Garantire su tutto il territorio nazionale diagnosi e interventi precoci alle persone che soffrono di autismo, oltre a percorsi di inclusione scolastica, formazione e inserimento lavorativo. Lo chiedono, in occasione della XIV World Autism Awareness Day (Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo) che ricorre oggi, gli esperti riuniti nel Tavolo per l’autismo istituito dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei – che nei mesi scorsi ha presentato l’indagine I servizi per la diagnosi e il trattamento, la cura pastorale e il sostegno alle famiglie per le persone con Dsa, offerti dalle strutture cattoliche e di ispirazione cristiana – il cui referente scientifico è Stefano Vicari, docente di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica e responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “In Italia – spiega al Sir – sono ancora troppo poche le strutture in grado di rispondere al bisogno di diagnosi e terapia sancito dai Lea”. Inoltre “occorre puntare ad un’assistenza sempre più qualificata, non solo in centri di alta specializzazione, ma anche in realtà assistenziali e riabilitative più vicine alla famiglia”.
Professore, sull’autismo circolano spesso disinformazione e luoghi comuni, e talvolta si sente parlare di interventi terapeutici a dir poco “fantasiosi”…
Per l’autismo – ma vale per tutti i disturbi mentali – occorre riferirsi a interventi fondati su evidenze scientifiche e raccomandati nelle Linee guida nazionali ed internazionali sulla diagnosi e cura dei disturbi dello spettro autistico e dai Livelli essenziali di assistenza. Invece, purtroppo, ancora oggi sentiamo talvolta parlare di trattamenti di fantasia privi di base scientifica. Quando poi figure istituzionali promuovono iniziative a sostegno, ad esempio, della Pet therapy (il riferimento è ad un evento promosso nei giorni scorsi al Senato da una parlamentare, ndr), questo rischia di confondere ancor più le famiglie. C’è bisogno di uniformità di approccio; una battaglia che stiamo conducendo a fianco di famiglie e associazioni di genitori”.
L’inserimento dell’autismo nei Lea implica la necessità di garantire da parte del Ssn anche precoci percorsi diagnostici. A quale età si può formulare una diagnosi?
Un disturbo dello spettro autistico è certo a partire dai tre anni. A questa età la diagnosi diventa stabile, ma può essere sospettato a partire dai 18 mesi, a volte anche prima. Possiamo, anzi dobbiamo individuare i casi sospetti il prima possibile.
Qual è stato l’impatto di un anno di pandemia su ragazzi e famiglie?
Il lockdown ha rappresentato una tragedia.
Ogni chiusura degli spazi di socialità ha avuto conseguenze negative sulla vita di questi ragazzi ma ha scaricato un peso enorme sulle spalle dei genitori, costretti dalla didattica a distanza, e in diversi casi anche dall’interruzione della terapia, a trasformarsi in insegnanti e in terapisti. Famiglie sempre più sole a far fronte a esigenze alle quali prima della pandemia davano risposta le strutture sanitarie.
Il Tavolo per l’autismo denuncia inoltre “la costante violazione del diritto ad avere pari opportunità educativa e di sviluppo professionale”.
In materia di inclusione scolastica il nostro Paese è all’avanguardia, per certi aspetti imitato da altri. Nello specifico, vorremmo però immaginare percorsi educativi e di socializzazione che vedano insieme ragazzi con disturbi dello spettro autistico o altre disabilità, con ragazzi che presentano uno sviluppo più tipico. Una vera integrazione di realtà tra loro molto diverse. Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, siamo convinti che occorra garantire a qualunque cittadino, secondo le sue capacità e possibilità, percorsi di inserimento e integrazione professionale permanente, disegnati sulla scorta delle particolari caratteristiche e abilità di ciascuno. Che nello spettro autistico sono molto diversificate. Alcune persone sono infatti perfettamente in grado di svolgere funzioni complesse come quelle richieste ad un matematico o ad un programmatore. In altri casi, invece ci troviamo davanti ad una disabilità più marcata, ma
un Paese civile deve farsi carico di integrare, e non ghettizzare, i suoi cittadini meno fortunati.
Dopo le vaccinazioni anti Covid-19 ai giovani pazienti cronici, al Bambino Gesù sono iniziate da circa tre settimane le immunizzazioni dei ragazzi autistici gravi e dei loro caregiver…
Sì, ragazzi al di sopra dei 16 anni perché ad oggi i vaccini sono indicati solo a partire da quell’età. La normativa regionale prevede la somministrazione di vaccini ai ragazzi con gravi disturbi legati allo spettro autistico o con gravi disabilità intellettive, ed anche ai loro caregiver.
C’è un vaccino di elezione o possono essere impiegati tutti, indifferentemente?
Può essere impiegato qualsiasi vaccino, non c’è un’indicazione specifica per uno in particolare.
Dall’autismo non si guarisce, però…
Non si guarisce ma la qualità di vita può migliorare sensibilmente attraverso la terapia, che ha maggiore successo se iniziata precocemente.
L’obiettivo è consentire ad ogni bambino autistico il raggiungimento del proprio massimo potenziale di autonomia e conoscenze.
Con i piccoli da 0 a 6 anni sono particolarmente efficaci i trattamenti “comportamentali intensivi” e la terapia mediata dai genitori; con i bambini più grandi e gli adolescenti – ogni fase di sviluppo ha necessità di un intervento mirato – l’intervento comportamentale intensivo è in grado di migliorarne capacità relazionali, comunicative e di autonomia, favorendone una migliore qualità di vita. E c’è una buona notizia: il 7% delle persone autistiche migliora al punto da non soddisfare più i criteri diagnostici, ossia da uscire dalla diagnosi.