Raccontare le storie di chi è impegnato per aiutare le persone maggiormente in difficoltà, dare rappresentazione al lavoro sociale. È con questo obiettivo che il Cnca ha deciso di promuovere la produzione di 10 podcast dedicati ad altrettante esperienze di organizzazioni socie della Federazione. L’intero ciclo di podcast si intitola “Le voci dell’accoglienza”. I primi tre prodotti sono stati dedicati al modo in cui tre organizzazioni associate alla Federazione hanno affrontato l’emergenza Covid-19 i. I podcast possono essere ascoltati sul sito del Cnca. I prossimi tre saranno pubblicati a metà novembre: saranno dedicati al tema delle tossicodipendenze; gli ultimi quattro saranno pronti per la fine dell’anno e riguarderanno l’economia circolare con progetti a sostegno dell’inserimento lavorativo di persone fragili all’interno di produzioni che rispettano l’ambiente.
“Con i podcast volevamo dare voce a chi, durante il lockdown, tutti i giorni continuava a lavorare e a occuparsi di persone in difficoltà. Abbiamo avuto operatori che per senso di responsabilità hanno scelto di vivere nelle comunità in cui lavorano per non mettere a rischio gli ospiti – minori, tossicodipendenti, persone fragili a livello di salute – entrando e uscendo dalla struttura. Eppure, tutto questo non ha trovato spazio a livello mediatico”, ci racconta Caterina Pozzi, vice presidente del Cnca. “Le difficoltà vissute in quei giorni sono state infinite – evidenzia -. I gruppi della Lombardia, prima di altri, hanno avuto modo di confrontarsi su alcune problematiche riguardanti la sicurezza, basti pensare al reperimento delle mascherine”. Anche “nelle nostre comunità ci sono stati casi di contagio, ma non morti. Insieme con l’igiene pubblica del territorio abbiamo creato dei percorsi di sicurezza. Comunque, non sono stati fatti tamponi: questa è stata una difficoltà, soprattutto nei dormitori”. Pozzi loda gli operatori: “Noi abbiamo a che fare con utenze fragili anche da un punto di vista psicologico. La tenuta del gruppo – di adolescenti, persone con disturbi psichiatrici o senza fissa dimora – è stato un risultato non scontato: non ci sono stati atti di violenza, ribellioni. Gli educatori e gli operatori sociali sono stati molto bravi”.
I dati del contagio in Italia di nuovo fanno paura. “Affrontiamo la nuova emergenza più stanchi – ammette la vice presidente del Cnca -.
‘Abbiamo tenuto una volta, non è così scontato che si tenga la seconda’, questo è il sentimento diffuso,
ma partiamo con qualche conoscenza e indicazione in più da parte del pubblico e ciò in qualche modo aiuta”. Ora “sono due le prospettive: da una parte stiamo sul qui e ora per affrontare i problemi cercando di prevenirli e lavorando sul sostegno da dare agli operatori, nel caso di una nuova chiusura; dall’altra, cerchiamo di guardare avanti capendo come all’interno di questi stravolgimenti possiamo contribuire al cambiamento: non è più pensabile tornare a un mondo pre Covid, ma occorre mettere al centro altre istanze come l’abbattimento delle disuguaglianze, la consapevolezza che la povertà non si può risolvere con gli slogan, che i territori devono tornare al centro delle politiche, che la salute è un bene comune.
Durante il lockdown l’abbiamo visto: i servizi di prossimità sono stati fondamentali,
perché sono delle antenne sul territorio che ci permettono di dare delle risposte. Siamo il tramite tra il cittadino più fragile e gli enti pubblici”.
Uno dei tre podcast dà voce a Comin, una cooperativa sociale di solidarietà nata a Milano nel 1975 per creare comunità educative di tipo familiare e in contesti che potessero assicurare forti legami sociali con la società civile. Dalle comunità per minori si sono sviluppati altri servizi (educativa domiciliare, interventi a gruppo, affido familiare) con l’obiettivo di sostenere la genitorialità in base al principio che un minore ha diritto a crescere nella propria famiglia e –dove non possibile- in un contesto familiare. “Durante il lockdown le maggiori difficoltà si sono situate su tre piani – spiega Emanuele Bana, presidente di Comin -. Innanzitutto, la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, con le iniziali difficoltà a reperire strumenti di protezione individuale e a definire protocolli di lavoro che tenessero insieme la salute e il carattere familiare delle comunità e accogliente dei nostri servizi. Su questo piano è stato – ed è – molto difficile star dietro a tutti i Dpcm e le normative regionali a volte in contraddizione tra loro. In particolare, la Regione Lombardia emana misure di contrasto al contagio che paiono inconciliabili con la natura delle comunità per minori”. La seconda difficoltà ha riguardato la riorganizzazione dei servizi: “Le comunità, tradizionalmente aperte, si sono riorganizzate intorno alla necessità di protezione; ciò è stato estremamente laborioso e costoso: assicurare la quotidianità, gestire la didattica a distanza per 8 ragazzi contemporaneamente, mantenere i rapporti con le famiglie di origine, gestire i turni degli educatori limitando il numero di persone in ingresso. Gli altri servizi hanno attuato modalità di lavoro a distanza trovando nuovi modi di supportare ragazzi e famiglie, di giocare, di sostenere emotivamente gli adulti e le difficili dinamiche familiari, messe ancor più a dura prova dalla convivenza forzata”. Infine, “l’aspetto più frustrante e deludente” è stato “il rapporto con le Pubbliche Amministrazioni, salvo pochi rari casi. A fronte di servizi pubblici in gran parte funzionanti in modalità a distanza e a ritmo ridotto soprattutto nei primi mesi della pandemia, è stato genericamente molto difficile vedere riconosciuto integralmente il nostro lavoro sul piano economico e questo ha messo in difficoltà la tenuta economica della cooperativa”.
Come avete aiutato i minori ad affrontare questo momento così difficile? “Abbiamo lavorato per dare un significato alle regole del lockdown, aiutando bambini e ragazzi a ‘starci dentro’ e abbiamo visto che c’è stato un buon livello di adesione alle norme e tenuta emotiva – risponde Bana -. Accettare incontri a distanza con i familiari non conviventi, non poter vedere gli amici, stare in case piccole e a volte inospitali, fruire solo a distanza del supporto di educatori che sono diventati riferimenti anche affettivi, accogliere le paure, provare a discernere tra mille notizie e allarmi, ravvivare la quotidianità e non cadere nella depressione: sono alcuni degli aspetti su cui educatori, assistenti sociali e psicologi hanno lavorato”. In questo periodo, prosegue, “abbiamo poi attivato tre interventi straordinari per fronteggiare l’emergenza Covid: Comunità Zumbimbi, con Cordata, fondazione Terres des Hommes per accogliere figli con entrambi i genitori ricoverati per Covid; collaborazione con gli enti pubblici e gestione diretta di hub alimentari per distribuire generi alimentari a persone indigenti; gestione di un residence per persone in quarantena o che svolgevano lavori a rischio contagio (infermieri) in assenza di situazioni abitative capaci di garantire l’isolamento”. Ora che stanno risalendo i contagi “abbiamo provveduto a fare scorte di Dpi, abbiamo messo a punto protocolli di sicurezza capaci di adattarsi velocemente al cambiamento della situazione sanitaria, abbiamo affinato gli strumenti di monitoraggio finanziario anche accedendo a un finanziamento straordinario previsto dalla legislazione di emergenza. Anche l’aver collaudato metodologie educative nuove ci permette di affrontare in modo più capace il periodo che si prospetta, senza grosse interruzioni del lavoro”. Invece, conclude Bana, “rimane molto critica l’inadeguata gestione sanitaria della Regione, l’assenza di corridoi preferenziali per tamponi diagnostici per educatori e ragazzi di comunità, l’incertezza delle regole che governano la gestione delle diverse quarantene e i rientri a scuola”.