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75 anni dalla scelta per la Repubblica: un anniversario per ricordare i fondamenti del Paese

Il due giugno è una festa colta, forse per questo poco partecipata, tanto che fu anche abolita. Ma ricca di senso, perché disegna un percorso: ricorda l’avvio di un processo di ripresa, di sviluppo. Tanto più significativo oggi. Sono settantacinque anni dalla scelta per la Repubblica, un anniversario importante. Non ce ne siamo resi conto del tutto, ma nell’arco di due anni in Italia, a causa del virus, ci sono state tante vittime quante nei primi tre anni della seconda guerra mondiale, dalle macerie della quale siamo ripartiti proprio nella data simbolica del referendum istituzionale, il 2 giugno 1946. Una data baricentrica, nel mezzo della vicenda dell’Italia unita, tra il 1870, il compimento dell’unità con Roma capitale, e l’oggi

(Foto ANSA/SIR)

Il due giugno è una festa colta, forse per questo poco partecipata, tanto che fu anche abolita. Ma ricca di senso, perché disegna un percorso: ricorda l’avvio di un processo di ripresa, di sviluppo. Tanto più significativo oggi.
Sono settantacinque anni dalla scelta per la Repubblica, un anniversario importante. Non ce ne siamo resi conto del tutto, ma nell’arco di due anni in Italia, a causa del virus, ci sono state tante vittime quante nei primi tre anni della seconda guerra mondiale, dalle macerie della quale siamo ripartiti proprio nella data simbolica del referendum istituzionale, il 2 giugno 1946.
Una data baricentrica, nel mezzo della vicenda dell’Italia unita, tra il 1870, il compimento dell’unità con Roma capitale, e l’oggi. È anche una data europea perché quel giorno anche in Francia i cittadini, uomini e donne, ormai pari nei diritti politici, dopo una rincorda troppo lunga, tanto in Italia che in Francia, furono chiamai ad eleggere una Assemblea Costituente.
Perché se Repubblica significa cosa di tutti, e dunque casa di tutti, le regole devono essere di tutti e per tutti, come si conviene ad una democrazia, senza privilegi per nessuno. Cosa che, allora come ora, non è per nulla scontata. Per questo nella Costituzione la Repubblica è stata aggettivata, ovvero definita. Mentre i Paesi satelliti dell’Unione Sovietica si definivano repubbliche popolari, intendendo per popolo solo i cittadini leali al sistema comunista, quella italiana si definisce repubblica “democratica” – una democrazia personalista e pluralista – “fondata sul lavoro”. Non è una espressione retorica o formale, ma disegna un progetto, un percorso, un traguardo, “sicché – come sintetizzò Fanfani – la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo (e aggiungiamo oggi ogni donna) avrà realizzato nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune”.

In questo senso, scrisse a caldo l’estensore della formula, elaborata dal gruppo dei “professorini” democristiani, “l’espressione ‘fondata sul lavoro’ segna l’impegno, il tema, di tutta la nostra Costituzione”.Festeggiare la Repubblica significa riaffermare questa propulsione. Scrostarla dagli appannamenti, e giocarla nella prospettiva di oggi, che è europea e globale.

Dirà Alcide De Gasperi, la guida sicura di quegli anni decisivi, a conclusione dei lavori della Costituente: “l’Europa e il mondo riconoscano nell’Italia nuova, nella nuova Repubblica, assisa sulla libertà e la democrazia, la degna erede e continuatrice della sua civiltà millenaria e universale”.
Parole lontane, quelle dei protagonisti di quella storia, che è anche la nostra. La dobbiamo riannodare.
Certo, possiamo deprecare con ragione tante malefatte o la piccola statura di tanti protagonisti. Eppure proprio il virus (con le molteplici botte che ci ha impartito) ci ha insegnato che bisogna traguardare alto. Essere consapevoli di avere basi solide e avere la lucidità e la cultura per riconoscerle e usarle come propulsione rende questo impegno realistico e possibile.

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