“Con realismo, si può stimare che lo shock della pandemia abbia fatto lievitare complessivamente fino ad almeno 6 milioni il numero di famiglie in varia graduazione di sofferenza: da quelle pressate da uno stato d’insolvenza finanziaria o creditizia a quelle via via più esposte alla trappola dell’usura. Anche le aziende sono a rischio di usura, soprattutto per la pandemia: 40.000 (dato Confcommercio) potrebbero finire in mano alla criminalità organizzata”. È l’allarme lanciato dal segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, nel messaggio inviato alla Consulta nazionale antiusura, nell’ambito dei lavori per l’Assemblea annuale, che si è svolta a Roma il 9 e il 10 ottobre. Dati preoccupanti che riflettono un trend pericoloso: se già nei primi tre mesi dell’anno il Viminale ha registrato un aumento del 9% dei reati di usura rispetto allo stesso periodo del 2019, non è difficile immaginare che nei prossimi mesi si avvertiranno sempre più pesantemente le conseguenze anche economiche dell’emergenza sanitaria. Intanto sono raddoppiati, a livello nazionale, i sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza derivati da operazioni d’usura. A grave rischio di fallimento imprese, ristoranti, alberghi, negozi e dietro l’angolo la criminalità organizzata pronta ad approfittarne. Gli usurai si rivolgono alle persone in difficoltà offrendo anche servizi. Non si tratta più solo di dare denaro a tassi da capogiro, ma di mettere in campo una serie di attività che favoriscono lo sviluppo locale pretendendo in cambio la cessione della proprietà di beni e attività economiche in caso di impossibilità a restituire. Solo a Roma sono state segnalate alla Banca d’Italia, in questi mesi, 5.992 operazioni finanziarie sospette, a fronte di 4.217 in tutto il 2019. Malgrado ciò restano bassi i numeri di chi denuncia. “Quello dell’usura è un fenomeno complesso, carsico, noi stessi rischiamo di incontrare poche vittime dell’usura e quelle che incontriamo facciamo fatica a farle denunciare. Eppure, quando ci si trova in situazioni legate alla criminalità organizzata l’aspetto fondamentale per far scattare qualche intervento significativo è la denuncia”, precisa al Sir Luciano Gualzetti, neo presidente della Consulta nazionale antiusura.
In Assemblea è stata fatta una stima di 6 milioni di famiglie in sofferenza per effetti dell’emergenza in atto…
Il Covid ha fatto esplodere tutta una serie di contraddizioni e di fragilità che erano già presenti prima.
Sul piano economico il lockdown ha portato molte famiglie e imprese a non avere nemmeno un euro di entrata per dei mesi, se non aiuti statali per alcuni, così molti si sono affacciati alle Caritas per chiedere pacchi alimentari, il pagamento delle bollette o delle rate. Dopo questo blocco economico ci sono state delle conseguenze pesanti nei confronti di chi era già povero o di coloro che si trovavano in una zona grigia tra la povertà e il ceto medio ma che hanno visto rompere l’equilibrio tra entrate e uscite: le spese per le medicine, la casa, il cibo, infatti, si possono comprimere ma non eliminare. Inoltre, nell’immediato vengono a chiedere da mangiare per i figli, ma poi gli effetti dell’indebitamento si vedranno tra alcuni mesi.
Avete riscontrato un cambiamento nei motivi per cui ci si indebita?
Sì, abbiamo notato sempre più che nel tempo l’indebitamento riguardava non più spese voluttuarie, ad esempio il televisore all’ultimo grido: con la crisi del 2008 la gente s’indebitava anche per spese essenziali come il pagamento dell’affitto e delle bollette o per spese legate alla salute. In una situazione di forte crisi si faceva ricorso al prestito per coprire i propri debiti con quella che noi chiamiamo
la staffetta dei debiti: pagare i debiti con altri debiti
è diventata una consuetudine anche per la facilità di prestiti che le banche e le finanziarie riconoscevano. Tutto questo non è ancora usura ma ne è la premessa: le famiglie hanno bisogno di denaro e trovano come ultima spiaggia l’usuraio, la criminalità organizzata che offre il denaro. Poi è diverso parlare di usura di vicinato o dei bisogni di imprese che finiscono nelle mani di usurai della criminalità organizzata.
In che modo aiutate chi è in difficoltà?
Quanto è nata la Consulta, nel 1995, riuniva cinque fondazioni antiusura, ora sono trentadue, almeno una in ogni Regione. In questi 25 anni sono state vicine con competenza e anche con strumenti efficaci alle famiglie in situazioni veramente compromesse e, allo stesso tempo, hanno avuto il merito di tenere accesi i riflettori su un fenomeno che tutti hanno interesse a nascondere. Ci sono dei meccanismi che rendono difficile la risalita e il riconquistare una dignità finanziaria ed economica una volta perduta perché si è segnalati come cattivi pagatori o perché è fallita l’impresa: si entra in una grande vergogna e i suicidi sono campanelli di allarme che fanno emergere questo fiume carsico che è nascosto sotto terra. Le fondazioni antiusura hanno il compito di segnalare che si può contrastare questa situazione anche pesante di sovraindebitamento e che non bisogna assolutamente fidarsi di coloro che offrono denaro facile, come la criminalità organizzata. Le fondazioni antiusura non lasciano sola la persona e consentono degli interventi risolutivi con dei prestiti che poi verranno restituiti a dei tassi bassi. La persona è accompagnata nel tempo a non sbagliare più i propri investimenti e le proprie spese.
C’è anche un aspetto educativo?
Le fondazioni fanno una rilettura di tutta la storia finanziaria di una persona per capire come ha fatto ad arrivare a quel punto e introdurre nuovi comportamenti. Una delle caratteristiche delle fondazioni antiusura è la convinzione che
non è solo una questione economica ma essenzialmente una questione culturale,
come vediamo la nostra vita, a cosa l’affidiamo: al consumo fine a se stesso o per apparire. Tutto questo va un po’ educato e ridimensionato, facendo capire che le risorse di denaro vanno spese per i progetti seri, di lungo periodo, di investimento, lo studio dei figli, una casa adeguata, entrando anche in una logica di risparmio per poi saper affrontare le spese future. C’è un affiancamento all’uso del denaro e a un indebitarsi responsabile, cioè capace di prevedere cosa compromette del proprio reddito nel tempo e in qualche modo ridisegnare gli impegni in base alle priorità e ai valori a cui una persona affida la propria vita.
Uno degli impegni della Consulta è il contrasto all’azzardo…
La Consulta ha intercettato questo tema proprio perché si è resa conto che molte persone si indebitavano a causa del gioco oppure affidavano al gioco la soluzione dei propri guai. Torniamo anche qui al discorso dell’educazione: su quale roccia vuoi fondare la tua vita che non può essere l’alea. Quindi, è un tema culturale, prima che economico. Ovviamente ci sono delle responsabilità politiche: lo Stato, da una parte, promuove il gioco e, dall’altra, insieme a noi cerca di contrastare gli effetti perversi e patologici dell’azzardo. Il Covid e il lockdown hanno avuto prima un effetto di remissione del sintomo, ma quando è finita la chiusura c’è stato un rimbalzo, mostrando che non si risolve il problema solo impedendo o vietando, ma c’è tutta un’azione educativa nei confronti delle persone, che devono dare il giusto spazio agli affetti, al lavoro, ai progetti, alla responsabilità verso gli altri.
Mons. Russo ha incoraggiato una maggiore collaborazione tra Caritas e fondazioni…
Molte fondazioni sono già legate alle Caritas, nel senso che sono state promosse dalle diocesi e dalle Caritas diocesane come strumento competente per affrontare questo tipo di processo di impoverimento; altre fondazioni sono nate per altre vie e occorre rilanciare questa collaborazione. L’integrazione dell’approccio e la collaborazione tra le due realtà è fondamentale. Più sono gli strumenti che ruotano attorno alla persona, quelli di Caritas e delle fondazioni, meglio la si può aiutare in modo mirato.
Qual è la maggiore sfida attuale per la Consulta?
Mettere in condizione tutte le fondazioni, che sono le vere protagoniste a livello territoriale, di svolgere la propria mission. Ci sono tanti aspetti che possono essere migliorati, magari anche trasferendo tra una fondazione e l’altra le migliori prassi e le migliori soluzioni che ciascuno ha trovato. La sfida è quella di sempre: non lasciare solo nessuno, soprattutto oggi, anche in vista di un probabile peggioramento delle condizioni sia delle imprese sia delle famiglie.