“Il Giorno della Memoria si celebra in un anno straordinario, contrassegnato da tanta sofferenza, da dolore, da un impegno costante per superare una pandemia che ha pervaso l’intera umanità. Ci ha insegnato che quando il male c’è, si diffonde e colpisce tutti indistintamente ma ci ha anche fatto capire che tutti e solo insieme possiamo reagire”. Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, presenta quest’anno con queste parole il Giorno della Memoria. Si celebra in tutto il mondo il 27 gennaio nel giorno in cui nel 1945, le truppe russe dell’Armata Rossa fecero irruzione nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando gli ebrei che vi erano rinchiusi e svelando fino a che punto si era spinta la ferocia nazifascista. Una giornata che negli anni è diventata occasione di incontro e ascolto dei testimoni. “Ma non spetta soltanto a loro farsi carico di impedire che la Shoah possa riproporsi di nuovo”, dice Dureghello, “perché il male che si produce è universale ed è quindi responsabilità di tutti porre quei presidi e quegli anticorpi necessari perché non accada mai più”.
L’antisemitismo però è in crescita un po’ ovunque, in Italia e in Europa. Perché è così difficile sconfiggerlo?
L’antisemitismo è come un fiume carsico che riemerge periodicamente e prende nuova forma a seconda di dove si insinua. Si rafforza ancor di più nei periodi di crisi e di disagio sociale perché è l’espressione di una insofferenza che si manifesta attraverso un pregiudizio e il pregiudizio vede nel diverso il capro espiatorio di colpe alle quali non si riesce a dare delle risposte.
Come è cambiato l’antisemitismo oggi?
Innanzitutto pervade i social e questo è il grande tema dell’attualità. Lo fa in maniera aggressiva, spesso nemmeno troppo controllata, e lo fa aggredendo le generazioni più generazioni. Sono purtroppo i ragazzi, le fasce più vulnerabili, ad essere colpiti dai messaggi più violenti.
Come combattere questo male?
Intanto occorre impegnarsi di più per riconoscerne i segnali ma soprattutto chiediamo che vengano perseguiti i responsabili perché non si dia mai per scontato che quel modo violento e aggressivo di esprimersi possa essere una cosa che si può fare. No, non si può fare, non si deve fare.
Da ebrea, cosa significa essere oggetto di un’aggressione di stampo antisemita?
E’ qualcosa di incomprensibile per cui la prima reazione è di stordimento. Cosa ho fatto di male? Perché vengo attaccata per una diversità che io rivendico come tale in una società in cui il rispetto del diverso è un principio fondamentale della Costituzione? Ma mai, mai, cadere nella paura. Innanzitutto, perché c’è una consapevolezza di identità. Ma poi cedere alla paura sarebbe il primo successo dei nostri aggressori. Chi ci aggredisce, lo fa per umiliarci come persone e per farci rinunciare a quelle che sono le nostre peculiarità. Giammai succeda, anzi. Più forte è l’attacco, più forti saranno i nostri valori.
Qual è il messaggio quest’anno che volete dare all’Italia?
Dopo la Shoah, c’è l’umanità. Quello che la Shoah ci ha insegnato è che dopo c’è stata una vita. Le comunità e il popolo ebraico hanno continuato a vivere. Però la Shoah c’è stata e il pericolo che possa riproporsi con formule e modalità diversi è sempre dietro l’angolo. Dobbiamo allora fare tutto quello che è necessario per fermare ogni deriva pericolosa ma farlo tutti insieme se vogliamo ancora oggi continuare a vivere.