Oltre le polemiche quotidiane, il tentativo della politica italiana di trovare un metodo dialogante per affrontare questa fase critica per il Paese registra qualche segnale più concreto del solito. All’origine c’è sempre la moral suasion del presidente della Repubblica che, come si ricorderà, è emersa in modo palese all’inizio di novembre nei colloqui con i presidenti dei due rami del Parlamento e i vertici della Conferenza delle Regioni. Da allora qualcosa si è messo in moto, nel dibattito pubblico come a livello parlamentare. Al Senato, per esempio, la presidente Casellati ha incaricato la commissione Affari costituzionali, guidata dal pd Dario Parrini, di valutare “modalità più efficaci per valorizzare le prerogative del Parlamento in uno stato di emergenza dichiarata”. Su questa tema la commissione ha avviato una serie di audizioni chiamando a consulto un nutrito gruppo di costituzionalisti. Le audizioni proseguiranno anche la prossima settimana e quindi la relazione conclusiva verrà affidata alla Casellati. Fino ad ora i giuristi si sono espressi quasi unanimemente per una commissione bicamerale: secondo alcuni prendendo a modello il Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, con la presidenza assegnata a un esponente dell’opposizione, secondo altri potenziando la commissione bicamerale per le questioni regionali. Bocciata, invece, la proposta di una conferenza unificata dei capigruppo di Camera e Senato che però resta ancora decisamente in pista, tanto che è stata rilanciata dalla presidente del gruppo di Forza Italia, Anna Maria Bernini. Non è detto, peraltro, che una soluzione escluda l’altra, anche per i tavoli su cui è auspicabile un dialogo tra i partiti sono più d’uno, dal versante strettamente economico a quello delle misure anti-contagio.
Sul piano politico generale la proposta in primo piano è quella di affidare l’iter parlamentare della nuova legge di bilancio a due relatori, uno della maggioranza e uno dell’opposizione, il che ovviamente implica un certo livello di condivisione dei contenuti. È stata FI a lanciarla e il Pd (sono questi i partiti più attivi sul fronte del dialogo) ha dato subito un riscontro positivo. Ci sarebbe anche un precedente al tempo del governo Monti. Sullo sfondo – uno sfondo estremamente ravvicinato – c’è la questione del piano per l’impiego dei fondi straordinari europei con scelte che incideranno nella vita del Paese ben oltre i limiti non solo dell’esecutivo in carica ma anche della stessa legislatura (sempre che non coincidano) e quindi richiederebbero un confronto onesto e responsabile tra tutte le forze politiche.
Non c’è dubbio che sia il terreno parlamentare quello in cui il dialogo tra maggioranza e opposizione potrebbe svilupparsi senza alterare la corretta dialettica tra i diversi ruoli. Perché c’è un nodo politico di fondo: non si può chiedere all’opposizione di annullarsi, perdendo la faccia di fronte all’opinione pubblica, ma allo stesso non si può chiedere al governo di rinunciare a governare. Più ancora in profondità, il nodo da sciogliere è se davvero la volontà di dialogo sia sincera, per il bene comune del Paese, o se ognuno in realtà anteponga a tutto il proprio tornaconto di parte (che pure ha il diritto di perseguire ma non contro l’interesse generale) e il richiamo al dialogo sia soltanto un espediente tattico e strumentale.
Del resto, come aveva sottolineato Paolo Pombeni in un’intervista al Sir dopo il voto di settembre, “si va verso un ridisegno degli equilibri politici”.Il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il M5S, è alla vigilia di scelte decisive per il suo futuro negli “Stati generali”. A sua volta il partito più forte dell’opposizione, la Lega, è alla ricerca di un nuovo baricentro e oscilla tra posizioni barricadere e istanze più costruttive, con l’aggiunta di un problema di posizionamento internazionale aggravato dall’esito delle elezioni americane. Problemi di posizionamento – sia rispetto all’Europa, sia rispetto alla nuova leadership Usa – interessano direttamente anche FdI che però si è mossa finora con maggiore accortezza e ne sta beneficiando in termini di sondaggi.
Dal versante delle Regioni, in quadro di continue tensioni, merita una sottolineatura la mossa congiunta di Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, che in un esercizio virtuoso di autonomia hanno varato norme più restrittive assumendosene la responsabilità. Due Regioni guidate dal centro-destra e una dal centro-sinistra. Volendo, si può fare.