un assalto al convoglio del World Food Programme (Programma alimentare mondiale) su cui si trovava per raggiungere alcuni villaggi. “Occupandomi da anni di Africa per Limes fui contattato da diverse testate che erano alla ricerca di qualcuno che potesse spiegare loro quale fosse il contesto in cui era maturata la tragedia”, racconta Giusti.
“Da quel momento – aggiunge – non mi sono più fermato”. È iniziato così un lavoro di ricerca che affianca alla difficile ricerca della verità un ritratto del diplomatico italiano attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto: cooperanti, missionari, colleghi. Ma a che punto sono le indagini sul triplice omicidio?
“L’unica cosa certa – precisa – è che l’organizzazione della sicurezza di quel viaggio non era adeguata: quella strada non poteva essere considerata sicura, come invece ha scritto il Wfp. Trovo incredibile che un ambasciatore di un Paese del G7 possa essere lasciato in una zona così pericolosa senza un’adeguata protezione. Questo, lo ribadisco, è l’unico punto fermo. Per il resto vedo solo ombre e nutro poche speranze che si possa arrivare a trovare i responsabili”.
Molto si è detto nelle settimane successive all’omicidio: l’esercito congolese ha accusato i ribelli delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), milizia formata da hutu ruandesi da decenni presenti nel Kivu, mentre altre accuse sono state rivolte nei confronti del governo ruandese o di banditi e delinquenti comuni. “Personalmente – spiega il giornalista – non credo né alla pista delle Fdlr, ormai ridotti a pochi uomini, né a quella che porta in Ruanda. Perché il governo ruandese dovrebbe attirare l’attenzione internazionale su una zona ricca di risorse in cui da decenni opera indisturbato un vero e proprio saccheggio? Penso piuttosto a disertori dell’esercito congolese (la diserzione è pratica quotidiana in quelle zone) o a banditi comuni che non avevano idea di chi ci fosse in quel convoglio”.
Supposizione e piste a cui gli inquirenti non hanno saputo, per il momento, dare concretezza: su mandato della magistratura italiana i Ros dei Carabinieri si sono recati in Congo per dei sopralluoghi nelle settimane successive alla tragedia, ma nel maggio scorso, a seguito dell’eruzione del vulcano Nyiragongo, a nord del capoluogo Goma, la zona della tragedia è stata completamente coperta dalla lava sotterrando ogni possibile traccia.
“Mi fa rabbia che il governo italiano non abbia chiesto in sede di Nazioni Unite un’interrogazione su quanto accaduto. – continua Giusti – Nessuno ha battuto i pugni sul tavolo pretendendo risposte per la morte di Attanasio, di Iacovacci e Milambo”.
A distanza di otto mesi resta il ricordo di un giovane diplomatico capace di svolgere il proprio servizio senza perdere la sua umanità. Più volte parlando del suo lavoro l’ambasciatore Attanasio aveva usato la parola “missione” e non è un caso che la sua figura sia stata scelta dalla Fondazione Missio come uno dei “testimoni e profeti” dell’Ottobre missionario ormai alle porte.
“Luca – racconta la moglie Zakia Seddiki (nel video disponibile qui) – si arrabbiava tanto quando sentiva i tanti appelli per la pace dei missionari in quelle zone del Congo, ma poi nessuno faceva niente. Luca per me è testimone di pace, testimone di una diplomazia che non esaurisce il suo compito dietro una scrivania, Luca per me è testimone del “possiamo fare” le cose. Amava il suo lavoro, amava l’Italia e rappresentare le istituzioni era per lui come una missione”.