“Ripristino degli ecosistemi” è il tema scelto per la Giornata mondiale dell’ambiente 2021, che si celebra sabato 5 giugno, con l’obiettivo di prevenire, fermare e invertire i danni inflitti agli ecosistemi del pianeta, cercando dunque di passare dallo sfruttamento della natura alla sua guarigione. “Ripristinare la natura che abbiamo danneggiato” significa, in primo luogo, recuperare “noi stessi”, scrive Papa Francesco in un messaggio indirizzato a Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, e a Qn Dongy, direttore generale della Fao, per il lancio del Decennio delle Nazioni Unite sul ripristino dell’ecosistema. “Rischiamo inondazioni, fame e gravi conseguenze per noi stessi e per le generazioni future” e, dunque, è necessario “prenderci cura gli uni degli altri e dei più deboli tra noi”, il monito del Pontefice. “Ingiusto e sconsiderato”, invece, continuare sulla strada della distruzione dell’uomo e della natura. “Questo ci direbbe una coscienza responsabile”, evidenzia ancora il Papa. Con Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord, facciamo il punto sulla situazione ambientale in Italia e nel mondo.
Quali sono i Paesi e le aree del mondo che soffrono di più per danni agli ecosistemi?
Il modello consumista in questi ultimi tempi sta mostrando, con sempre maggiore evidenza, l’emersione di quei costi ambientali ed umani che fino ad oggi è riuscito a dissimulare. Ne è un esempio la pubblicità martellante dell’auto elettrica, “silenziosa e pulita”, che scorazza libera attraverso territori incontaminati, nascondendo all’ignaro spettatore quanto carbone o petrolio sono serviti per costruirla e per produrre l’elettricità che la alimenta. Anzi, questo tipo di comunicazione mistificante apre le porte al business del disinquinamento. Ormai, oltre il 60% del prodotto lordo dei Paesi industrializzati proviene da attività che non producono benessere ma solo una riduzione dei danni causati.
La prima cosa da fare per la “guarigione della natura” è smettere di inquinarla.
Vi sono poi dei costi esclusivamente ambientali, nel senso che vengono manomessi e avvelenati, spesso irreversibilmente, ambienti naturali; in tal caso il costo è semplicemente scaricato sulle popolazioni che lavorano in attività inquinanti o vivono in prossimità dei luoghi dove queste vengono eseguite e scaricano i loro reflui velenosi. Queste attività si svolgono prevalentemente in Paesi in via di sviluppo, laddove le normative di tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori sono meno stringenti e più facilmente eludibili. Ciò genera quello che Papa Francesco, al punto 51 dell’enciclica Laudato si’, chiama “debito ecologico”: “Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame”.
È di questi giorni l’affondamento della nave mercantile X-Press Pearl a largo dello Sri Lanka, che sta rilasciando il suo carico di veleni, distruggendo l’ecosistema marino che è la base alimentare ed economica fondamentale della popolazione.
L’Italia sul fronte dei danni, dello sfruttamento, della prevenzione e della guarigione come si situa?
La situazione italiana è caratterizzata da alcune note crisi ambientali che nascono dal far prevalere l’interesse economico sulla salute dei cittadini e dell’ambiente. Penso all’ostinazione a mantenere gli altiforni dell’acciaieria di Taranto in stretta prossimità di aree abitate, facendo leva sull’odioso ricatto fra salute e lavoro. Siamo quindi nel pieno di quel paradigma tecnocratico citato nella Laudato si’, secondo il quale la tecnologia è di per se stessa considerata un progresso e qualsiasi problema essa possa creare può sempre trovare risposta in nuove tecnologie.
Non si accetta il principio che possa esistere una scienza utile e una scienza dannosa e che la scelta fra l’una e l’altra richiede un chiaro orientamento etico.
Il paradigma tecnocratico considera qualsiasi approccio critico verso la tecnologia come un ostacolo al progresso, che viene metaforicamente presentato come un treno che passa una volta sola e su cui bisogna comunque salire anche se non se ne conosce la destinazione.
C’è poi la crisi legata alla gestione criminale dei rifiuti pericolosi, che ha già prodotto ben 42 “Siti di interesse nazionale”, che necessitano di urgenti interventi di bonifica. Altra criticità molto preoccupante è rappresentata dal ritmo del consumo di suolo. Nel 2019 16 ettari di suolo al giorno sono stati cementificati e resi biologicamente sterili, secondo i dati Ispra.
Nel 2018, 1.281.970 persone in Italia sono state esposte a rischio frane e 6.183.364 persone sono state esposte al rischio alluvioni. La cura del territorio e di un patrimonio forestale ricco ma in larga parte in stato di abbandono, oltre a mettere in sicurezza 7 milioni e mezzo di persone, creerebbe molta più occupazione di quanta se ne perderebbe abbandonando produzioni inquinanti e fuori mercato (Ispra).
Con la Giornata dell’ambiente viene lanciato ufficialmente il decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema, introdotto con la missione globale di far rivivere miliardi di ettari, dalle foreste ai terreni agricoli, dalla cima delle montagne alle profondità del mare. Cosa possiamo aspettarci da questo decennio?
Se non si cambia radicalmente l’orientamento etico dell’economia e della finanza possiamo aspettarci l’ennesima delusione di buoni propositi che contrastano con politiche economiche che vanno in direzione opposta.
Quali sono i rischi maggiori se non si riuscisse a invertire la tendenza attuale allo sfruttamento e al danneggiamento degli ecosistemi?
Il grande rischio è il danneggiamento irreversibile dei meccanismi che garantiscono la vita sul nostro pianeta, proseguendo a grandi passi verso la sesta estinzione di massa preannunciata dagli scienziati; ciò renderebbe assai problematica anche la vita per l’uomo, in un mondo in cui tutto si lega e tutto è connesso. Ricordiamoci che
la vita è garantita da una complessa rete di relazioni la cui base di funzionamento è proprio quella biodiversità che l’azione sconsiderata dell’uomo sta mettendo a rischio.
Oggi si parla tanto di Green new deal. Cosa serve per passare ai fatti?
Far pace con il Creato, smettere di considerarlo solo un serbatoio da depredare; rispettarne i tempi e i meccanismi di rigenerazione. Dar seguito a quell’economia circolare che non è solo un cambio di paradigma tecnologico, ma soprattutto una conversione ecologica profonda degli stili di vita e un orientamento etico alla sobrietà dei Paesi ricchi per consentire il benessere dell’intera famiglia umana.