Bar e ristoranti. Calugi (Fipe): “La situazione è drammatica”

“La situazione è drammatica”. Non usa mezzi termini Roberto Calugi, direttore generale della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), nel commentare il momento che stanno attraversando bar, ristoranti e in generale i locali aperti al pubblico. Un settore che dopo un anno risulta tra i più provati dalle chiusure e restrizioni date dall’epidemia di Covid-19. Per fare un punto della situazione, anche in seguito alle proteste dei giorni scorsi nelle piazze italiane, il Sir lo ha intervistato

“La situazione è drammatica”. Non usa mezzi termini Roberto Calugi, direttore generale della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), nel commentare il momento che stanno attraversando bar, ristoranti e in generale i locali aperti al pubblico. Un settore che dopo un anno risulta tra i più provati dalle chiusure e restrizioni date dall’epidemia di Covid-19. Per fare un punto della situazione, anche in seguito alle proteste dei giorni scorsi nelle piazze italiane, il Sir lo ha intervistato.

Direttore, dopo più di un anno dall’inizio dell’epidemia, di che perdita parliamo per bar, ristoranti e locali aperti al pubblico?
“Un anno fa avevamo stimato una perdita di 50mila imprese e di 300mila posti di lavoro e oggi l’Istat certifica che ne abbiamo già persi 250mila. Quindi la situazione è di reale disperazione. Peraltro i piccoli imprenditori, ormai è del tutto evidente, sono davvero la classe sociale che oggi è meno tutelata dalle leggi dello Stato, perché sono fuori da qualsiasi forma adeguata e congrua di bonus. Noi come Fipe stiamo lavorando a tutti i livelli per cercare di portare quante più risorse possibili alla categoria, ma

stiamo comunque parlando di un settore che ha perso circa 50 miliardi di euro su 90 soltanto nel 2020, con punte anche dell’80 e 90% in alcuni comparti.

Basti pensare, oltre alla ristorazione, ai locali deputati all’intrattenimento, alle discoteche, ai locali da gioco lecito, oltre alle attività di catering hanno perso praticamente il 100%”.

Gli aiuti, quindi, non sono sufficienti?
“Qualsiasi tipo di aiuto è al momento insufficiente, perché non ci può essere nessun ristoro capace di compensare un’economia di guerra come quella che stiamo vivendo.

L’unica possibilità è iniziare nuovamente a lavorare”.

La situazione di forte crisi del settore è del tutto irreversibile o c’è ancora un margine di ripresa?
“Questo è un settore molto resiliente. È evidente, noi non vendiamo solo piatti da mangiare o musica, ma vendiamo soprattutto socialità. Il carattere mediterraneo, la gioia di vivere e la bellezza dei nostri luoghi potrebbero certamente incentivare una possibile ripresa, ma al tempo stesso non dobbiamo dimenticarci che questo è un settore che è cruciale non solamente per le piccole attività in sé e per l’occupazione che esprime, ma anche e soprattutto per la filiera agroalimentare. La ristorazione porta ogni anno 20 miliardi di euro all’agricoltura, quindi se va in crisi anche l’agricoltura è in crisi. Parimenti è un settore vitale per l’attrattività turistica del Paese. Avere i ristoranti in crisi significa mettere in crisi il modello turistico italiano”.

Oltre alle aziende in crisi, ci sono moltissimi lavoratori, tra cui molti giovani, rimasti senza lavoro…
“Il nostro a differenza di altri è un settore estremamente inclusivo, soprattutto per i giovani, che sotto i 30 anni sono intorno al 25% della forza lavoro. È anche un settore caratterizzato da una forte componente femminile come da molti stranieri che con la ristorazione hanno un canale di ingresso significativo nel mondo del lavoro. È sufficiente pensare alle persone che si sono pagate gli studi facendo i camerieri o a quanti immigrati hanno iniziato il loro percorso di crescita sociale nel nostro Paese partendo come lavapiatti e camerieri.

Tutta gente che oggi è in mezzo a una strada”.

Come Fipe, nel breve periodo, cosa auspicate e cosa chiedete al Governo?
“Come Fipe, nonché principale associazione di settore, in questo periodo abbiamo sempre cercato di stare nel mezzo tra politica e piazza, provando a svolgere un ruolo di mediazione e traduzione di ciò che era possibile fare o meno, provando contestualmente a mantenere la pace sociale del Paese. Dopo un anno, però, quello che chiediamo è che ci si sbrighi a fare i vaccini e che venga fissata una data per ripartire”.

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