Tra il 1° agosto 2020 e il 31 luglio 2021 in Italia sono stati consumati 1.875.038 reati, il 7,1% in meno rispetto ai 2.019.277 del corrispondente periodo agosto 2019-luglio 2020, e sono state uccise 276 persone (-6,4% rispetto all’anno precedente). Tredici omicidi sono attribuiti alla criminalità organizzata. Le rapine sono state 19.975 (in calo), i furti 730.061 (in calo), le truffe 155.242 (aumentate del 16,25 %). I delitti informatici sono stati 202.183, il 27.35% in più dell’anno precedente. Sono stati rilevati 4.938 attacchi informatici, a fronte dei 460 del corrispondente periodo agosto 2019-luglio 2020. In aumento la pedopornografia on line: sono state arrestate 144 persone (il 234,9% in più rispetto alle 43 dei dodici mesi precedenti) e denunciate 1.541 (l′86,1% in più). Sono alcuni dei dati contenuti nel dossier diffuso dal Viminale in occasione della riunione di Ferragosto del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto, a Palermo, dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Sui dati riflettiamo con Maurizio Fiasco, sociologo specializzato, tra le altre cose, in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica.
Come leggere i dati diffusi dal ministero dell’Interno?
La criminalità non è un andamento, ma un fenomeno fortemente condizionato da un insieme di fattori istituzionali, sociali, morali, di costume, cronache, vicende generali e particolari. Una interpretazione non strumentale deve considerare tutti questi aspetti. I dati del Viminale fotografano la situazione dei reati l’Italia, nel periodo della pandemia, che ovviamente ha un grande peso. Dopo questa premessa, registro con soddisfazione che siamo scesi sotto i due milioni di reati denunciati, un dato così lo troviamo negli anni ’80. È un passo storico come l’ulteriore diminuzione dei reati violenti. C’è una divaricazione tra il Paese reale, nella sua vita quotidiana, e la visione sotto il profilo della sicurezza che ne offre la classe politica. Gli omicidi sono 276, in calo del 6,4%: venti anni fa gli omicidi in Italia erano quasi duemila. Da un lato,
c’è un mercato speculativo della paura che non rappresenta affatto il Paese reale;
dall’altro, alcuni dati di cui dovremmo essere orgogliosi non vengono adeguatamente sottolineati.
Comunque, quasi 300 persone sono state uccise nell’ultimo anno…
Certo, 300 omicidi sono ognuno una tragedia. C’è il livello del fatto singolo dove l’analisi statistica non conta nulla: il fatto unico e irripetibile va trattato come tale; c’è poi un’immagine generale della società, degli italiani, dei rapporti a cui la statistica dà un supporto. Se lo sconcerto, la sofferenza, l’indignazione sono non solo giustificati ma necessari perché stimolano a prendere atto della lezione che viene dai fatti terribili di sangue, quello che non è accettabile è il messaggio di una inflazione di comportamenti tale che ci esonera dalla responsabilità di agire. Perché se il fenomeno è iperbolico e la tragedia universale, c’è il rischio che ognuno di noi si senta esonerato dal dare rilievo ai propri comportamenti, ma non è così. Dai 300 casi di omicidio dobbiamo trarre una lezione per cambiare i comportamenti delle società locali, dei vicinati, del prossimo di queste vittime e dei servizi di polizia e di giustizia. Siccome i casi sono contenuti, ognuno di essi non va lasciato cadere, ma va preso in considerazione perché non si ripetano vicende simili.
Diminuiscono anche i femminicidi, anche se sono decisamente molti.
Questa condizione è legata all’aumento delle denunce per stalking, anche perché i bersagli dello stalking per tre quarti sono donne. È vero che c’è un calo del 13,9% dei femminicidi rispetto all’anno precedente, ma 105 donne uccise sono troppe. L’obiettivo di estinguere il femminicidio è alla portata proprio perché si sta facendo strada il messaggio della prevenzione generale con le denunce per stalking.
Prima diceva che i dati dell’ultimo dossier del Viminale riflettono anche il periodo di pandemia…
In realtà, tutti prevedevano che con la chiusura in casa l’intolleranza, gli atti inconsulti e gli omicidi avrebbero avuto un balzo, invece gli italiani non hanno perso la testa, benché abbiano sofferto, e questo ha contenuto le condotte violente. Poi ci sono delle isole dove c’è uno stato di conflitto e la presenza della criminalità organizzata. Proprio perché oggi è un fenomeno che si presenta con concentrazioni in alcuni territori lì bisogna fare il massimo sforzo. Pensiamo alla provincia di Foggia: non è possibile che succedano dei crimini atroci come quello di sabato 14 agosto a San Severo. Lo Stato oggi ha l’opportunità di selezionare queste isole e di concentrare i suoi sforzi per ripristinare la sovranità in tali luoghi.
La pandemia ha avuto un effetto sull’aumento dei delitti informatici?
Già prima del balzo, nella quotidianità, dell’uso dei canali digitali da parte degli italiani, a causa del Covid, la tecnologia informatica era un supporto ad un’amplissima gamma di reati. L’alfabetizzazione a tappe forzate all’uso dei canali digitali ha lasciato, poi, dei varchi che la criminalità più raffinata, grazie a reti che non si fermano ai confini nazionali ma spaziano nei cinque continenti, ha colto velocemente. Se l’alfabetizzazione fosse stata più graduale, andando di pari passo con l’evolversi della dimestichezza degli italiani con lo strumento informatico, sarebbe stata accompagnata da una serie di comportamenti di preveggenza. Ma così non è stato.
Si riferisce all’attacco hacker alla Regione Lazio?
Gli hacker sono stati scaltri e pronti a cogliere l’occasione, ma il costume, le abitudini, il senso comune, la personale responsabilità nei tanti comportamenti che assumiamo in una giornata ancora è di là da venire per quanto riguarda la disciplina che il digitale impone. La vulnerabilità nasce dall’alfabetizzazione accelerata e, al tempo stesso, dalla lentissima presa di coscienza di una responsabilità dei singoli individui perché tutto l’insieme del sistema funzioni. Questo è un aspetto che chiama in causa anche la qualità delle direzioni perché l’ente nel momento in cui ha tutti i dipendenti, che lavorano da casa doveva dare delle regole minime, per ridurre i rischi. Non c’è stato il tempo né la volontà, forse, di responsabilizzare e di diffondere un’educazione all’uso attento dello strumento informatico, che è già di per sé un vettore di comportamenti di distrazione. Questa vulnerabilità porta un vantaggio ai criminali informatici.
Emerge anche un aumento dei casi di pedopornografia…
Un aumento c’è, ma mi chiedo perché il fenomeno non sia stato aggredito negli anni passati, visto che una percentuale elevatissima degli utilizzatori di Internet visitano i siti pornografici e ciò consente la dilatazione delle forme definite come reato. È chiaro che con la riduzione dei rapporti sociali, durante la pandemia, la popolazione che accedeva a questi tipi di spettacoli è aumentata on line, con la conseguenza, purtroppo, anche di un aumento del mercato della pedopornografia. I fenomeni criminali costituiscono una sfida che ci costringono a perfezionare le strategie di contrasto da parte degli apparati, degli opinion leader, delle istituzioni educative, del controllo sociale.
Una questione di responsabilità?
Parto da lontano. Quest’anno abbiamo battuto il record della minore conflittualità omicida dall’unità d’Italia a oggi: era già accaduto alla fine degli anni ’90, con la conflittualità omicida scesa al di sotto dei valori ottocenteschi, ora abbiamo battuto anche quel record, abbassando ulteriormente il dato. È qualcosa di cui andare non solo fieri ma che suggerirebbe cautela a certi spettacoli televisivi e a certi messaggi che vengono anche dalla politica. Ogni dato di realtà non va solo contemplato ma anche riferito a una responsabilità individuale, sociale, istituzionale, politica e di servizio. In questo senso,
la statistica aiuta ad avere un giudizio d’insieme equilibrato da cui deriva un comportamento adeguato per ciascuno di noi.