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Green pass. Graffigna (Univ. Cattolica): “Una comunicazione che valorizzi il protagonismo dei cittadini”

Da venerdì 15 ottobre scatta per i lavoratori l'obbligo di green pass negli uffici e nelle aziende. Ad oggi ne sono stati scaricati oltre 90 milioni, eppure solo poco più della metà degli italiani lo ritiene una misura efficace a ridurre il rischio di contagi. Per Guendalina Graffigna, psicologa della salute e dei consumi, occorre una comunicazione positiva che valorizzi la possibilità dei cittadini di essere protagonisti nella gestione della propria salute e nell'attività di prevenzione

Foto Calvarese/SIR

Da venerdì 15 ottobre scatta per i lavoratori l’obbligo di green pass negli uffici e nelle aziende: chi non avrà il certificato verde con il Qr code non potrà lavorare e la sua sarà considerata un’assenza ingiustificata. Ad oggi i green pass scaricati dalla piattaforma nazionale gestita dal ministero della Salute sono circa 93 milioni, di cui 70 milioni da vaccinazione, 2,1 milioni da certificato di guarigione (validi sei mesi) e quasi 20 milioni da tampone (validi 48 ore). Eppure, solo poco più della metà degli italiani, il 56%, ritiene che il certificato verde sia una misura efficace a ridurre il rischio di contagi e dunque utile nella lotta alla pandemia da Covid-19. Un po’ più ampia (60%) la quota dei cittadini che vede nel green pass uno strumento di responsabilità sociale. E’ quanto emerge da una rilevazione dell’ EngageMinds Hub, Centro di ricerca dell’Università Cattolica, con sede a Cremona, su un campione di oltre 6mila italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione. Di crisi di fiducia verso la scienza e le autorità sanitarie, e di errato concetto di libertà, parla Guendalina Graffigna, ordinario di psicologia della salute e dei consumi e direttore del Centro di ricerca, alla quale abbiamo chiesto come leggere la diffidenza verso il green pass e il timore che violi la libertà individuale e la privacy.

Guendalina Graffigna – Foto archivio

“Sono i sintomi di una crisi della fiducia profonda che oggi la società nutre nei confronti della scienza, delle autorità sanitarie e addirittura del sistema sanitario. Una crisi di fiducia che riguarda non solo l’Italia ma un po’ tutti i paesi occidentali, non nasce con il Covid ma che il Covid ha certamente esasperato e portato in superficie”, risponde l’esperta. Da una parte “la gestione di un’emergenza senza precedenti da parte della scienza e delle autorità sanitarie, che hanno dovuto assumere decisioni talvolta anche impopolari”, dall’altra “una società trovatasi a fare i conti con una situazione di incertezza che ha fortemente impattato sulla vita quotidiana”: due elementi che “hanno ulteriormente approfondito la spaccatura”. Del resto, l’analisi di Graffigna, in una “società occidentale post-individualista, nella quale tendiamo a mettere al primo posto i nostri bisogni e aspettative di autorealizzazione, qualsiasi misura preventiva che anteponga invece la salute o il benessere della collettività viene percepita come frustrante, limitante di questa presunta libertà individuale”.

L’atteggiamento verso il green pass, e quelli, analoghi, già rilevati nei mesi scorsi dall’EngageMinds Hub verso la App Immuni o i vaccini, “costituiscono le perle dello stesso fil rouge psicologico e sociale che esprime la reazione degli italiani nei confronti delle misure preventive. Oggi – prosegue Graffigna –

si confonde il concetto di libertà con il soddisfacimento dei desideri individuali,

ma stiamo perdendo un po’ di vista quella che è la dimensione umana della vita e quanto questa dimensione sia fortemente interconnessa in un sistema complesso a domino, nel quale la mia libertà e il mio desiderio legittimo di autodeterminazione hanno dei limiti”. Un quadro dal quale emerge,  secondo la docente, “la mancanza nella nostra cultura di un’educazione alla prevenzione che è, per definizione, una rinuncia ad abitudini consolidate, una spinta a modificare stili di vita, un’imposizione di limitazioni, qui ed ora, ma che andrà a valorizzare la nostra libertà di auto determinazione nel lungo termine”.

Due le linee di intervento indicate dall’esperta. Come discorso generale, “occorre partire dalla scuola: parlare di salute e di prevenzione durante una pandemia è tardi, mentre aderire ad iniziative preventive è un tema di responsabilità civica. Per questo, fin dalla scuola primaria bisognerebbe aggiungere all’insegnamento di educazione civica qualche approfondimento in materia di salute facendo comprendere ai bambini che ogni cittadino fa parte del sistema sanitario nazionale, un patrimonio che appartiene a tutti noi, non va dato per scontato, ma va preservato con il contributo di ciascuno”.

E per quanto riguarda il green pass, per Graffigna la ricetta è

una comunicazione positiva e motivante.

Il certificato verde, spiega, costituisce “un momento di contatto molto importante che le autorità hanno con i cittadini. Perché non utilizzarlo anche come strumento di comunicazione?”. Anziché “assumere toni critici o ‘punitivi’” verso la popolazione, l’esperta esorta a “comunicare un messaggio positivo agli italiani dicendo loro grazie, facendo sapere quanti di loro lo hanno acquisito, sottolineando quanto partecipare a questa operazione collettiva di prevenzione possa avere un impatto concreto sulla salute”. Occorre valorizzare il “patient engagement”; del resto, “se facciamo i conti, gli italiani, magari con fatica e sacrificio, hanno risposto bene e stanno continuando a rispondere bene alle misure di prevenzione, compreso il green pass. Dobbiamo valorizzare questa percentuale maggioritaria di cittadini per consolidarli nella propria scelta ed essere loro stessi ad influenzare gli altri. Rendiamoli protagonisti attivi e motivati di una comunicazione positiva ed efficace”.

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