E’ il “made in Italy della solidarietà” uno dei pilastri su cui puntare per la ripartenza del Paese, non appena sarà superata la pandemia e tutte le crisi – sanitaria, sociale, economica e ora anche politica – che ne sono seguite. Ne è convinta Claudia Fiaschi, portavoce del Forum nazionale del terzo settore, tracciando al Sir una panoramica delle “fratture” sociali e delle “nuove povertà” ricordate dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nella sua ultima prolusione al Consiglio permanente. Il “made in Italy della solidarietà” è costituito dal terzo settore italiano, al primo posto in Europa come quantità di lavoratori e ricchezza di modalità espressive: 650.000 enti tra associazioni, cooperative sociali, circoli, Onlus, Ong, ecc. – e normative. Un indotto con 880.000 occupati e oltre 6 milioni di volontari, capace di produrre ogni anno 80 miliardi di Pil (Istat, ottobre 2020). Fiaschi lancia un appello alla politica perché “non dimentichi il terzo settore”, chiedendo a tutti i cittadini italiani di “continuare a darsi da fare per le proprie comunità”. “Un quarto delle organizzazioni terzo settore – quelle meno legate all’emergenza – sono a rischio sopravvivenza a causa degli effetti delle pandemia”, lancia l’allarme Fiaschi. La sfida allora è “saper interpretare il cambiamento uscendo dalla zona di confort, lanciandosi verso nuove avventure capaci di generare processi di bene”.
Sono tante le “ferite sociali” che stanno affliggendo il Paese: la povertà economica, la mancanza di cibo, la difficoltà di accesso ai farmaci e alle cure sanitarie, la disoccupazione. “Tutto questo si sta aggravando”, osserva la portavoce del Forum. Ciò che preoccupa di più nell’ultimo periodo è “il forte incremento del disagio psichico a causa delle restrizioni, un tema che riguarda tutte le fasce d’età”: “L’essere umano non è fatto per stare in isolamento e questo peggiora il quadro della crisi sociale”.
“Per contrastare questa grande emergenza economica e sociale servono misure efficaci”, afferma Fiaschi. Nel giorno in cui è stato annunciato l’incarico a Mario Draghi di formare un governo, l’augurio del Forum è “che si ritrovi rapidamente una guida per il Paese. Non solo riguardo all’uso del Recovery fund ma per far ripartire bene l’Italia, anche tramite l’attivazione delle comunità”.
La crisi investe anche il terzo settore. Anche il terzo settore, fortemente radicato nelle reti di prossimità nei territori, risente infatti di una crisi così complessa. Perché se è vero che durante la prima ondata, in pieno lockdown, molti enti hanno avuto picchi di donazioni, queste “si sono concentrate prevalentemente in ambito sanitario o su soggetti pubblici. Per altri enti che non lavorano nelle emergenze, come la distribuzione di cibo, sono venute a mancari fondi sia da privati sia da imprese”.
In difficoltà sono settori come la cultura, l’educazione, i circoli ricreativi, la cooperazione allo sviluppo.
E tante realtà che in alcuni territori – paesi o aree isolate – sono spesso gli unici punti di riferimento per la popolazione. Inoltre l’incremento di attività non è stato compensato da ricavi adeguati, perché “lo svolgimento in sicurezza ha fatto espandere i costi, non sempre con corrispettivi e contributi adeguati, specie per i soggetti in convenzione con gli enti pubblici”. Sono anche venuti meno molti volontari, perché è un servizio svolto in prevalenza da chi ha più disponibilità di tempo, come gli adulti in età avanzata.
“Gli anticorpi della solidarietà”, a suo avviso, sono stati invece le tante “sperimentazioni di nuove modalità di interventi e soluzioni”. Ora è il momento di “creare reti di alleanza con istituzioni e imprese nei territori, per raggiungere in modo più capillare le misure di aiuto e renderle più efficaci, sia quelle pubbliche, sia quelle private come le raccolte fondi”. “Sono segni di speranza che vanno valorizzati – afferma Fiaschi – per continuare ad essere un punto di riferimento ma in modo diverso.
Per la ripartenza ci sarà sempre più bisogno di costruire una migliore economia sociale”.
“Se vogliamo lavorare sull’inclusione lavorativa delle persone – conclude – non possiamo prescindere dal valorizzare l’economia sociale, che ha dimostrato già prima della crisi di essere all’altezza del rilancio economico, per produrre utilità, occupazione e sviluppo”.