Scuole più inclusive, parrocchie più vive, percorsi di catechesi rinnovati: è quello che ha chiesto il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nell’introduzione dell’ultimo Consiglio episcopale permanente, evidenziando che “i processi educativi sono significativi per le persone quando si basano sulla comunicazione dell’attenzione e della cura”. Nell’impegno a risanare la frattura educativa causata dall’emergenza sanitaria non mancano oratori e comunità parrocchiali.
“Il richiamo del card. Bassetti è di grande attualità, perché i bambini e i ragazzi sono grazie al Cielo i meno colpiti in termini sanitari, ma allo stesso tempo tra i più danneggiati dagli effetti di questa crisi. Se la dimensione educativa non è percepita come una priorità, non abbiamo prospettive: ci limitiamo a inseguire il presente, senza avere a cuore la costruzione del futuro nella cura delle giovani generazioni”. Lo evidenzia David Lo Bascio, presidente del Centro oratori romani (Cor). Indubbiamente “la pandemia – nello specifico il primo lockdown – ha scompaginato anche le consuetudini degli oratori romani, costringendoli a rompere vecchi schemi e ripensarsi secondo nuove forme per non interrompere la relazione con i ragazzi, con la consapevolezza che
l’oratorio, prima di uno spazio fisico, è un luogo dove l’incontro con l’altro genera un valore di annuncio,
dove le attività non sono altro che il contesto affinché questo incontro possa realizzarsi in una chiave di senso”. Il Cor, spiega il presidente, “nell’ultimo anno ha cercato di farsi accanto agli oratori in questo percorso creativo, offrendo supporto formativo e strumentale ai catechisti, nonché i necessari chiarimenti relativi al perimetro entro cui operare sulla base delle disposizioni governative”.
Chiaramente “siamo anche noi, come associazione, dentro un processo di comprensione di questa nuova realtà; e sulla base di questo sta mutando il nostro modo di accompagnare gli oratori. Se in un primo momento il cambiamento del Cor e degli oratori può essere stato di natura adattiva rispetto alla situazione di emergenza, in cui sostanzialmente continuava a essere messo in campo un modello ‘top-down’ di proposizione ecclesiale, dove i bambini e le loro famiglie costituivano i soggetti passivi dell’azione della parrocchia, con il prolungarsi del fenomeno pandemico abbiamo preso consapevolezza delle possibilità offerte dall’‘ospedale da campo’”. Il card. Bassetti “mi sembra richiamare proprio questa prospettiva dell’operare insieme e non sopra i soggetti cui ci rivolgiamo; del resto siamo tutti – grandi e piccoli – dentro lo stesso cammino di vita e di fede. A nostro modo di vedere è questa la chiave con cui ripensare gli oratori oggi: prima dei progetti – per i quali la creatività pastorale certo non manca –
mettere al centro i processi educativi e relazionali,
i quali rendono capaci di guardare la realtà e di non sprecare questa crisi, cogliendola veramente come ‘tempo opportuno’ e non solo come arrendevole attesa che tutto passi”.
Anche don Alessandro Di Medio, parroco di San Francesco Saverio alla Garbatella, a Roma, sottolinea: “Il tempo del Covid va custodito nella nostra memoria come tempo favorevole per una profonda conversione degli atteggiamenti e delle priorità, ma la memoria richiede una narrazione e la narrazione un ascolto. Ecco perché nella mia parrocchia, dove ogni settimana si radunano oltre 150 ventenni per vivere un percorso di discernimento e crescita, ho proposto ai ragazzi di dividersi in gruppi di 30 circa e raccontare come hanno vissuto la quarantena, registrando tale condivisione: tutto questo ci occorrerà per ricordare e non limitarci a tornare a quanto si faceva prima”. Il sacerdote aggiunge: “Domani dobbiamo poter dire che il Covid ha segnato un passaggio importante nella storia della Chiesa: una Chiesa le cui fragilità sono state chiaramente esposte proprio dalla quarantena. Penso alle polemiche sulla sospensione delle celebrazioni, che ha mostrato un popolo di Dio incapace di contatto personale e non-mediato con la propria interiorità; e, dunque, la necessità educativa per la Chiesa di insegnare alla gente a pregare, ma pregare sul serio, in un ascolto della Parola che diventa anche ascolto di ciò che la Parola muove dentro di noi”. Ecco perché “nella mia comunità già durante la quarantena ho proposto in streaming due corsi di esercizi spirituali e un corso sulla liturgia delle ore: desidero che i fedeli a me affidati capiscano che la liturgia è fonte e culmine, ma in mezzo c’è la vita interiore personale che va coltivata nella preghiera con un metodo serio e sperimentato nei secoli. Queste proposte naturalmente ora tornano ‘live’, con ritiri, penitenziali, e la recita comunitaria della liturgia delle ore quotidiana”.
Inoltre, “subito dopo la riapertura, sempre in questa linea il venerdì ho tolto la messa della sera, lasciandola al mattino presto, per dare tutto l’anno spazio al sacramento della Riconciliazione, dalle 17 alle 20:
durante la pandemia ci sono state troppe richieste di comunioni, ma troppo poche di confessioni: eppure ogni crisi (globale o personale) dovrebbe indurre a una continua conversione, una sostanziale rimessa in discussione!”.
Ma non finisce qui: “Ho anche deciso di tenere sempre aperto l’ufficio parrocchiale da lunedì a sabato, tutto il giorno, grazie all’aiuto di validi collaboratori, per accogliere e ascoltare situazioni sempre crescenti di disagio”. Don Alessandro conclude: “Al di là delle iniziative specifiche, spero che ognuno di noi comprenda che l’importante è prendere iniziative, cioè
non limitarsi a riparare e restaurare, così da non vedere in quanto è successo (e sta succedendo) solo un danno, ma un’occasione di rigenerazione per la Chiesa”.