“La presenza dei nonni nelle case è un dono” perché sono gli “angeli custodi della famiglia, che trasmettono il valore della solidarietà che guida la convivenza sociale”. Lo sottolinea Giovani Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), in occasione della festa dei nonni, che ricorre il 2 ottobre, giorno in cui la Chiesa ricorda gli Angeli Custodi. Ramonda, tra i sostenitori dell’appello lanciato il 20 maggio scorso dalla Comunità di Sant’Egidio “Senza anziani non c’è futuro”, chiede un “sostegno alla domiciliarità tramite un assegno economico alle famiglie che tengono presso di sé i loro cari, una promozione dell’affidamento degli anziani quando non hanno più una rete familiare, un’assistenza sanitaria integrata perché siano curati a casa”. Da anni a Forlì la Comunità di don Benzi ha aperto una “Casa dei nonni”, un luogo familiare in cui durante il giorno gli anziani possono venire a trascorrere il tempo in compagnia di altri anziani e dei volontari. Il nome, “Casa dei nonni”, deriva dal fatto che, “prima del Covid, erano spesso presenti bambini delle scuole elementari, d’infanzia, figli dei volontari. Un luogo – spiega l’Apg23 – in cui le persone, divenute anziane e vedove, possono continuare a stare insieme e trasmettere i loro saperi ai piccoli. Un’esperienza ancor più significativa in questi tempi difficili, in cui gli anziani sono state le principali vittime della pandemia”.
“L’esperienza di aggregazione di anziani è nata in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni, poi ci siamo allargati negli spazi offerti dalla parrocchia di S. Maria Ausiliatrice. Ed è un centro aggregativo intergenerazionale perché oltre agli anziani, almeno fino a prima del Covid, venivano anche i bambini dell’asilo parrocchiale e di altre scuole materne. I più piccoli facevano giochi, i più grandicelli partecipavano a laboratori di cucina e a varie attività con i ‘nonni’ durante tutto l’anno, poi mangiavamo tutti insieme”, ci spiega la coordinatrice della “Casa dei nonni”, Daniela Drei. “La chiamiamo Casa – chiarisce -, ma in realtà è un centro aggregativo diurno, aperto dalle 8,30 alle 17-17,30, che aiuta gli anziani a contrastare la solitudine quotidiana. Noi diamo loro la possibilità di entrare in contatto con altre persone e altre generazioni.
Lo stile è familiare, proprio per farli sentire come a casa.
Inoltre, noi quattro operatori del centro ci siamo resi disponibili ad accogliere a casa, nel fine settimana, dei nonni che ne avessero bisogno, in modo da dare sollievo alla famiglia”. Gli anziani che frequentano la Casa di nonni “in parte sono autosufficienti, altri hanno un inizio di non autosufficienza, soprattutto di Alzheimer, nelle prime fasi. Si tratta, quindi, di persone che non possono più restare a casa da sole, le famiglie spesso non ci sono perché i figli sono lontani o impegnati con il lavoro. Quando il quadro clinico si aggrava, però, non possiamo più accoglierli”. La Casa dei nonni prevede anche un servizio di trasporto: “Alcuni sono accompagnati dai parenti, altri andiamo noi a prenderli”.
Prima del Covid, la Casa poteva ospitare venticinque nonnini, “ora vengono a gruppi e la capienza, per mantenere le distanze di sicurezza, è di dodici. Essendo configurati come circolo parrocchiale, di cui i nonni sono soci, abbiamo potuto riaprire a giugno”. Durante il lockdown gli operatori hanno mantenuto i contatti con gli anziani “attraverso il telefono, ma anche andando a casa di quattro di loro completamente soli, ovviamente con le dovute precauzioni, grazie a un accordo con i servizi sociali”. Daniela aggiunge: “Lo stile che caratterizza l’agire della Comunità Papa Giovanni XXIII è che l’anziano rimanga a casa sua, per questo cerchiamo di supportare il più possibile la famiglia di origine. Soprattutto quando gli anziani hanno Alzheimer le famiglie hanno bisogno di essere sostenute”.
La Casa dei nonni nasce da un’esperienza personale di accoglienza di Daniela, sposata e con tre figli, che ha preso in casa con sé per tre anni un’anziana. Drei ha anche portato avanti con il Comune un progetto di visita agli anziani soli, grazie al quale ha conosciuto parecchie persone. “Insieme a una mia amica dell’Apg23 abbiamo pensato che sarebbe stato bello farli incontrare. Abbiamo iniziato negli spazi della casa famiglia dove vivevo io, accogliendo una decina di persone un paio di volte a settimana. Poi la casa ha avuto problemi strutturali, mentre aumentavano le richieste di persone che volevano venire da noi. Ci ha aiutato il nostro parroco, che ha messo a disposizione i locali del centro diurno parrocchiale che aveva chiuso. La provvidenza trova sempre la strada attraverso la quale agire”.
Dalla sua esperienza, oramai ventennale con gli anziani, Daniela ha tratto la conclusione che “il problema più grosso è la solitudine ma anche la paura di disturbare i familiari. Ho visto tante persone che hanno accettato di andare in una casa di riposo per non essere un peso. D’altra parte, stare tanto tempo soli favorisce il decadimento psicofisico, demenza, depressione, ipocondria. Perciò, lo scopo primario del nostro centro è che gli anziani entrino in relazione tra di loro. Il sentirsi ancora voluti bene e accolti fa desiderare di vivere ancora e a dare un senso alla propria vita”. A maggior ragione, “si avvantaggiano della relazione con i bambini, anche quando non sono consanguinei.
L’essere nonno è la vocazione dell’anziano.
Il benessere è reciproco in questa relazione, sia per gli anziani sia per i piccoli. Il rapporto tra di loro è molto naturale: l’anziano, anche quando non è biologicamente nonno, è molto accogliente, vuole bene e basta, senza chiedere chi sei e che cosa hai fatto prima. E questo lo vediamo chiaramente nella nostra Casa: noi siamo supportati, come volontari, da ragazzi che escono da comunità terapeutiche per tossicodipendenti. Gli anziani non li mettono mai a disagio, non chiedono la loro storia, sono solo felici di vederli. Si crea un ambiente familiare e accogliente”.