Preoccupa l’impatto della pandemia su bambini e ragazzi con i “seri segnali di allarme per salute mentale, abbandono scolastico, ritiro sociale, diritti dei disabili, minori vulnerabili, impoverimento educativo e culturale dei minorenni”, che si sono registrati, da un anno a questa parte, per l’emergenza legata al Covid-19. A focalizzare l’attenzione sulle conseguenze anche gravi che stanno vivendo i minori in questo tempo è la nuova Autorità garante per l’infanzia e adolescenza, Carla Garlatti. Un allarme che ricorda quello lanciato dal card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, a fine gennaio, quando ha parlato della frattura educativa causata dall’emergenza sanitaria e sociale in corso. Garlatti ha chiesto anche di essere ricevuta dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, per sollecitare l’introduzione di un capitolo apposito dedicato a infanzia e adolescenza nel Recovery Plan. Inoltre, il 24 marzo i disagi che stanno emergendo tra i minorenni a seguito delle misure restrittive introdotte per contenere la pandemia sono stati al centro di un incontro tra l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop). L’attenzione di Garlatti e del presidente del Cnop, David Lazzari, si è rivolta in particolare ai tanti bambini e ragazzi che, pur non avendo patologie psichiatriche, stanno soffrendo disagi profondi sul piano psicologico. In occasione del confronto si è parlato anche delle collaborazioni in atto tra ordine degli psicologi e Ministero dell’Istruzione e delle possibili sinergie con l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Dottoressa, quale impatto ha avuto la pandemia su bambini e adolescenti?
Innanzitutto, se ne parla adesso anche perché i ragazzi stessi hanno fatto sentire la loro voce, ma nel periodo iniziale della pandemia sono stati abbastanza dimenticati, mentre nel mondo cattolico c’è una particolare attenzione al tema dei minori. Durante quest’anno si sono registrati grossi problemi, soprattutto per la salute mentale dei minori, intesa in senso ampio, sia dei minori che non avevano mai vissuto problematiche sia di quelli che già ne avevano sia dei piccoli con disabilità.
C’è stato un aumento di ansia, depressione, fino ad arrivare a casi più gravi come il ritiro sociale.
Particolare attenzione necessitano i ragazzini con disabilità perché in tutto questo periodo, soprattutto nella fase iniziale, sono mancati i supporti che non hanno ricevuto a causa dell’emergenza. Le famiglie non erano in grado, anche per difficoltà oggettive, di colmare la mancanza di un aiuto esterno, quindi si è registrata una perdita rapida di progressi faticosamente ottenuti nel tempo.
Sul fronte scuola, come pensa che si debbano contemperare le due esigenze contrapposte del diritto dei bambini e ragazzi di frequentare in presenza e il preservare la salute pubblica? Tra l’altro, la didattica a distanza, inevitabilmente, ha accresciuto le disuguaglianze educative già esistenti nel nostro Paese.
Il diritto all’istruzione e il diritto alla salute sono due diritti tutelati dalla Costituzione e bisogna trovare un bilanciamento. La didattica a distanza poteva essere ed è stata una soluzione perché piuttosto di niente ha rappresentato per molti ragazzi una possibilità di continuare la fase di crescita e di apprendimento, però ha sottolineato anche molte disuguaglianze sociali anche all’interno delle stesse regioni, perché ci sono delle zone che non sono raggiunte dalla rete. Sotto il profilo sociale si sono registrate delle difficoltà nel seguire la didattica a distanza in quei nuclei familiari in cui vi è a disposizione un solo computer o non c’è nessun computer o lo stesso computer deve essere usato anche dai genitori che lavorano in smart working. L’ideale sarebbe riprendere la scuola in presenza magari agevolando l’arrivo a scuola scaglionato, perché i problemi riguardano soprattutto i mezzi di trasporto sovraffollati nei grossi centri urbani. Questo è un problema che si doveva pensare per tempo.
Lei è stata ascoltata anche in bicamerale, dove ha presentato le sue linee guida. Tra l’altro, ha affrontato il tema dell’affido: quali i problemi maggiori di questo istituto al momento e come rilanciarlo, anche considerata la crisi dopo Bibbiano?
Bisogna partire dal presupposto che il minore ha il diritto di crescere nella sua famiglia, quindi è necessario mettere in campo tutti gli strumenti che ci sono per aiutarlo a crescere nella sua famiglia di origine, mentre l’allontanamento deve essere l’ultima ratio. Quando viene effettuato un allontanamento perché la famiglia è disfunzionale, multiproblematica e non garantisce la crescita equilibrata, sana e serena, si aprono due strade: una è quella della casa famiglia, l’altra è quella dell’affido familiare, che è di per sé, a mio avviso, un buon istituto perché consente al ragazzo di vivere in una famiglia anziché di vivere in una comunità. Questo però presuppone sicuramente che le famiglie affidatarie siano selezionate con molta attenzione e cura e che siano preparate ad affrontare il loro compito che è quello di aiutare il minore a tornare nella sua famiglia.
È un compito estremamente delicato, quindi la famiglia affidataria – o il single a cui è affidato il minore – va selezionata, supportata e non abbandonata.
D’altra parte, non per ogni ragazzo può essere adatto il collocamento in una famiglia. Chi già, ad esempio, proviene da un vissuto di abbandono vive a volte il collocamento in un’altra famiglia con il terrore di essere nuovamente abbandonato. Sono questioni che vanno affrontate caso per caso con molta cautela e prudenza, cercando di mettersi dalla parte del minore che deve essere ascoltato.
Quali iniziative introdurrete per i figli di divorziati e separati?
L’Autorità che oggi rappresento ha già manifestato una sensibilità verso di loro creando la Carta dei diritti dei minori di coppie separate, nella quale in un linguaggio semplice sono citati i loro diritti, ad esempio, di essere informati, di non essere tirati dentro a diatribe di tipo economico, di poter continuare a vedere i nonni. Altra iniziativa interessante è quella dei Gruppi di parole, promossa in collaborazione con l’Università cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto Toniolo, in cui ai ragazzi viene data la possibilità di dare sfogo ai propri sentimenti condividendoli con altri coetanei nella stessa condizione, diventando consapevoli, così, di non essere soli nel proprio dolore o disagio. Questo aiuta molto. Nella prima fase di lockdown ci sono stati dei seri problemi per i contatti dei minori che vivono con un genitore solo perché non erano state previste delle deroghe per andare a trovare il genitore non convivente. Le video chiamate, pur importanti, non hanno potuto sostituire il rapporto diretto; poi è stata introdotta una specifica deroga nelle zone rosse e questo è sicuramente positivo.
Molto scalpore destano anche i casi di bambini morti in seguito a sfide sui social. Come garantire la loro sicurezza on line? Qual è il ruolo delle famiglie?
Bisogna intervenire su due livelli. A livello normativo si è in parte intervenuto perché c’è la legge di contrasto al cyberbullismo che ha istituito un tavolo a cui l’Autorità siede con un suo rappresentante, poi la legge 92/2019 che ha introdotto l’educazione digitale come branca dell’educazione civica: anche qui è stato istituito un tavolo presso il ministero dell’Istruzione che ha il compito di monitorare come vengono garantiti e tutelati i diritti dei bambini nel mondo digitale. In questo caso l’Autorità garante partecipa con due rappresentanti. Il Consiglio d’Europa ha preparato un opuscolo sui diritti dei bambini nel mondo digitale, che pure è interessante. Indubbiamente, l’eccessiva esposizione e la permanenza dei ragazzi davanti ai computer creano un problema serio perché navigando si corrono molti pericoli perché in rete c’è di tutto. Accanto a una normativa seria che accerti l’età del minore per evitare che prima di una certa età il minore entri in contatto con determinate piattaforme, è necessaria anche una sensibilizzazione degli adulti di riferimento affinché controllino e siano vicini ai ragazzi per capire cosa i figli fanno in rete e su determinate piattaforme. Un altro aspetto importante è che i genitori non diano loro stessi degli esempi negativi in rete facendo passare messaggi come quello che intanto si esiste in quanto si appare, in quanto si ottengono dei like; e, se non si riceve un numero sufficiente di like, si hanno delle frustrazioni. Insomma, i genitori hanno una loro responsabilità nel non esporre troppo i figli ai pericoli in rete, che sono moltissimi: come ci ha detto la dirigente della Polizia postale
gli adescamenti on line sono aumentati in maniera agghiacciante in questo periodo di pandemia.