“Da un male comune – il Covid-19 – ci siamo accorti di beni comuni, come il volontariato”. Di questo è convinto il presidente di Padova Capitale europea del volontariato, Emanuele Alecci, che oggi – insieme con Riccardo Bonacina (Vita non-profit), Francesco Rocca (Croce rossa italiana), Antonino La Spina (Unpli), Fabrizio Pregliasco (Anpas), Paola Capoleva (Csv Lazio), Cristina De Luca (Fondazione Italia sociale), Giuseppe Lumia (Associazione Luciano Tavazza) e Andrea Carandini (Fai) – è intervenuto alla presentazione della candidatura del volontariato a patrimonio culturale immateriale Unesco, nella Sala “Caduti di Nassirya” presso il Senato, a Roma.
Presidente Alecci, perché questa candidatura?
È stato un anno terribile per tutta l’umanità e non siamo ancora usciti dall’emergenza. È stato un male comune, ma rispetto a questo abbiamo visto anche che ci sono dei beni comuni, come tanta generosità, tanto volontariato, che si è messo a disposizione di chi aveva bisogno. La comunità in futuro ha sempre di più necessità di un volontariato di questo tipo e perciò ci siamo organizzati dopo Padova Capitale europea del volontariato: nel 2020, è maturata l’idea di questa provocazione di candidare il volontariato a livello transnazionale, oltre l’Italia, come bene immateriale dell’umanità perché è un bene prezioso, culturalmente elevato, da custodire. È una scelta importante da far condividere e sostenere anche da tutti i governi e le comunità.
Chi sono i promotori dell’iniziativa?
Parte dall’Italia, ma nei prossimi giorni faremo la proposta al Centro europeo del volontariato e alla comunità delle capitali europee del volontariato; c’è tanta attenzione anche da parte di molte organizzazioni internazionali. Nasce da Padova, ma è una proposta aperta a tutti: i primi che hanno detto sì sono stati il presidente dell’Anpas Fabrizio Pregliasco, il presidente della Croce rossa italiana Francesco Rocca, che si è messo a disposizione con tutta la rete delle Croce Rossa internazionale, il Fai, l’Associazione Luciano Tavazza.
Questa candidatura sarà anche l’occasione per promuovere il volontariato in tutta Europa e in Italia.
Nel nostro Paese il volontariato c’è sempre stato nei momenti difficili, già prima del Covid…
Le racconto la mia storia: ho 61 anni e sono un funzionario commerciale di Poste Italiane; 41 anni fa sono andato in Irpinia per il terremoto come volontario con Caritas italiana. La mia diocesi di Padova è restata un anno in Irpinia, dove io ho iniziato il servizio civile. In quell’anno ho conosciuto due persone che sono state fondamentali per la mia vita: don Giovanni Nervo e Luciano Tavazza. Tutti e due mi hanno fatto capire che cosa voleva dire volontariato, quello vero, quello politico, cioè un volontariato che lavora perché le cose cambino. Da quella esperienza nasce la Protezione civile di cui il volontariato è un elemento fondamentale. Dal drammatico sisma in Irpinia ho imparato che di fronte al dolore, alla malattia, di fronte alle cose più brutte l’ultima parola non è solo dell’esperto, ma anche di chi è esperto dello stare vicino, dell’ascolto, di chi ti abbraccia e ti sorride, anche senza toccarti come è successo per il Covid-19. Il volontariato esprime un modo di pensare che non si limita solo ad agire ma anche a portare qualcosa di nuovo.
Cosa si deve fare per valorizzare di più il volontariato oggi?
Innanzitutto, una parola, che forse potrebbe sembrare fuori moda più e che invece è diventata molto importante in questo periodo, è gratuità. Bisogna essere chiari:
il volontariato è molto utile proprio perché gratuito.
Questo progetto di fraternità è quello che permette di fare il salto di qualità. Così il volontariato può diventare un elemento straordinariamente importante anche per il progetto futuro della nostra Europa, del nostro Paese. Occorre dare spazio a questo mondo perché il volontariato usa degli occhiali che permettono di vedere cose che ad altri sfuggono. Vorremmo dare questi occhiali a gran parte delle nostre città, in senso contaminante e questa contaminazione fa cambiare le cose, di questo sono certo.
Recentemente è stata presentata la nuova versione rivista e aggiornata della “Carta dei valori del volontariato”.
Sì, insieme con la Fondazione Zancan abbiamo prodotto una versione aggiornata, che non annulla la precedente Carta dei valori del volontariato, che presentava precetti. In questo caso entriamo dentro i valori dell’azione volontaria, che abbiamo sintetizzato così: la giustizia, la carità, la fraternità – parola decisiva per il futuro dell’umanità come ci ha fatto comprendere Papa Francesco – e il dialogo tra le generazioni. Sono quattro questioni fondamentali che si aggiungono alla Carta dei valori e danno anche potenza alla scelta di promuovere il riconoscimento Unesco, per dire che questa gratuità, solidarietà e fraternità possono servire a risvegliare qualcosa di buono.
Qual è l’identikit del volontario oggi?
Oggi il volontario è una persona di mezza età, che ha finito il lavoro e si mette in gioco; ma, durante l’emergenza da Covid-19, tantissimi giovani si sono messi a disposizione. Ora non sono spariti e stanno cercando di capire in che modo potranno contribuire a dare un volto nuovo al volontariato. Per permettere a questo “giacimento di solidarietà” di maturare servono testimoni seri, che dicono le cose come stanno e che fanno vedere con la loro vita qual è la strada giusta, aiutando i ragazzi a vivere esperienze serie, vere di solidarietà e volontariato.