“La riforma fiscale è tra le azioni chiave individuate nel Pnrr per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese e in tal senso costituisce parte integrante della ripresa che si intende innescare anche grazie alle risorse europee”. Così la relazione che accompagna il disegno di legge-delega sul sistema delle imposte approvato dal Consiglio dei ministri. Il governo avrà tempo 18 mesi per emanare i decreti attuativi, in un percorso che prevede ripetuti passaggi a livello parlamentare. Del resto, lo ha voluto rimarcare il ministro dell’Economia, Daniele Franco, il “punto di partenza” del testo varato a Palazzo Chigi è proprio la sintesi predisposta dalle commissioni parlamentari competenti dopo un ampio lavoro di ricognizione.
Lo stesso ministro ha ricordato che l’attuale sistema fiscale è stato concepito cinquant’anni fa, in un contesto economico-sociale completamente diverso e, pur avendo ricevuto ripetuti aggiustamenti (anzi, anche a causa di questi), ora ha bisogno di una riforma complessiva.Il ddl non entra nel dettaglio dei singoli temi. Indica soltanto alcuni principi e criteri direttivi, come avviene per ogni legge-delega. In questo caso, a onor del vero, la griglia disegnata appare a maglie più ampie che in altre occasioni. Lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha parlato di “una scatola” che andrà riempita di contenuti attraverso i decreti attuativi. Su questo provvedimento “molto generale”, si è però aperto un caso politico “serio” (ancora parole di Draghi), con la decisione della Lega di non far partecipare i propri ministri al voto collegiale.
Il disegno di legge-delega si compone di 10 articoli. Gli obiettivi fondamentali della riforma sono: la crescita dell’economia, attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall’impiego dei fattori di produzione; la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, da attuarsi anche attraverso la riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti e l’eliminazione dei cosiddetti “micro-tributi” con gettito trascurabile per l’Erario; la progressività del sistema, che va preservata seguendo il dettato costituzionale che richiama un principio generale di giustizia ed equità; la riduzione dell’evasione ed elusione fiscale.
La riforma punta al completamento del “sistema duale”. Da un lato i redditi da capitale, per cui è prevista la tassazione proporzionale, tendenzialmente con un’aliquota uguale per tutte le tipologie. Dall’altro i redditi da lavoro, con una graduale riduzione delle aliquote effettive medie e marginali dell’Irpef.
Il fine è quello di incentivare l’offerta di lavoro, in particolare nelle classi di reddito dove si concentrano i secondi percettori di reddito e i giovani. Si tratta in altre parole di correggere quegli sbalzi di aliquota (come il famigerato “scalone” dal 27% al 38%) che penalizzano soprattutto i ceti medi e di ridurre il “cuneo fiscale” per dipendenti e datori di lavoro. La delega prevede inoltre la revisione delle deduzioni dalla base imponibile e delle detrazioni d’imposta nonché della tassazione sul risparmio.Per quanto riguarda l’Ires – e quindi i redditi da impresa – la direzione è quella di un tendenziale e progressivo allineamento con la tassazione di tutti i redditi da capitale, oltre a una decisa semplificazione degli adempimenti. L’Iva e le altre imposte indirette andranno razionalizzate e ripensate, per semplificare le procedure, ridurre l’evasione e renderle coerenti con gli impegni del green deal europeo. Quanto all’Irap, si va verso il suo graduale superamento. L’Imu relativa agli immobili è destinata ad affluire sempre più ai Comuni piuttosto che allo Stato, in prospettiva fino alla sua totalità.
La riforma, inoltre, interviene profondamente sul sistema della riscossione, riportando quest’ultima funzione (attualmente gestita da un ente distinto) all’interno dell’Agenzia delle Entrate. Le norme tributarie, infine, saranno riordinate in codici unitari per “semplificare la vita e l’attività dei contribuenti”, ha sottolineato il ministro Franco in sede di presentazione.
Merita uno spazio a parte il capitolo del catasto, quello su cui si sono concentrate le polemiche politiche. “È prevista – spiega Palazzo Chigi – l’introduzione di modifiche normative e operative dirette ad assicurare l’emersione di immobili e terreni non accatastati. Si prevede, inoltre, l’avvio di una procedura che conduca a integrare le informazioni sui fabbricati attualmente presenti nel catasto, attraverso la rilevazione per ciascuna unità immobiliare del relativo valore patrimoniale, in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato e introducendo meccanismi di adeguamento periodico”.
“Le nuove informazioni – prosegue la nota di Palazzo Chigi – non saranno rese disponibili prima del 1° gennaio 2026 e intendono fornire una fotografia aggiornata della situazione catastale italiana. Gli estimi catastali, le rendite e i valori patrimoniali per la determinazione delle imposte rimangono quelli attuali. Le nuove informazioni raccolte non avranno pertanto alcuna valenza nella determinazione né delle imposte né dei redditi rilevanti per le prestazioni sociali”.
“Nei giorni scorsi si è teso a confondere – ha tenuto a precisare Draghi – ma una decisione è costituire una base di decisione adeguata, e ci vorranno cinque anni, un’altra decisione è cambiare le tasse. Noi la seconda decisione non l’abbiamo presa. Solo nel 2026 se ne riparlerà”.