Quindici sedi in Lombardia e Piemonte, oltre 1,8 milioni di prestazioni sanitarie offerte nel 2019, uno staff di 2.500 unità. Sono i numeri dell’ Istituto Auxologico italiano Irccs, associato all’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), di nuovo in prima linea contro il Covid e impegnato al tempo stesso nel garantire servizi sanitari e assistenziali di qualità, mentre in tutta Italia gli ospedali sono sotto pressione e molti stanno superando il livello di guardia delle loro capacità. “In questa seconda ondata – ci spiega il direttore generale Mario Colombo – con i nostri ospedali siamo ancora partner importanti di Regione Lombardia e di Regione Piemonte. Abbiamo nuovamente dato la disponibilità a rinunciare, transitoriamente e in parte, alla nostra natura di ospedali specialistici e di ricerca, pronti a esserlo nuovamente e pienamente appena possibile”.
Quando la Regione Lombardia “ha avuto contezza di un incremento esponenziale degli accessi al pronto soccorso e della necessità di ricoveri ospedalieri – prosegue – ha imposto alle strutture non hub, ossia di media dimensione, la sospensione immediata di tutti i ricoveri programmati mentre negli hub – i grandi ospedali generali di riferimento – è stata ridotta al 70-80% la capacità relativa all’attività programmata”. Nella regione, “la collaborazione fra tutti i soggetti della rete ospedaliera e le forme di ricovero intermedio, come strutture di tipo alberghiero per i pazienti ormai stabilizzati, funziona meglio rispetto alla prima fase dell’epidemia”.
L’Auxologico di Milano, racconta Colombo, ha messo a disposizione 120 posti letto Covid; lavora in sintonia con gli ospedali hub per il trasferimento dei pazienti che accedono ai loro pronto soccorso: “Non appena abbiamo un posto libero viene subito occupato”. Sospesa tutta l’attività chirurgica programmata, il personale infermieristico di sala operatoria e il personale di anestesia viene utilizzato all’interno di questi reparti e di quelli ordinari.
Nei giorni scorsi la società scientifica degli internisti ospedalieri ha lanciato l’allarme sul rischio incapacità di garantire gli standard qualitativi per le cure a tutti i malati cronici e ai malati acuti non Covid, e sul rischio ulteriori criticità e ritardi nel campo della prevenzione. Come è da voi la situazione? “La Regione Lombardia – risponde – ha sospeso l’attività ambulatoriale nelle Ats di Monza e Brianza, e di Varese, dove la pressione dei malati sugli ospedali è fortissima, ma nel resto della regione questa attività prosegue, pur con alcune riduzioni”. La grande sfida è mantenere attivi, “in sicurezza e con grande impegno di tutti”, i servizi ambulatoriali per “garantire l’erogazione di prestazioni urgenti, di diagnosi e controllo oncologico, ma anche continuare nelle attività di prevenzione erogando prestazioni magari prenotate mesi prima: il tutto rispettando i protocolli di sicurezza.
La nostra realtà, tra le principali dell’area metropolitana milanese per erogazione di prestazioni ambulatoriali, nella prima fase dell’emergenza ne ha rinviato circa 80mila. Siamo dunque alle prese con queste prestazioni, prenotate anche 6-8 mesi fa, e con quelle nuove.
Un grande sforzo a favore dei pazienti più fragili e complessi”.
Oltre ai malati oncologici “devono proseguire i percorsi di riabilitazione e mantenimento le persone soggette a disturbi del comportamento alimentare, né possono essere abbandonati gli scompensati cardiaci cronici”. Ma prosegue anche l’attività di ricerca “perché solamente con le conoscenze che ci arriveranno dalla ricerca potremmo affrontare meglio il Covid e le complicazioni mediche che purtroppo ci lascerà in eredità”.
Nella regione Piemonte, “che sta vivendo maggiori difficoltà rispetto alla Lombardia, abbiamo un ospedale in provincia di Verbania dove abbiamo messo a disposizione 150 posti letto Covid e stiamo ricevendo moltissimi pazienti da fuori provincia, trasferiti da Asl lontane. Il sistema ospedaliero piemontese, in affanno, decentra i pazienti in aree al momento meno congestionate”.
Il personale come reagisce? “La prima fase dell’epidemia si è presentata come una novità assoluta e in tutti c’era il desiderio di impegnarsi al massimo per un obiettivo, il traguardo che a breve tutto questo potesse finire. Lo scenario attuale è invece accompagnato dalla consapevolezza che non ne usciremo nel breve periodo, che l’emergenza ci manterrà impegnati probabilmente fino alla prossima estate”. Se questo non produce rassegnazione o depressione,
“il personale è indubbiamente stanco, provato fisicamente, mentalmente e psicologicamente perché vede un orizzonte temporale indefinito e ancora lontano.
Ognuno, portatore di competenze specialistiche, vorrebbe ritornare il prima possibile a svolgere il proprio lavoro; tuttavia i nostri operatori mantengono una forte motivazione e non hanno difficoltà a mettersi a disposizione nei reparti Covid”. Inoltre, l’accorpamento di alcuni reparti e il trasferimento, sempre nell’area milanese, di medici e infermieri da un ospedale all’altro
“ha creato una comunità allargata e una bella condivisione: un importante aspetto positivo di questa emergenza”.
Nella provincia di Monza e Brianza i medici a riposo si stanno offrendo, su base volontaria, per dare una mano. “In situazioni di grave emergenza e sotto organico di personale – osserva il direttore generale dell’Istituto che nella prima fase dell’epidemia ha ‘arruolato’ gli specializzandi degli ultimi anni – occorre certamente fare ricorso anche al personale in quiescenza, ma ritengo che con una buona organizzazione, un buon coinvolgimento dei sanitari in servizio, una razionalizzazione nelle attività, il nostro sistema riesca a sopperire anche in questa emergenza alle esigenze dei pazienti”.
Rafforzare la medicina del territorio potrebbe alleggerire il carico ospedaliero e l’accesso in pronto soccorso? “Nello specifico, i pazienti trasferiti dagli hub nei nostri ospedali hanno necessità di ricovero perché bisognosi di trattamenti che non potrebbero essere erogati a casa, ma in linea di principio andrebbe fatta una riflessione analizzando numeri e caratteristiche di questi accessi.
Quanti di questi pazienti potrebbero evitare di ricorrere al pronto soccorso se il sistema territoriale fosse più efficiente?
Occorre però tenere presente che molti medici di medicina generale sono a loro volta malati”.
Per riportare sotto controllo la situazione, è sufficiente raffreddare la crescita della curva dei contagi? “Ben vengano le misure restrittive messe in campo – avverte – ma occorre anche una maggiore efficienza di testing: la possibilità da parte di pazienti – sintomatici e asintomatici – e di familiari di contagiati di accedere con tempestività e facilità a tamponi ed esami sierologici. Sabato scorso abbiamo inaugurato un ‘drive-in-through’ a Meda, in provincia di Monza e Brianza, nel parcheggio antistante la nostra sede. La possibilità di dare in facilità e sicurezza una risposta nel giro di 12-18 ore concorre sicuramente a ridurre la diffusione della malattia, o almeno a dilazionarla nel tempo in attesa di un vaccino o di cure efficaci”. Ma per Colombo è essenziale non procedere più in ordine sparso: “Basta iniziative individuali. E’ auspicabile una uniformità di comportamenti tra regioni, ed anche all’interno della stessa regione”.