“Una proposta di carattere strumentale e arrogante, un testo pasticciato e mal scritto”. È netto il giudizio che il professor Aldo Accardo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Cagliari, dà del cosiddetto “disegno di legge Zan” relativo all’introduzione di misure di contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere o disabilità. Il provvedimento, approvato dalla Camera dei deputati ad inizio novembre, è ora in discussione nella Commissione Giustizia del Senato. “La Chiesa dice parole sagge ed equilibrate su questo tema”, spiega il docente, che si schiera “a fianco in questa battaglia per la difesa della libertà di opinione e contro individualismi ed egoismi inaccettabili”.
Professore, nel dibattito relativo al ddl Zan sono emersi da più fronti dubbi e richieste di un supplemento di riflessione. Cosa non la convince del testo in discussione?
Si tratta di una proposta di carattere strumentale.
Un disegno di legge abbastanza pasticciato e mal scritto,
che nasce dallo scontro in atto tra “sinistra” e “destra”, due parti politiche oggi inconsistenti, prive di strategia e di un autentico disegno di crescita del Paese.
Da più parti, non solo dai cattolici, vengono evidenziate lacune giuridiche nel ddl Zan? Secondo lei qual è il limite più grande?
Il provvedimento in discussione introduce ulteriori specificazioni agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale ma nulla aggiunge a quanto questi articoli già prevedono contro ogni discriminazione e violenza, Inoltre il ddl si compendia nelle definizioni presentate nell’art. 1 (relative a “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”, ndr), dove non c’è assolutamente il minimo spazio per tentativi di approfondimento e spiegazione riguardanti temi importanti quali sono i diritti civili e la libertà d’espressione.
A mio avviso, non c’è assolutamente la chiarezza di una proposta, è del tutto assente la ricerca di un senso, di valori, di idee costitutive. C’è invece qualcosa che ha il sapore della meccanicità, della faciloneria.
Quali sono le sue perplessità?
La cosa che mi preoccupa di più è che
ci troviamo di fronte un testo che ha il carattere dell’arroganza,
del “verbo” che non accetta di porsi domande e che vuole dare spazio a concezioni che hanno un loro “appeal spettacolare”. Ma le cose sono più complesse, più serie di come appaiono.
Seconde lei il testo in discussione è modificabile?
È emendabile ogni cosa che si vuole cambiare. Ma è chiaro che in questo caso non si vuole fare effettivamente una battaglia per i diritti civili, che dovrebbe essere articolata e combattuta in ben altro modo. Qui
ci troviamo di fronte alla confusione tra i diritti civili e la proclamazione di tutta una serie di punti di vista individualistici ed egoistici.
La realtà è che una riflessione sui diritti non può non accompagnarsi ad una riflessione sui doveri e, soprattutto, sui valori della comunità e su una precisa capacità di indicare priorità che non possono essere quelle di un individuo astratto ma di una comunità di individui concreti.
Un altro aspetto è quello relativo alla “libera espressione di convincimenti od opinioni”. Pensa che le disposizioni del ddl Zan possano ledere la libertà di pensiero di un cittadino?
Nel ddl non c’è lo spazio per il confronto, per il pluralismo che è qualcosa di diverso da pluralità.
Il pluralismo significa che si devono creare le condizioni nella società civile per consentire un libero confronto di opinioni; significa mettere assieme e consentire che stiano fianco a fianco idee diverse e si arricchiscano.
Qual è il rischio maggiore che individua nel ddl Zan?
Mette nelle mani non del libero dibattito della comunità ma in quelle della magistratura uno strumento di discriminazione. Se io affermo che l’utero in affitto è una cosa da condannare non posso essere accusato di un atteggiamento discriminatorio. Combattiamo lo sfruttamento della prostituzione, la schiavitù delle donne; in alcuni casi vengono anche sanzionati i clienti. Non mi si può dire che essere contrari all’utero in affitto è un punto di vista discriminatorio. È inaccettabile andare a comprare un figlio affittando un utero, non è un diritto ma è mercimonio della persona umana. Più grave persino della prostituzione.
Vede altre forzature, se non nel testo nel pensiero che è alla base di questo disegno di legge?
Non c’è una seria riflessione sul fatto che l’uomo è cambiato, che la tecnica ha cambiato l’umanità. Ma la comunità umana se ha una possibilità di progettare un disegno di vita assieme, nella pace, lo ha solo in quanto accantona alcune tentazioni della tecnica di volere trasformare la natura per difenderla.
Lo stravolgimento, in nome delle possibilità tecniche, di una costruzione più che bimillenaria di un insieme di valori può portare a conseguenze gravissime. Rischiamo di sfasciare la comunità.
E questo si lega ad un altro aspetto.
Quale?
Dobbiamo difendere la famiglia, elemento portante della società. Più di quarant’anni fa, al referendum ho votato a favore del divorzio, ma su questo tema occorre un ripensamento forte, occorre un richiamo alla responsabilità. Cosa significa questo evidente attacco strumentale alla famiglia, considerata come qualcosa di retrogrado? Da non credente, dico che la famiglia è la concretezza a fronte dell’astrattezza di eguaglianze vuote che affermano solo egoismo e individualismo.
Come pensa proseguirà l’iter del disegno di legge?
È un provvedimento agitato apposta per dividere il Parlamento e per cercare di far cadere il governo di unità nazionale.
Non credo se ne uscirà, ci sarà una divisione che non gioverà al Paese. Creerà estremismi e, paradossalmente, susciterà violenza.
Sono molto preoccupato, anche perché non si entra nel merito del dibattito in termini di pluralismo ma si attacca solo l’avversario.