Ancora Italia sul tappeto rosso. Nell’ottavo giorno della 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia occhi puntati su “Freaks Out”, opera seconda del regista-attore Gabriele Mainetti in cerca di una conferma dopo il fragoroso esordio con “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2015). “Freaks Out” è una commedia nera che si muove tra le coordinate della Storia, la Seconda guerra mondiale e il dramma della Shoah, e i sentieri del fantasy-fumetto, in testa gli X-Men. Nella sezione concorso c’è anche il dramma russo “Captain Volkonogov Escaped” del duo Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, che racconta il cammino di espiazione di un capitano sovietico che si è macchiato di torture nel corso della sua carriera; un uomo alla ricarica del perdono per poter conquistare la soglia del Paradiso. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra, mercoledì 8 settembre.
“Freaks Out”
Con “Lo chiamavano Jeeg Robot” del 2015 il regista romano Gabriele Mainetti, classe 1976, ha messo tutti d’accordo, facendo incetta di premi tra cui 7 David di Donatello e di presenze al botteghino. A distanza di poco più di cinque anni torna con la sua opera seconda, quella che per un regista è la prova della maturità, dove in ballo c’è la conferma delle attese. E il suo nuovo film “Freaks Out” è finito direttamente in concorso alla Mostra del Cinema, in compagnia di autori italiani di peso come Paolo Sorrentino e Mario Martone.
La storia. Nella Roma del 1943, dove c’è una presenza opprimente delle forze nazi-fasciste e sono in atto le deportazioni di ebrei verso i campi di concentramento, un gruppo di strambi circensi cerca un’occasione per fuggire in America. Il capocomico è Israel (Giorgio Tirabassi), un illusionista dal cuore gentile. Accanto a lui quattro artisti che si esibiscono in performance fuori dal comune: Matilde (Aurora Giovinazzo) imprime elettricità su qualsiasi oggetto; Cencio (Pietro Castellitto) è capace di controllare e manovrare ogni insetto; Fulvio (Claudio Santamaria) è un uomo particolarmente forzuto nonché coperto da folta pelliccia; e Mario (Giancarlo Martini) attrae il metallo come una calamita. Questo bislacco gruppo di incantatori viene preso di mira dal folle Franz (Franz Rogowski), un gerarca nazista in cerca di uomini straordinari…
Un remix di generi cinematografici e titoli cult insieme a una visione personale molto grintosa e vigorosa. “Freaks Out” da un lato rielabora la storia della Roma occupata dai nazisti e il dramma della Shoah con i codici della commedia irriverente dalle sfumature drammatico-educative, sul cui binario si trovano precedenti importanti come “La vita è bella” (1997), “Train de vie” (1998) o il più recente “Jojo Rabbit” (2020); dall’altro c’è l’audacia di portare il fantastico, il mito di eroi dai superpoteri alla X-Men, nelle pieghe di avvenimenti storici dagli echi densi di sofferenza. Se a questo si aggiunge un continuo richiamo a citazioni artistiche di matrice diffusa (il gerarca Franz che nel 1943 suona al pianoforte il brano “Creep” dei Radiohead), il risultato è un caotico ma avvincente caleidoscopio di suggestioni ed emozioni. Rimarcando la bravura degli interpreti tutti, a partire dai “Freaks” Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini e Aurora Giovinazzo, non si può non esprimere apprezzamento per l’audacia ideativa e produttiva messa in campo da Mainetti, che vuole cavalcare l’onda di un nuovo cinema italiano non accomodante né limitato nel dispiegamento dei mezzi, degli effetti speciali. Un cinema che ricerca e forse conquista un pubblico di giovanissimi, giovani e non solo, unendo la cultura (ultra)pop a una tradizione cinematografica consolidata. Il risultato è un prodotto godibile, frizzante, con qualche riserva. Ha dichiarato Massimo Giraldi, presidente della Commissione film Cei e giurato Signis al Festival: “Va fatto notare che la seduzione generata degli effetti speciali (davvero molto curati e di alto livello) genera un sovraccarico di immagini che toglie respiro e fluidità al racconto. Si legge nel regista Mainetti un desiderio di mostrare capacità, cultura audiovisiva e nel complesso freschezza espressiva; in più si avverte sempre la responsabilità dell’opera seconda dopo un grande successo d’esordio. Il risultato è di certo apprezzabile, ma non privo di sbavature o eccessi. Il punto debole di ‘Freaks Out’ è a ben vedere è proprio nell’eccesso: l’opera è bella ma non poco sovraccarica, e questo affossa la sua capacità di restare nella mente dello spettatore, protesto più a memorizzarne l’artificio che il senso”. Dal punto di vista pastorale “Freaks Out” è consigliabile, problematico e per dibattiti.
“Captain Volkonogov Escaped”
Dopo “The Card Counter” dello statunitense Paul Schrader arriva in concorso il film russo “Captain Volkonogov Escaped” dei registi Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, opera che si muove sulle stesse premesse: può un militare responsabile di torture e soprusi, sotto la pressione di un sistema gerarchico schiacciante e spregiudicato, cambiare corso alla sua esistenza e sperare nella redenzione?
La storia. Siamo nel 1938, il capitano Fedor Volkonogov è uno dei giovani più rispettati nel servizio di sicurezza nazionale del Paese. Un improvviso evento lo spinge a disertare e a cercare disperatamente la fuga; nella sua corsa in sogno gli compare un ex compagno di caserma che lo invita a farsi perdonare da almeno uno dei familiari delle tante vittime innocenti uccise per potersi guadagnare le porte del Paradiso. Il giovane Fedor si mette dunque in marcia, inseguito dai suoi ex commilitoni. Il protagonista Fedor Volkonogov (Yuriy Borisov), con la sua ossessiva ricerca del perdono, sembra quasi comporre una dolente Via Crucis, un tragitto che conduce sul crinale della morte per afferrare le tracce di Infinito. Vediamo sulle prime il giovane Fedor imbevuto di ideologia e di rigore militare: esegue gli ordini dei superiori e non disdegna la violenza. L’improvviso cambio di corso della sua vita, la fuga, all’inizio gli fa visualizzare il perdono come un processo automatico per guadagnare l’Aldilà; man mano però che si trova faccia a faccia con i familiari delle persone che ha torturato e ucciso la sua armatura cede, e il dolore inizia a filtrare nella sua epidermide. Il capitano Volkonogov inizia a capire la gravità delle sue azioni, inizia la sua mutazione. E nelle stazioni finali del suo percorso, ormai stanco e quasi vinto dal peso che grava su di sé, compie il primo vero atto di misericordia: lava e accudisce una donna anziana inferma quasi esanime. È lì che Fedor sperimenta per la prima volta il donarsi, senza voler ottenere nulla in cambio. Ed è forse lì che sfiora la Grazia… Quello che di certo ci consegnano i due registi è un racconto parabolico di forte riflessione, forse non del tutto centrato, ma denso di senso. Un’opera dove filtra la luce della speranza.
Sul film “Captain Volkonogov Escaped” ha sottolineato Massimo Giraldi: “In uno scenario sovietico non perfettamente identificabile, che ne sfuma i contorni, la figura di Volkonogov si fa emblema dell’uomo qualunque, anzi di quell’uomo che si è smarrito nel Male, cui viene offerta una possibilità di redenzione. La cornice spirituale dell’opera di Merkulova-Chupov è più che accennata, quasi fin troppo evidente. Se il pregio risiede nella forte carica religioso-poetica, la sua debolezza probabilmente si coglie in una insistenza didascalica, che sembra voler accompagnare a tutti i costi lo spettatore in una direzione precisa. Da rimarcare è senza dubbio l’interpretazione di Yuriy Borisov che tratteggia con precisione Fedor e il cambiamento, tanto nello sguardo quanto nei gesti: prima militare integerrimo, poi un uomo alla deriva e infine essere umano misericordioso”. Dal punto di vista pastorale il film “Captain Volkonogov Escaped” è da valutare come consigliabile, problematico e per dibattiti. Un’opera adatta al pubblico adulto per le crude immagini in campo.