Anche quest’anno la Maturità fa i conti con l’emergenza sanitaria in corso. E come nel 2020 non ci saranno gli scritti. L’Esame di Stato 2021 consisterà in una prova orale che partirà dalla discussione di un elaborato, il cui argomento è stato assegnato dal Consiglio di classe. Il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, in un’intervista, ha sottolineato che “non è un orale che parte a caso ma parte da un lavoro fatto in un mese, discusso con la scuola. Non solo c’è uno scritto, ma uno scritto pensato, ragionato, discusso. È importante sapere scrivere, altrimenti non si sa parlare”. E ancora sulla possibilità che possa diventare un nuovo modello d’esame per il futuro Bianchi ha risposto: “Vediamo come va, sto avendo riscontri positivi dai ragazzi, avere tempo per articolare un pensiero complesso, questa è la maturità. È una maturità che prepara all’università, al lavoro e ad altre possibilità di crescita”. Sulla possibilità di strutturare anche in futuro la Maturità solo come un esame orale abbiamo sentito Cesare Rivoltella, ordinario di Didattica e Tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica e direttore del Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia (Cremit).
Professore, come considera questa formula di Maturità? È un gioco al ribasso?
Da quel che si comprende, dalla lettura dell’Ordinanza, si tratta di un esame fortemente sbilanciato sul versante metacognitivo e delle competenze. Questo significa che l’obiettivo non è tanto la verifica del possesso dei contenuti, ma della capacità del candidato di articolare il proprio pensiero: il contenuto è il presupposto, ma quello che l’esame prevede non è la sua restituzione ma il suo uso critico, consapevole e personale. Mi pare una formula in linea con quanto le Indicazioni suggeriscono per quanto riguarda l’impostazione della didattica del secondo ciclo di istruzione.
Se dovesse essere riproposta questa formula senza scritti anche nei prossimi anni, si trova d’accordo?
Questa formula potrebbe essere riproposta a patto che venga articolata in modo coerente con la valutazione di processo cui durante il triennio i docenti hanno sottoposto gli studenti.
Non è il momento della prova finale a dire se il ragazzo sa tradurre dal greco o svolgere uno studio di funzione.
Anzi, in questo tipo di situazione, l’emozione potrebbe giocare brutti scherzi. D’altra parte, occorre anche considerare che far fronte alla situazione di stress e ottenere comunque la prestazione è una competenza. Insomma, l’ipotesi di consegnare l’esame finale a un orale sull’esempio di quanto proposto quest’anno richiederebbe delle attenzioni, ma di certo non si può scartare a priori.
Il maxi orale com’è concepito quest’anno secondo lei riesce a cogliere bene la preparazione dei ragazzi?
Sì, ma solo se rappresenta l’atto finale di un processo di valutazione continua.
Non si può attribuire al momento dell’esame un valore eccessivo. Esso è significativo nella misura in cui porta a compimento un lavoro sistematico e diversificato di valutazione. Considerarlo separatamente da questo lavoro significherebbe attribuirgli un significato esagerato, nel bene e nel male.
Al di là dell’emergenza Covid, ritiene che l’esame di maturità debba essere rivisto? E in che modo?
Io credo di sì. Nella sua forma, a prescindere dalla forma scritta od orale, è ancora il retaggio di una scuola che era molto diversa da quella attuale, anche perché erano diversi i bisogni cui rispondeva e il tipo di società e di cultura in cui si inseriva. A me piacerebbe un esame cui lo studente si presenti con il proprio portfolio, in cui ha documentato esperienze, attività e progetti sviluppati nel quinquennio della scuola secondaria, sia in classe sia fuori, anche nell’ambito dei Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto). L’esame potrebbe consistere in momenti diversificati: nello svolgimento di un compito autentico, in piccolo gruppo, per verificare l’applicazione delle conoscenze e la capacità di lavorare in team; nella presentazione e discussione individuale di una o più delle evidenze raccolte nel portfolio, per verificare le conoscenze e le competenze acquisite e la capacità di riflettere su di esse; nella discussione di un project work. Un esame in momenti diversi e basato su prove diverse, individuali e di gruppo, in cui si mettano alla prova le competenze di presentazione, discussione, lavoro in team dei candidati. Qualcosa di molto simile a quanto avviene durante la selezione nelle aziende, con l’obiettivo di valutare il più possibile ad ampio spettro, misurando non solo le conoscenze, ma anche le abilità e le competenze.
Negli ultimi anni, a prescindere dal coronavirus, sono state provate più formule di Esami di Maturità: questo spiazza i ragazzi? Li rende più ansiosi? Come aiutarli veramente a vivere questo importante rito di passaggio verso l’età adulta?
Occorre promuovere una diversa cultura della valutazione.
Valutare non significa proporre compiti difficili per mettere alla prova lo studente, ma creare le condizioni perché si possa esprimere. Più che a un rito di passaggio di cui ricordarsi per anni (come ci si ricorda di un incubo) penso a un’esperienza significativa, in grado di produrre autostima e orientamento. In buona sostanza, un evento che si iscriva più dentro una logica di valutazione formativa che non di sopravvivenza.