Ci sono tornanti imprevisti della Storia che producono parole nuove e proiettano un cono di luce inaspettato. È accaduto che toccasse in sorte alla giovanissima poetessa americana Amanda Gorman, in occasione del giuramento presidenziale di Joe Biden, trovare parole nuove per parlare della democrazia tellurizzata dall’assalto a Capitol Hill. Fasciata nel suo cappottino giallo canarino, assecondando lo scorrere della sua lirica con i gesti flessuosi delle mani, ci ha detto che “mentre la democrazia può essere periodicamente rallentata, non può mai essere permanentemente sconfitta. In questa verità. In questa fede noi confidiamo”. Pronunciate da una ventiduenne afro-americana, queste parole ci restituiscono una speranza che ne vale mille altre. E soprattutto ci inducono a riflettere sulla qualità della democrazia.
Forse le nostre generazioni nate sotto il segno della democrazia parlamentare hanno smarrito il nesso con il patrimonio che essa garantisce: la libertà individuale, il rispetto dei diritti naturali, l’uguaglianza delle opportunità, la giustizia sociale. Certo, anche la ricerca della felicità, come prevede la Costituzione democratica degli Stati Uniti. Ma soprattutto l’aspirazione al bene comune, che è quanto di meglio un popolo possa augurarsi.
La democrazia, però, può rallentare il suo passo.
Come un organismo vivente può avere il fiato corto, può mancarle l’ossigeno della partecipazione, può pagare un prezzo alla richiesta di sicurezza individuale e collettiva, può cedere alla tentazione delle maniere forti, può diventare sorda e muta. Ecco, da quanto tempo l’Occidente non si interroga sulla propria democrazia? La crisi dei partiti politici novecenteschi e l’irrompere dei populismi e dei giustizialismi, non sono forse la spia di una crepa nel tessuto democratico? Quanto sta pesando sulla salute democratica la rarefazione della socialità indotta dalla pandemia? La scuola insegna la democrazia o sposa tutti i conformismi, compresi quelli di matrice tecnologica? E da quanto tempo in tutti gli organismi sociali, compresi i corpi intermedi (anche cattolici), non viene realizzato uno screening democratico?
Dobbiamo anche noi subire uno choc politico-sociale per reagire e gridare, con tutto il fiato che abbiamo in corpo, che la “nostra democrazia non può essere permanentemente sconfitta”?
Sappiamo bene che l’illusione del progresso illimitato, l’esplosione dei diritti individuali, la rarefazione dei doveri, l’acuirsi delle disuguaglianze (perfino esasperate dalla pandemia) sembrano far vacillare il vincolo democratico. Ma non possiamo permettere che venga sminuito il valore di un bene essenziale da cui dipende la qualità della nostra vita futura. Perciò, proprio nei giorni della crisi politica è giusto rinnovare la nostra scommessa sulla democrazia degli uguali.Forse è arrivato il momento di fare un tagliando anche alla nostra di democrazia. Ma non può bastare neppure una semplice chiamata alle urne, perché anche il rito delle elezioni sembra aver perso il suo ruolo fondativo della democrazia. Occorre che ciascuno eserciti, ovunque sia possibile, il metodo democratico. E lo consideri davvero la migliore garanzia per il futuro. In questo tempo sospeso della pandemia in cui sembra che le democrazie occidentali, compresa la nostra, viaggino a scartamento ridotto e corrano il rischio di ammalarsi, occorre il moltiplicarsi delle pratiche democratiche. Non solo nei Palazzi, ma anche nello spazio sociale.