In libreria “La cura. Il libro come salvezza dalla solitudine e dalla paura”, perché la lettura è utile, non solo bella

Un libro che parla di libri e della forza che possono trasmetterci per superare i momenti bui. Non è una antologia e nemmeno un manuale filosofico il volume scritto da Marco Testi, intitolato “La cura. Il libro come salvezza dalla solitudine e dalla paura”. Edito da Fuorilinea e sugli scaffali da oggi, 25° Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, il testo è una disamina di generi e autori che hanno l’obiettivo di invitare alla lettura chi non ha l’abitudine di sfogliare le pagine di carta. Critico letterario, docente e storico della letteratura, Marco Testi accompagna per mano il lettore per fargli conoscere scrittori poco noti o per scavare nel profondo il significato di canzoni popolari. Il risultato è un viaggio piacevole che approda alla considerazione che i libri possono esserci d’aiuto molto più di quanto immaginiamo.

Un libro che parla di libri e della forza che possono trasmetterci per superare i momenti bui. Non è una antologia e nemmeno un manuale filosofico il volume scritto da Marco Testi, intitolato “La cura. Il libro come salvezza dalla solitudine e dalla paura”. Edito da Fuorilinea e sugli scaffali da oggi, 25° Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, il testo è una disamina di generi e autori che hanno l’obiettivo di invitare alla lettura chi non ha l’abitudine di sfogliare le pagine di carta.
Critico letterario, docente e storico della letteratura, Marco Testi accompagna per mano il lettore per fargli conoscere scrittori poco noti o per scavare nel profondo il significato di canzoni popolari. Il risultato è un viaggio piacevole che approda alla considerazione che i libri possono esserci d’aiuto molto più di quanto immaginiamo.

In un Paese dove in tanti scrivono ma pochi leggono perché dedicare un testo alla cura attraverso la lettura?
In un Paese in cui non si legge bisogna spingere a leggere. Soprattutto in questo periodo in cui la gente sta crollando e chi sta solo per forza si chiede cosa possa fare. Spero possa incentivare e ispirare la lettura.

E finalmente realizzare che la lettura è utile, non solo bella.

All’inizio fa un’avvertenza al lettore: qui non ci sono note. Perché questa scelta?
Ho scelto di mettere quell’avvertenza “antiaccademica”, e che scandalizzerà non pochi, perché spero che in questo modo il lettore più pigro si andrà a vedere chi è quel Baudelaire o quel Campana che nomino. Vorrei abituare il lettore a cercare i riferimenti e le fonti se si sente intrigato.

Anche per approfondire argomenti apparentemente popolari come le canzoni di De André?
Leggendo di De André o di Battisti, intriga scoprire che dietro ciascuno c’è un collegamento con la poesia. Per esempio con quella di Edgar Lee Master. Credo ci sia una motivazione costante nel libro ad allenarsi con la lettura.

“Leggere ti aiuta a capire che non sei solo” suggerisce lo psichiatra Tonino Cantelmi nella prefazione. La pandemia le ha ispirato la stesura?
L’ invito alla lettura è sempre stato un mio pensiero fisso che la pandemia ha scosso ancora di più. Lo strumento fondamentale della lettura è l’empatia che può essere negativa o positiva. Anche l’empatia negativa serve perché se il lettore pensa di avere dei difetti e legge, riconoscendosi, si rende conto di non essere solo a questo mondo.

Se il lettore non è solo, che compagni trova?
I compagni non sono i personaggi dei libri, ma quello che i personaggi provano. Ciò è utile a far capire al lettore che certi ostacoli possono essere superati e vinti. É provato che le endorfine scatenate da una lettura appassionata sono le stesse prodotte dall’attività reale simulata. Chi non legge crede che un ‘no’ ricevuto in amore sia una tragedia. Un ‘no’, come quello ne “Il giardino dei Finzi-Contini”, è doloroso, ma è anche un modo per crescere. Specie i ragazzi, se cominciassero a leggere di più, forse vedrebbero che c’è una via d’uscita.

Un capitolo è dedicato alla malattia e allo stato della pre-morte. In particolare cita “Milioni di farfalle” di Eben Alexander in cui l’autore, un neurochirurgo, vive il coma e lo stare “oltre la soglia”. Un’esperienza simile a quella vissuta da Dante nella sua Commedia.
Quando qualcuno arriva alle fondamenta dell’esistenza e ne parla, viene creduto un folle. Pensiamo a tutti gli autori, come Gauguin o Rimbaud, che hanno lasciato il sazio Occidente per raggiungere Paesi lontani. Anche loro erano considerati folli. Alexander, quando parla di alcuni stati vissuti durante il coma, non viene creduto perché non è in linea con le convinzioni mediche dominanti. La follia è anche la capacità empatica di capire cosa vogliono trasmettere gli autori. La follia cristiana è quella che fa abbracciare una vita in società in cui si è più utile agli altri. Oppure lasciare tutto e andarsene senza lasciare traccia. Lo hanno fatto tanti anche in letteratura: autori che hanno cambiato vita per il bene degli altri. Al giorno d’oggi amare Dio è veramente una follia. Sono passati altri messaggi e piano piano ci siamo riempiti di assenze.

Come mai in un libro dedicato alla lettura non cita mai “Se una notte di inverno un viaggiatore” di Calvino, esempio di testo dedicato al piacere di leggere?
Perché sarebbe stato troppo comodo. Citare Calvino e il suo “Se una notte” avrebbe semplicemente confermato la tesi che leggere è bello. Invece volevo anche citare volumi di autori che hanno parlato del male e della trasgressione, senza volerlo, mostrandone i limiti . Volevo mostrare che anche ciò che pare contrario al senso del bello può essere euforico e non disforico.

E infatti cita più volte un autore come Thomas Stearns Eliot.
Eliot è la bellezza apparentemente algida che nasconde il quotidiano. È stato colui che, attraverso il quotidiano, ha scoperto il significato profondo del mondo. Così come Proust, che attraverso la madeleine immersa nel tè, ricordo di un sapore del passato, ritorna al senso di una vita vissuta. E al senso della vita stessa.

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