Con la caduta dello Stato Pontificio si verificano convivenze positive tra laici e cattolici che concorrono a formare la società civile di Roma. Negli anni la Chiesa ha influenzato la dimensione culturale della città fino a farne una realtà internazionale. Se ne è parlato nel convegno concluso ieri, 24 settembre, in Campidoglio, dal titolo “Roma Capitale: la città laica, la città religiosa (1870-1915)”, promosso dalla Fondazione Camillo Caetani, in collaborazione con la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, il Centro Studi “Roma 800”, l’Istituto Luigi Sturzo, la Società Romana di Storia Patria, con il patrocinio dell’Università di “Tor Vergata”.
Il Convegno ha esaminato, tra l’altro, l’evoluzione dell’atteggiamento dei cattolici all’indomani della breccia di Porta Pia: “un fenomeno”, spiega al Sir Marina Formica, docente di Storia Moderna presso l’Università di “Tor Vergata”, “che ha interessato molte altre città, ma che ha caratterizzato in modo particolare Roma”.
Roma Capitale compie 150 anni. Perché avete dedicato quattro giorni di studio e approfondimento al tema?
Si tratta di una ricorrenza molto importante e significativa, che purtroppo non è stata ricordata adeguatamente non solo dalla cittadinanza, ma anche dal Paese. Per questo abbiamo voluto che il convegno, di carattere internazionale, si tenesse in Campidoglio, per offrire un messaggio alla popolazione e alle Istituzioni. Compresa la scelta di farlo in presenza. Dal punto di vista del metodo volevamo porci come una buona pratica da seguire, anche in tempi difficili come quelli del Covid-19. La sensazione è infatti che la cultura in questo momento stia arrancando. Si sono aperte discoteche, sale bingo, ma gli spazi dedicati ad essa mancano. Noi volevamo, quindi con tutte le precauzioni necessarie, ribadire la sua centralità e il suo ruolo attivo oggi più che mai.Se dovesse fare un bilancio del convegno?
Da un punto di vista storiografico sicuramente positivo perché sono emerse tematiche nuove, che hanno riguardato soprattutto la necessità di esaminare i fenomeni sul lungo periodo evitando le contrapposizioni: Roma italiana, Roma pontificia, Roma laica, Roma religiosa. E poi l’esigenza forte di incidere sulla coscienza non solo dei romani ma degli italiani ricordando il ruolo della storia, come unico strumento per capire il presente e costruire il futuro.
Possiamo dire che Roma dalla breccia di Porta Pia nel 1870 ad oggi ha rappresentato un laboratorio di convivenza tra laici e cattolici?
Sicuramente. Forse in qualche modo lo era anche prima sebbene possa sembrare paradossale. E’ però con la breccia di Porta Pia che si assiste a vere e proprie convivenze miste con tutti gli adattamenti necessari dall’una e dall’altra parte, che vanno a vantaggio della società civile e soprattutto, come ha fatto notare recentemente lo stesso papa Francesco, della comunità cattolica nel suo insieme.
Qual è l’atteggiamento dei cattolici all’indomani della caduta dello Stato Pontificio?
Anche in questo caso sono atteggiamenti frastagliati. Abbiamo esaminato in particolare i comportamenti di diversi gruppi aristocratici. Sappiamo che l’aristocrazia viene divisa in nera e bianca, quella fedele al Papa e quella vicina al nuovo governo. Ma di fatto all’interno degli stessi nuclei familiari ci furono posizioni differenti: ora di adesione ai nuovi dirigenti del Paese, ora di attaccamento alla gerarchia e alla Curia romana.
Il rapporto tra Roma Capitale e la Chiesa, tuttavia, non è stato sempre positivo…
Nei primi tempi fu un rapporto di contrapposizione, almeno a livello ufficiale. Di fatto, però, ci furono situazioni ibride e molto più sfumate. Il Papa, come è noto, non accettò la legge delle guarentigie con cui lo Stato italiano si impegnava a garantirne la figura e parte delle proprietà. Ci fu poi l’emanazione del “Non expedit” che vietò la partecipazione dei cattolici alla vita politica. Tuttavia si crearono delle dinamiche che sfoceranno anni dopo nella fondazione del Partito Popolare italiano fino ai Patti Lateranensi del 1929.
Quanto la Chiesa ha influenzato la dimensione culturale della città?
Credo che sia stata la funzione principale della Chiesa.
Perché se Roma è stata scelta come capitale in virtù del suo essere universale, cosmopolita, è stato proprio grazie a una storia secolare che ne aveva contraddistinto la formazione e l’evoluzione. Roma è una città poco municipale come dissero i protagonisti del governo sabaudo. E questa scarsa localizzazione è stata proprio favorita dalla presenza della Chiesa che ne ha fatto nei secoli una città internazionale. Pensiamo al numero delle ambasciate, delle Corti cardinalizie, ai pellegrini che venivano costantemente per visitarla. Quindi Roma è sempre stata una città multietnica grazie alla Chiesa.
Perché da anni Roma sembra in difficoltà nella gestione civica della città?
La questione è complessa. Certamente i problemi sono innumerevoli, ma quello che si percepisce è l’assenza di un progetto di città. Cioè non si lavora più sui lunghi periodi, e questo vale per Roma ma anche per altre realtà, sebbene per la Capitale sia particolarmente evidente. Una mancanza che ci ha portato a vivere con affanno i problemi del presente. La Chiesa ha invece sempre avuto una sua idea di città investendo in modo importante sulla cultura. Ora tutto ciò manca e la natura di Roma, come capitale culturale che potrebbe essere di grande attualità e modernità nei circuiti geopolitici mondiali, viene appannata proprio da questa scarsa lungimiranza nell’idea di costruzione di una città nuova, più adatta ai tempi. Spetta quindi alla società civile restituirle la sua dimensione.