Camminando per strada siamo ormai abituati ad incontrare persone stese su una panchina, su un gradino o a terra tra coperte per ripararsi dal freddo in inverno e borse piene delle loro cose e, tranne quando l’odore che emanano ci causa disgusto, spesso non facciamo più neanche caso a loro ed è molto difficile che ci si domandi come mai si trovino in quella situazione o, ancora meno, se sia possibile per noi fare qualcosa per aiutarli o, magari, anche solo ascoltarli. Forse a pulirci la coscienza basta sapere che ci sono tante associazioni che si prendono cura dei senza fissa dimora, infatti anche i dati Istat del 2020 dicono che le istituzioni no profit di diverso titolo sono 359.574 e la fiducia degli italiani nei confronti del volontariato è al 70%, però è anche vero che spesso non nascondiamo molto bene il fastidio nell’incontrare i volontari che ci attendono all’ingresso del supermercato per chiederci un contributo dalla nostra spesa. Un rapporto che potrebbe apparire conflittuale ma che, soprattutto nei confronti di chi vive ai margini della società, nasconde forse la paura dell’incontro, reso ancora più complesso in questo periodo di pandemia da coronavirus Covid-19 che ha aumentato le distanze.
Per nulla spaventato dal virus, proprio un anno fa è nata l’associazione “Missione solidarietà”, creata dalla volontà del 40enne Angelo Romeo, professore universitario e ricercatore di sociologia che insegna a Perugia e Roma. “Mi sono sempre occupato di volontaria e di servizio agli altri, nel tempo però ho deciso di estendere quello che facevo io da solo, ad altre persone che spesso mi chiedevano di partecipare a questi incontri con i senza fissa dimora”, racconta Romeo mentre, con lo stile appreso facendo servizio assieme alle suore di Madre Teresa di Calcutta, cucina a casa sua i circa 100 pasti, con prodotti frutto di autofinanziamento o donazioni di alcune attività che fanno parte della loro rete, che poi una o due volte a settimana, distribuisce tra i senza fissa dimora che si trovano nella zona di Roma attorno a piazza San Pietro. Al suo fianco si danno il cambio alcuni volontari, tutti amici, amici di amici, colleghi, amici di colleghi, e questa sera ci saranno Patrizio, Fabrizio, Francesco e Roberto, che non si limitano a consegnare la vaschetta con riso o pennette al sugo ed in bianco, o coperte ed indumenti per il freddo, mascherine ed igienizzante ma trascorrono 3 o 4 ore in loro compagnia e ascoltano quello che hanno da dire, raccogliendo anche le loro richieste che possono essere anche quella di un consulto medico, cose semplici per tutti ma difficili per chi vive per strada.
“L’associazione nasce proprio dall’esigenza di incontrare queste persone non come dei numeri, come spesso e volentieri la società ci ha abituato a guardare i senza fissa dimora, e nemmeno con grandi numeri, ma con rapporti empatici, molto vicini a queste persone che nel tempo si sono abituate alla nostra vicinanza, alla nostra presenza. Come se fossimo pezzi della loro famiglia che non hanno più in molte circostanze”, racconta Angelo Romeo mentre il suo nome viene chiamato ad alta voce in via Della Conciliazione da una persona che, prima di chiedergli da mangiare, vuole parlare e scherzare un po’ con lui e con chi lo accompagna.
Prima di iniziare “questa esperienza di amicizia”, come la descrive Romeo, ogni volta il gruppo si raccoglie in un momento di preghiera, che spesso si ripete quando tra i senza fissa dimora si incontra una signora che faceva l’ostetrica e che, ogni volta, vuole pregare con loro. È il Cireneo il simbolo dell’associazione, “l’uomo che ha aiutato Cristo senza nemmeno conoscerlo”, aggiunge Romeo evidenziando l’importanza della solidarietà per il gruppo, “senza nulla in cambio, in maniera del tutto gratuita, senza a volte neppure ricevere un grazie”. Mentre continuiamo ad incontrare persone che si riparano dal freddo in giacigli di fortuna o in delle piccole tende, un ragazzo con addosso lo zaino di una delle compagnie che consegna cibo a domicilio, si avvicina e chiede da mangiare, si siede su un gradino per consumare il pasto e poi riparte pedalando sulla sua bici.
“Fare servizio agli altri non corrisponde al dare un pasto e basta, infatti io dico sempre che il cibo finisce ma l’amore no. Si muore di fame ma si muore anche di indifferenza, e l’indifferenza spesso alberga in strada”, le parole di Angelo Romeo che vuole incontrare queste persone per stargli vicino e smentisce il luogo comune secondo cui le strade siano affollate da immigrati e stranieri, “La strada di Roma è fatta tanti Italiani. È difficile fare una geografia delle nazionalità, perché l’italiano fa sicuramente più fatica a mostrare la sua povertà, come nel caso di molti padri separati che conosco e che, incontrandoli per strada, non sembrano dei senza fissa dimora, poi però dormono in una macchina, sotto un ponte o in una tenda e vanno a mangiare ogni giorno in una mensa di Roma”.
La strada racconta tante storie, tra queste quella di Jonas, morto nel novembre del 2018, che ha segnato Angelo Romeo, insegnandogli cosa significa amare gli altri ed imparare a guardare con più profondità nella vita delle persone, senza fermarsi all’apparenza. Fondamentale per il volontario che, seguendo gli insegnamenti di Madre Teresa, non è un lavoro o un hobby, “per fare del bene agli altri non servono corsi di aggiornamento o lauree, ma servono due cose: mani per servire e cuori per amare”, sottolinea Romeo che apre una riflessione sulla situazione della povertà, “è talmente ampia che non è facile trovare delle soluzioni immediate per tutti, però si potrebbe fare molto di più”. Indispensabile, per il fondatore dell’associazione “Missione solidarietà”, ampliare il discorso, mettendo insieme politica, educazione e, soprattutto, sensibilità, “Perché spesso la politica non ha quella sensibilità adeguata per risolvere certi problemi. Non è semplicemente fare un dormitorio o dare una struttura dove poter mangiare, quelle persone vanno educate e riabilitate”, le sue parole riferite anche a chi, come gli ex detenuti, non ha molte possibilità lavorative. “Non bisogna ghettizzare i poveri, perché questo significa abbandonarli a loro stessi. Non è solo il regalo di Natale che può cambiare la loro condizione. Il rischio è quello di creare delle cartoline dove a Natale e Pasqua ci ricordiamo dei poveri, poi il resto dell’anno nessuno più si interessa di queste cose”, prosegue Angelo Romeo che in questo discorso ampio vorrebbe coinvolte le Istituzioni e non solo l’associazionismo che nasce in maniera volontaria,
“c’è un diritto alla salvaguardia della salute e della dignità della persona che dovrebbe essere garantita a tutti, per legge e non semplicemente da chi lo fa in maniera volontaria”.