Fine del blocco dei licenziamenti e misure di contenimento: un “patto” sociale frutto del dialogo

La fine del blocco generalizzato dei licenziamenti, scattata con l'inizio del mese di luglio, è stata temperata dalle misure contenute nel decreto legge appena varato del governo che si sono aggiunte a quelle già adottate nel decreto “sostegni bis”. In quel provvedimento, mentre si eliminava il divieto di licenziare per le imprese dell'industria e dell'edilizia, considerati settori forti e già in ripresa, si rendeva disponibile fino al 31 dicembre la cassa integrazione “scontata” per le aziende che avessero comunque deciso di non licenziare. Per le piccole imprese e i servizi, invece, il blocco dei licenziamenti veniva prorogato fino al 31 ottobre. Con il nuovo decreto si è estesa questa proroga anche alle industrie del comparto tessile-abbigliamento-pelletteria.

Foto Calvarese/SIR

La fine del blocco generalizzato dei licenziamenti, scattata con l’inizio del mese di luglio, è stata temperata dalle misure contenute nel decreto legge appena varato del Governo che si sono aggiunte a quelle già adottate nel decreto “sostegni bis”. In quel provvedimento, mentre si eliminava il divieto di licenziare per le imprese dell’industria e dell’edilizia, considerati settori forti e già in ripresa, si rendeva disponibile fino al 31 dicembre la cassa integrazione “scontata” per le aziende che avessero comunque deciso di non licenziare. Per le piccole imprese e i servizi, invece, il blocco dei licenziamenti veniva prorogato fino al 31 ottobre. Con il nuovo decreto si è estesa questa proroga anche alle industrie del comparto tessile-abbigliamento-pelletteria (tra i più colpiti dalla crisi pandemica) che potranno anche usufruire di ulteriori 17 settimane di cassa integrazione gratuita. Un intervento che costa allo Stato 185,4 milioni di euro. Sono 351 i milioni di euro messi in campo per la seconda novità del decreto: altre 13 settimane di cassa gratuita per le imprese manifatturiere che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali previsti dal decreto di marzo.
Le nuove misure sono il frutto di un accordo tra le parti sociali e tra queste e il Governo, raggiunto proprio alla vigilia del Consiglio dei ministri. Ed è questa la novità politicamente più rilevante dell’operazione. Il documento, un “avviso comune”, è stato siglato dai sindacati confederali e da Confindustria, Cna, Confapi e Confcooperative, nonché dal premier Draghi e dal ministro del Lavoro Orlando. Le parti sociali “si impegnano nell’utilizzo prioritario di tutti gli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente e il decreto in approvazione (ora approvato, n.d.r) prevedono e/o incentivano in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Inoltre “auspicano e si impegnano a una pronta e rapida conclusione sulla riforma degli ammortizzatori sociali, sull’avvio di politiche attive ed il rafforzamento dei processi di formazione permanente e continua”. Si verificherà alla prova di fatti la tenuta di questo “patto”, ma intanto occorre registrare un successo del metodo del dialogo che, con la sponda del Governo, ha consentito di superare una contrapposizione potenzialmente devastante per il Paese. Il blocco dei licenziamenti ha preservato circa 400 mila posti di lavoro (dati Banca d’Italia) e, anche se di fatto le imprese hanno continuato a licenziare nei casi ammessi o non rinnovando i contratti a termine, ha impedito che l’impatto economico-sociale della pandemia assumesse dimensioni ancora più gravi di quelle sperimentate. Il quadro dell’occupazione – nonostante i dati confortanti sulla ripresa produttiva in atto – è ancora problematico. A maggio – rileva l’Istat nell’aggiornamento mensile fresco di pubblicazione – è proseguita la crescita iniziata a febbraio, con un aumento di 180 mila unità in quattro mesi, ma solo con contratti a termine ed escludendo la fascia 35-49 anni. “Rispetto a febbraio 2020 – commenta l’Istituto di statistica – il numero di occupati è ancora inferiore di oltre 700 mila unità” e i tassi di disoccupazione e di inattività, nonostante il calo in corso, “rimangono superiori rispettivamente di 0,7 e 1.2 punti a quelli registrati prima della pandemia”.

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