Un sogno che si è realizzato, ma con lo sguardo sempre in avanti per accogliere nuove sfide, con al cuore, pur con modalità diverse, sempre la stessa missione: custodire, con amore, la vita più fragile e indifesa. L’Istituto Serafico di Assisi compie 150 anni. Era, infatti, il 17 settembre 1871, quando San Ludovico da Casoria decise di fondare ad Assisi un’opera dedicata a San Francesco, che si prendesse cura di bambini e ragazzi ciechi e sordi.
“È un sogno che parte da lontano: la nostra opera è dedicata a San Francesco che negli ultimi anni della sua vita era quasi del tutto cieco. San Ludovico da Casoria, proprio pensando a lui, venne ad Assisi, s’inginocchiò davanti a un Crocifisso e gli chiese se era giusto realizzare qui un’opera attraverso cui prendersi cura di ragazzi ciechi e sordi e si sentì rispondere tre volte sì. Oggi il Serafico è parte della realizzazione di quel sogno perché il cammino continua.
L’obiettivo è sempre prendersi cura di bambini e ragazzi con disabilità e garantire loro una vita piena”.
A parlare è Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico. “Negli anni – spiega – abbiamo attraversato tante sfide, ma siamo andati sempre avanti: tanta solidarietà è il filo conduttore di questi 150 anni. Quando nel 1931-32 padre Giovanni Principe iniziò a costruire la nuova sede, perché la prima non era più sufficiente, i frati non avevano un soldo. Il Papa gli chiese come pensava di fare e lui rispose che ci avrebbe pensato la Provvidenza. Così s’iniziò a chiedere una pietra per il Serafico in tutta Italia e la nuova sede fu edificata. La storia si è ripetuta con il terremoto del 1997, quando la struttura è stata dichiarata inagibile, fino agli anni nostri”. Ma la sfida più grande è stato il Covid-19 “perché non ci ha colpito tanto negli aspetti materiali, ma in quello che abbiamo di più caro: i ragazzi”. Al Serafico, afferma, “abbiamo imparato che la vita ci sorprende sempre, sa ritessere la sua trama, quindi usciamo da questa pandemia ancora più consapevoli di quello che questi ragazzi rappresentano per noi. Oggi, come 150 anni fa San Ludovico, anche noi ci troviamo a dire un sì ai nostri ragazzi”.
Nel lungo cammino del Serafico, “abbiamo dato risposte che le istituzioni ancora non davano. Questa è la storia del Serafico: nasce nel 1871 per dare un’istruzione a ciechi e sordi, che, a quell’epoca, non avevano accesso alle scuole. In seguito, il Serafico si è reinventato occupandosi della disabilità grave e complessa in ambito educativo. Poi ancora un’evoluzione negli anni Ottanta, quando il Serafico ha iniziato a rispondere ai bisogni sanitari: dall’intervento riabilitativo della disabilità complessa fisica sensoriale fino ad arrivare ai giorni con risposte ai disturbi del neurosviluppo e del comportamento. La nuova grande emergenza è su questo fronte e abbiamo richieste da tutta Italia”. Ma, avverte Di Maolo, “oggi la nuova sfida riguarda l’accessibilità alle cure: accanto ai nostri ragazzi ci siamo resi conto che il Servizio sanitario nazionale non è accessibile per tutti perché offre prestazioni a tutti in modo uguale, senza tener conto dei limiti. Per esempio, una persona che non è collaborante, non solo un ragazzo autistico ma anche un anziano con l’Alzheimer, non può fare una spirometria perché non gli puoi dire di soffiare nello strumento, è quasi impossibile fare una visita oculistica, se non sono persone verbali non leggeranno lo schermo. Tante volte ci siamo trovati ad accompagnare i ragazzi in ospedale e ci siamo sentiti dire: ‘Questo esame non lo possiamo fare’.
L’accessibilità delle cure richiede strumentazioni accessibili.
Servono, dunque, un’accessibilità dei luoghi e degli strumenti e un personale formato non solo sulla malattia ma sul malato, capace di accogliere veramente tutti”. Il Serafico è impegnato, oggi, a “dar voce a questi bisogni per far sì che il Servizio sanitario nazionale diventi veramente accessibile, ci sono delle interlocuzioni anche ad alti livelli e speriamo che, grazie al Pnrr, in questo momento di riforma del Ssn, il problema possa essere affrontato. Intanto, nel nostro piccolo, stiamo iniziando ad aprire qualche ambulatorio e continueremo a farlo. Ma non possiamo fare tutto al Serafico, per questo
vogliamo aiutare il Servizio sanitario nazionale a creare una rete di servizi per persone con disabilità complessa.
È necessario se vogliamo che la sanità sia per tutti. Non possiamo dare risposte uguali a persone che hanno problematiche diverse”. La capacità di guardare al futuro e alle reali necessità ha un segreto: “Sono i genitori che ci hanno dato il coraggio di andare avanti in questi 150 anni: accanto a loro ci siamo rinnovati continuamente rispetto alle attese e ai bisogni. Sono loro insieme con i figli e i nostri operatori il volto del Serafico”, osserva Di Maolo.
Ed è proprio una mamma, Anna Gallotta, a raccontarci la sua storia. Giorgio Rossi ha 29 anni e da 10 vive al Serafico: “Dopo una gravidanza buonissima, ci sono stati i problemi al momento del parto per una sofferenza perinatale con emorragia e lesione cerebrale. La diagnosi è stata tetraparesi distonica discinetica. Giorgio capisce tutto ed è molto intelligente, però fisicamente ha un serie di problematiche che con la crescita si sono acuite: sta in carrozzina, non parla, se non con gli occhi, ha bisogno di un costante aiuto. È stato sempre con noi fino a 18 anni, ha fatto tutte le scuole fino alle superiori. Fino a 7 anni è vissuto ‘per terra’. Abbiamo girato tutta l’Italia e fatte tutte le terapie possibili. Dopo la visita all’Ospedale Maggiore di Bologna è arrivata la prima carrozzina”. La famiglia vive a Rieti: “La nostra è una bella cittadina, ma senza possibilità per chi soffre di patologie come Giorgio. Finché è andato a scuola c’è stato modo di distrarlo, ma arrivato ai 18 anni, ci siamo messi alla ricerca di una struttura che gli potesse dare qualcosa in più.
Non è facile staccarsi da un figlio che è la metà di te e con il quale vivi 24 ore su 24.
Per fare questo passo devi trovare un posto che sia più di casa. Non è stato facile. Poi un amico di mia madre mi ha suggerito di andare al Serafico. Mi si è aperto un mondo perché ho trovato un posto dove lasciare Giorgio ed essere felice nella consapevolezza che in quella struttura sta meglio che a casa. Ma entrarci non è stato facile, perché noi siamo fuori regione”. Tra fine 2010 e inizio 2011 prende avvio la battaglia legale con la Asl per fare entrare Giorgio al Serafico: “Davanti a un ennesimo stop un giorno ho pensato di incatenarmi davanti alla Asl o al Comune di Rieti per rivendicare il diritto di mio figlio a essere seguito da un Istituto di alto livello. Alla fine mi sono rivolta a un giudice”. La sentenza del tribunale, un paio di anni fa, a favore della richiesta della famiglia mette fine a dieci anni di contenzioso con l’Asl di Rieti. Nel frattempo, l’Istituto ha trovato, comunque, il modo di garantire il percorso di cura e riabilitazione di cui Giorgio ha diritto, grazie a permessi temporanei.
“Oggi stiamo tranquilli, perché Giorgio al Serafico sta benissimo – testimonia Anna -.
Quello che si percepisce all’Istituto è un senso di amore verso l’altro che non si vede da nessun’altra parte.
Tutti i ragazzi stanno a loro agio perché gli operatori sono persone vere, sensibili, preparate, che lavorano per l’altro con amore. Gli ospiti dell’Istituto sono ragazzi difficilissimi che hanno una serie di problemi, eppure gli ‘angeli’ del Serafico sono capaci di dare tutto quello che serve: l’affetto, la carezza, la risata, il sorriso, la serenità, la tranquillità”. Giorgio fa fisioterapia tutti i giorni, laboratori di musica e ceramica, terapia occupazionale. “Dal punto di vista sanitario è seguito in maniera fantastica. A Pasqua Giorgio ha avuto bisogno di un ricovero in ospedale, al Serafico hanno gestito benissimo questa crisi, capendo subito la gravità della situazione: purtroppo, fino a quel momento mangiava, mentre adesso si deve alimentare via Peg”. Anche Anna evidenzia il problema dell’accessibilità delle cure per chi ha problemi speciali: “Dopo l’ultimo ricovero di Pasqua Giorgio doveva fare un esame per capire come funzionava la deglutizione. Fatta la prenotazione è stato accompagnato in ambulatorio, ma il medico, vista la sua distonia, non ha eseguito l’esame. Grazie al Serafico, è stato individuato un altro centro, dove, grazie al giusto approccio dell’otorinolaringoiatra, è stato possibile portare a termine l’accertamento. Ciò dimostra la necessità di percorsi specifici di cura per questi ragazzi. Ci vogliono più tempo, più pazienza, la tecnica giusta”.