Via libera al Dl Semplificazioni. Definita la governance, ora il Pnrr può davvero partire

Con l’Ue il premier Draghi si era impegnato al varo entro il mese di maggio e ha mantenuto la promessa. In tutta la vicenda del Piano nazionale di ripresa e resilienza di qui al 2026 quella dei tempi sarà una questione cruciale. Aver rispettato la scadenza, in questo caso, significa che a breve il nostro Paese potrà ricevere il primo rateo di circa 25 miliardi. Il problema è che bisogna non solo fare presto, ma fare anche bene

Foto Calvarese/SIR

Proprio mentre da Bruxelles arrivava la notizia – di fondamentale importanza – che tutti i Paesi dell’Unione hanno dato il via libera al piano europeo di rilancio, in Italia il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge che definisce i poteri (la governance, come si usa dire) circa il controllo e l’attuazione del piano nazionale. Nello stesso decreto sono state inserite la “prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di snellimento delle procedure”, tanto che il comunicato di Palazzo Chigi ha intitolato l’intero provvedimento Decreto Semplificazioni.

Con la Ue Mario Draghi si era impegnato al varo entro il mese di maggio e ha mantenuto la promessa.

In tutta la vicenda del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr, il Recovery Plan declinato in chiave nazionale) di qui al 2026 quella dei tempi sarà una questione cruciale.

Aver rispettato la scadenza, in questo caso, significa che a breve il nostro Paese potrà ricevere il primo rateo di circa 25 miliardi. Il problema è che bisogna non solo fare presto, ma fare anche bene.

Ci sono i criteri europei da rispettare e ci sono le esigenze sostanziali di legalità e sicurezza da soddisfare. Il timore che la fretta e la pur condivisibile ansia di velocizzare le procedure potesse aprire pericolosi margini di manovra a profittatori e criminali ha provocato un dibattito pubblico molto serrato. Ne è scaturito, per esempio, lo stralcio delle norme che riammettevano gli appalti aggiudicati al massimo ribasso: se ne riparlerà probabilmente a fine anno in sede di legge-delega. È stata invece confermata la scelta dell’appalto integrato (un unico affidamento per progettazione ed esecuzione). Sempre in materia di appalti, l’accordo raggiunto prevede che fino al 31 ottobre la quota del contratto che è possibile subappaltare passi da 30 al 50 per cento e poi venga eliminata del tutto come richiesto a livello europeo, ma nel contempo vengono rafforzati alcuni paletti per cercare di evitare o almeno limitare gli abusi. In particolare, non sarà possibile cedere integralmente il contratto, il subappaltatore dovrà garantire ai lavoratori gli stessi standard contrattuali del contraente principale ed entrambi i soggetti saranno responsabili “in solido” nei confronti del committente (la “stazione appaltante”, in termini tecnici). Ulteriori garanzie dovrebbero scaturire proprio dalla riduzione del numero delle stazioni appaltanti e dal potenziamento della banca dati dell’Autorità anticorruzione, l’Anac, al cui interno sarà istituito il fascicolo virtuale dell’operatore economico che conterrà tutte le informazioni necessarie per la partecipazione alle gare, così da facilitare verifiche e controlli anche da parte degli stessi committenti. Sono previste altresì norme mirate ad agevolare, con quote e incentivi, l’inserimento lavorativo di donne e giovani da parte delle imprese che concorrono agli appalti. Tra le altre misure di semplificazione,

una procedura speciale viene adottata per le opere considerate di “impatto rilevante” ai fini del Pnrr mentre per tutti progetti compresi nel piano il tempo massimo per la valutazione di impatto ambientale viene fissato in 130 giorni.

In vista di una sempre più estesa digitalizzazione della pubblica amministrazione, inoltre, il decreto introduce la figura di una sorta di “delegato Spid”, una persona di fiducia che potrà operare per conto di chi ha difficoltà ad utilizzare strumenti informatici.
Il nodo dell’architettura della governance del Pnrr, su cui le tensioni sono state forti sia all’interno della maggioranza, sia all’esterno (le Regioni hanno addirittura minacciato di ricorrere alla Corte costituzionale), è stato sciolto con un sistema a geometria variabile.

La responsabilità di indirizzo del piano è posta in capo alla presidenza del Consiglio.

Il premier presiede una “cabina di regia” a cui partecipano di volta in volta i ministri interessati in relazione ai settori di intervento e così pure i presidenti delle Regioni quando vengono esaminate questioni di competenza locale (il presidente della Conferenza delle Regioni se le questioni sono territorialmente trasversali). La “cabina di regia” viene affiancata da una segreteria tecnica, sempre presso Palazzo Chigi, “la cui durata temporanea è superiore a quella del governo che la istituisce e si protrae fino al completamento del Pnrr entro il 31 dicembre 1926”. Una sottolineatura molto rilevante che ricorda l’impegno pluriennale assunto dal nostro Paese con la Ue, al di là delle mutevoli maggioranze politiche. Cabina e segreteria provvedono inoltre a relazionare periodicamente al Consiglio dei ministri e al Parlamento. Il monitoraggio e la rendicontazione vengono affidati al “servizio centrale per il Pnrr” istituito presso il ministero dell’Economia (con un ruolo particolare della Ragioneria generale dello Stato), che rappresenta anche il punto di contatto nazionale con la Commissione europea per l’attuazione del piano. Un “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”, con funzioni consultive, è chiamato a coinvolgere nell’impresa del Pnrr enti locali, parti sociali, istituzioni di ricerca e organizzazioni della società civile.
Un capitolo del decreto è dedicato a specificare nel dettaglio i poteri sostitutivi che scattano in caso di ritardi o inadempienze da parte di Regioni, Province e Comuni. L’esperienza anche recente, purtroppo, insegna.

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