Italia e post-pandemia. Truffelli (Ac), “è tempo di nuove alleanze, priorità alla questione educativa”

“Lavorare insieme è il primo anticorpo dinanzi alla realtà nella quale ci troviamo”. Il presidente nazionale dell’Azione cattolica rilegge per il Sir le quattro “fratture” generate dal coronavirus e indicate dal card. Bassetti al Consiglio permanente Cei. Le responsabilità delle istituzioni, dei cittadini e dei cristiani. “Occorre credere nel protagonismo di ragazzi e giovani”. La "via" della sinodalità

Quattro fratture: sanitaria, sociale, delle nuove povertà ed educativa. Le ha segnalate durante l’ultimo Consiglio permanente il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, analizzando le ricadute della pandemia Covid-19. Ne parliamo con Matteo Truffelli, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma e presidente dell’Azione cattolica italiana.

Le parole del card. Bassetti hanno ulteriormente alimentato un dibattito che attraversa il nostro Paese: quali reazioni immediate le hanno suscitato?
Il tema delle fratture, opportunamente richiamato dal cardinal Bassetti, segnala problemi reali e dinamiche preoccupanti resi più evidenti da un anno a questa parte con la pandemia. Si tratta di questioni già presenti nella nostra società e nella cultura del Paese, che la diffusione del virus e le crisi da essa innescate hanno ulteriormente messo in luce e amplificato. Questo ci consegna, da una parte, la consapevolezza che i tempi con cui confrontarsi sono tempi lunghi, non si tratta di problemi contingenti; dall’altra, questa consapevolezza richiama l’importanza di scelte strategiche, non estemporanee, azioni comuni e condivise che guardino al futuro e non solo al presente. Tutto ciò chiama in causa la politica e le istituzioni, i protagonisti dei processi economici, così come il tessuto associativo della società, le realtà educative e la scuola… Aggiungerei poi un paio di sottolineature.

Quali?
Anzitutto credo emerga, in questa fase, una responsabilità specifica che ci interpella come cittadini, come credenti e in modo particolare, penso all’Azione cattolica, come credenti associati. Inoltre, il tema delle fratture presenti nella nostra società lascia intravvedere con ancora maggior forza la necessità di costruire nuove alleanze. Lavorare insieme è il primo anticorpo dinanzi alla realtà nella quale ci troviamo. E questo chiede di mettere da parte le divisioni, magari rinunciare a qualcosa per convergere e costruire un obiettivo più grande: il bene comune. Costruire alleanze, in ogni ambito, costa fatica, lo sappiamo, ma produce più della somma degli addendi.

Anche il Papa è intervenuto più volte per rileggere questo tempo…
Certamente. Ad esempio nella recente enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti, è possibile trovare tre chiavi di lettura essenziali. In primo luogo, ci dice il pontefice, dobbiamo avere in mente un grande progetto comune per l’oggi e per il domani: è soprattutto di questa capacità di progettare che oggi, nel nostro Paese, sentiamo la mancanza. Quale Italia, quale società, quale Chiesa vogliamo essere? Il secondo elemento, indicato dall’enciclica, è quello del dialogo, inteso non solo come “stile” nelle relazioni, ma come unico strumento possibile per abitare le differenze, ridurre le diseguaglianze, e superare le chiusure. È la “rivoluzione della gentilezza” di cui parla il Papa. Terza sottolineatura: Bergoglio parla della fraternità come di un lavoro da “artigiani”, che richiede cura, dedizione, creatività, un lavoro di cesello, stando sulle singole questioni da affrontare, senza pretendere di realizzare subito un modello perfetto e valido per ogni occasione, ma provando a costruire risposte plausibili, concrete, rispetto ai nodi da affrontare.

Il card. Bassetti si è soffermato sulla “frattura educativa”, tema che incrocia il Dna dell’Azione cattolica e uno degli ambiti di impegno associativo. Quali riflessione sollecita il presidente della Cei in questa direzione?
Mi pare che il tema della “frattura educativa” ci consegni un’urgenza indilazionabile, ma ci dice anche che questo tempo può diventare, a certe condizioni, un tempo per crescere. La prima di queste condizioni è che l’educazione non sia intesa come un compito delegato o “appaltato” ai soli educatori, ma sia avvertita come compito di tutta la comunità. I genitori, ad esempio, hanno bisogno di un tessuto comunitario attorno a loro, non possono essere abbandonati a loro stessi. Questo vale anche per la scuola: gli insegnanti non devono rimanere soli nel crescere i nostri ragazzi e attorno alla scuola non può mancare una rete sociale, l’impegno delle istituzioni, adeguati investimenti economici. Penso, allo stesso modo, agli educatori sportivi, e a quelli impegnati nella comunità cristiana. Più volte il cardinal Bassetti ha chiamato in causa nel suo discorso il tema della comunità: la pandemia ci dice che occorre crescere come comunità, e la cura educativa non può che essere di tutta la comunità. Una seconda sottolineatura si riferisce, a mio avviso, al fatto che l’educazione è “il” processo per definizione.

In che senso?
Intendo dire che con essa affidiamo al tempo ciò che avviamo oggi, investendo sul nostro stesso futuro. L’educazione è un investimento culturale, spirituale, sociale, dunque richiede un investimento e un lavoro diffuso, condiviso, responsabile da parte di tutti.

C’è una terza condizione?
Sì, occorre riconoscere e incoraggiare il protagonismo di chi non è solo destinatario del processo educativo, ma soggetto attivo. Ovvero occorre credere nel e sollecitare il protagonismo di ragazzi e giovani, valorizzare le loro soggettività in una costruttiva relazione intergenerazionale. Lasciare spazio a un’autentica assunzione di responsabilità da parte loro. Vorrei ricordare che se in questo anno difficile la società ha tenuto lo si deve anche al fatto che i giovani hanno mostrato grande senso di responsabilità, pazienza, senso del dovere.

Di recente il Papa ha invitato la Chiesa italiana a intraprendere un cammino sinodale. Un’esigenza “accelerata” da questi ultimi faticosi dodici mesi?
La necessità di una maggiore sinodalità ci è stata riconsegnata in maniera evidente da questo tempo. Solo una Chiesa in cui le tante componenti della comunità siano più capaci di ascoltarsi reciprocamente e ancor più sappiano ascoltare il mondo, può proporsi come promotrice di alleanze, può concorrere a ridurre le fratture presenti nel Paese. Papa Francesco ci indica la via di una sinodalità che parta dal basso, dalla comunità che è radicata nel territorio, dalle parrocchie, da associazioni e movimenti che vivono dentro la Chiesa locale, e dalle cose piccole, dalle tante piccole occasioni di sinodalità che possiamo costruire. Una “sinodalità feriale”, per edificare una comunità cristiana che sappia ascoltare e servire l’umanità, a partire dai più fragili, e in questo modo contribuire a edificare una società pacificata, più giusta e aperta.

 

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