L’analisi minuziosa e approfondita dei comportamenti dei diversi soggetti politici – singoli e collettivi – è spesso utile per capire scelte e avvenimenti. Se effettuata con rigore logico e onestà intellettuale, può fornire ai cittadini informazioni indispensabili per la formazione di un giudizio responsabile e per scelte conseguenti. Ma a volte c’è bisogno di fermarsi e, senza ovviamente rinunciare all’analisi, provare a cambiare il punto di osservazione per evitare si smarrirsi dietro una “politichetta” tutta manovre tattiche ed espedienti propagandistici. In questi momenti è necessario appellarsi al rispetto di quel principio di realtà che sembrava destinato a essere travolto dall’ondata populista a colpi di fake news e invece le è sopravvissuto in modo persino drammatico, se pensiamo che ad arginare l’ondata è stata soprattutto la tragedia planetaria della pandemia. Non che la partita sia del tutto chiusa, come dimostra il fenomeno del negazionismo non a caso alimentato – in modo strisciante o plateale – dai leader populisti di mezzo mondo. Però almeno è possibile ragionare e confrontarsi con la concretezza dei problemi, per quanto dura e dolorosa.
Si prenda il caso della crisi di governo in atto. Crisi politica, certo, non formale, non istituzionalizzata, ma comunque crisi. Non sappiamo esattamente quali saranno gli sviluppi delle prossime ore o giorni, stante la proverbiale imprevedibilità di Renzi, ma se ci mettiamo dalla parte del Paese si può già affermare che quanto sta accadendo su questo fronte – e lo stesso si potrebbe dire del continuo chiacchiericcio che da mesi ruota intorno alle sorti dell’esecutivo – appare del tutto sganciato dalla realtà. C’è la pandemia che richiede nuove misure di contrasto (come in tutta Europa, peraltro); c’è la campagna dei vaccini che sta per partire e richiederà uno sforzo collettivo enorme; c’è da approvare la legge di bilancio entro il 31 dicembre; ci sono da compiere scelte epocali per impiegare nel modo migliore i fondi europei finalmente sbloccati e attraverso di essi cercare di risollevare un sistema economico-sociale piegato dalla conseguenze del Covid.
Come si possa pensare di aprire una crisi di governo in un contesto del genere è semplicemente straniante,
qualunque cosa si pensi del Presidente del Consiglio e dei ministri in carica. Piuttosto le forze che costituiscono la maggioranza (a cominciare dalle più consistenti, il Pd e il M5S) hanno il dovere di sciogliere ogni ambiguità e, se questa è la loro intenzione reale, stringere un patto politicamente forte e impegnativo per ogni componente. Incertezza e instabilità sono i fattori negativi che più pesano sulla società italiana. Condizionano in modo decisivo tutte le scelte che implicano uno sguardo sul futuro, dagli investimenti produttivi alla natalità.
Straniante è anche il comportamento della Lega che in Senato sta facendo le barricate per impedire la conversione in legge del decreto che modifica con realismo e buon senso i cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini. Che l’immigrazione fosse il più grave problema dell’Italia è stata la bufala numero uno del populismo pre-pandemia. Ormai non ci crede più quasi nessuno, ma quei decreti sono una bandiera e vanno difesi a oltranza.
Il principale problema che oggi il principio di realtà pone al centro-destra è però un altro: è il rapporto con l’Europa, con tutto ciò che esso comporta in termini istituzionali ma anche di condivisione profonda dei valori democratici. Forza Italia è ancorata al Partito popolare europeo e questo elemento è forse la più importante risorsa su cui può contare Berlusconi nella fase attuale.
Lega e FdI continuano invece a comportarsi come se fosse possibile fare a meno della Ue. Gli interventi nel dibattito parlamentare sul Mes hanno dato la misura della persistenza di questa che è più di un’ambiguità. Tanto che, nel voto con cui ieri il Parlamento europeo ha dato il via libera al piano di rilancio su cui l’Italia fonda grande parte delle sue speranze di ripresa, la Lega si è astenuta, alla faccia degli interessi nazionali. E sia la Lega che FdI si sono astenuti sulla risoluzione presentata da popolari, socialisti, verdi e liberali in materia di difesa dello Stato di diritto. Del resto i due partiti vantano stretti legami con le leadership “illiberali” di Ungheria e Polonia che sono sotto osservazione da parte della Ue.
Il fatto è che l’Europa non solo non è più in fase calante, ma di fronte alla pandemia ha dimostrato una vitalità e una progettualità di cui sembrava essersi persa traccia.
Bisogna dirlo chiaramente: pensare all’Italia senza l’Europa è contro il principio di realtà e chi aspira a governare il Paese deve farsene una ragione.