E’ il secondo corridoio umanitario proveniente dal Niger ma il primo in tempo di riaperture e nuove speranze per la fine della pandemia. Si tratta di 45 profughi di otto diverse nazionalità (Sudan, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Etiopia, Ciad, Camerun, Mali e Nigeria), molti dei quali passati attraverso l’inferno delle carceri libiche e poi nei campi in Niger tramite i meccanismi dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Hanno tutti alle spalle storie durissime e drammatiche, di fuga dagli integralisti di Boko haram, dai conflitti, dalla miseria, alcuni hanno tentato più volte di attraversare il deserto e il mare per venire in Europa. Tra loro otto famiglie e 22 bambini. Sono arrivati questa mattina all’aeroporto di Fiumicino con due voli sulla tratta Niamey-Tunisi-Roma. Per loro oggi inizia una nuova vita in Italia, nelle otto Caritas diocesane che li accoglieranno: Rimini, Crema, Fiesole, Roma, Bolzano, Matera, Teggiano-Policastro e Assisi. Una persona sarà ospitata anche dalla Chiesa valdese di Torino. Tutti stanno seguendo i protocolli per la prevenzione del Covid-19 concordati con le Asl, con tamponi in partenza e in arrivo e quarantena di 15 giorni. In un anno e mezzo di pandemia c’è stato un solo caso di positività al Covid-19 tra i profughi ed il contagio è avvenuto in Italia.
3.000 persone arrivate in maniera sicura e legale. I 45 di oggi sono gli ultimi arrivati nell’ambito dei corridoi umanitari, reinsediamenti ed evacuazioni umanitarie da Medio Oriente e Africa organizzati da Caritas italiana, su mandato della Conferenza episcopale italiana e grazie a protocolli con il governo: hanno portato in Italia dal 2014 ad oggi, in maniera sicura e legale, 1.100 persone bisognose di protezione internazionale. Oltre 3.000 persone contando quelli promossi dalla Comunità di Sant’Egidio e dalle altre realtà. E’ una buona prassi e una alternativa alle morti in mare e ai respingimenti in Libia: nel 2021 nel Mediterraneo sono scomparse già oltre 800 persone, più di 13.000 sono state quelle intercettate e riportate nella sola Libia.
Aperti ad una dimensione europea. La novità, annuncia al Sir Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana, “è che i corridoi umanitari stanno assumendo un rilievo e una dimensione europea. Abbiamo vinto un progetto che partirà il prossimo anno e coinvolgerà, tra gli altri Paesi, Belgio, Irlanda e perfino il Canada, che mira a potenziare la qualità dell’esperienza e l’inserimento sociale, ad esempio migliorando le possibilità di integrazione lavorativa e formativa per le persone che hanno competenze specifiche”. I corridoi umanitari hanno infatti dimostrato, negli anni, che il modello comunitario per l’accoglienza di rifugiati in piccoli gruppi – con il sostegno di famiglie tutor e la partecipazione di parrocchie, associazioni, scuole – funziona e bene. “Entro l’anno ne arriverà un altro dal Niger – conferma Forti -, anche perché abbiamo dovuto interrompere quelli dall’Etiopia a causa del conflitto nel Tigray. Poi vedremo se si andrà alla firma di un nuovo protocollo con il governo italiano”. Come Caritas italiana, conclude, “siamo felici di poter riprendere l’esperienza, che in realtà non è stata mai interrotta, in un clima di serenità e fiducia diffusa. Durante la pandemia c’è stato comunque un grande lavoro nei territori, seppure on line”.
Una famiglia in fuga da Boko haram. Tra le storie emblematiche delle persone arrivate oggi in Italia spicca quella di una famiglia nigeriana di otto persone (i genitori e sei figli) in fuga dalle violenze dal gruppo jihadista Boko haram nel nord della Nigeria, al confine con il Mali. “Vivevano in un villaggio e hanno visto uccidere i loro vicini, una intera famiglia sterminata”, racconta Federica Ricci, di Gorizia, che segue per Caritas italiana i corridoi umanitari. “Sono fuggiti a Niamey e hanno vissuto lì per sette anni. Parlano solo la lingua hausa e sono musulmani praticanti. Le due bambine di 8 e 4 anni portano il velo, forse come simbolo di protezione da tanta violenza. Andranno nella diocesi di Bolzano e avranno a disposizione un mediatore culturale che parla la loro lingua. Li seguirà un parroco che ha studiato anche il Corano. Sarà una bella sfida dal punto di vista dell’integrazione”.
Dall’inferno libico all’Italia. Asna (è un nome di fantasia) è invece una donna eritrea cresciuta in Etiopia. Ha vissuto in prima persona le atrocità delle carceri libiche, le violenze. Ha tentato di attraversare il mare con un barcone che però è stato intercettato dalla guardia costiera libica e riportato indietro. Poi tramite l’Unchr è stata salvata dall’inferno e trasferita in Niger. E’ molto provata ma ha anche tanta forza e consapevolezza.Vuole provare a superare il dolore e il passato e a ricominciare una nuova vita qui, in Italia. Come una persona nuova.