“Si va verso un ridisegno degli equilibri del sistema politico”. L’analisi di Paolo Pombeni, storico e politologo tra i più autorevoli, guarda avanti, oltre l’impatto immediato della tornata elettorale. E invita a essere prudenti nel valutare le prospettive di medio e lungo periodo.
Professore, l’affluenza alle urne è stata buona nonostante la paura del Covid…
Direi che soprattutto nell’ultima fase il tema del referendum è ‘entrato’. Gli elettori ormai si stanno abituando a essere chiamati per i referendum costituzionali e hanno risposto bene. Comunque siamo a poco più della metà degli aventi diritto, non è stata una partecipazione plebiscitaria e credo che anche senza il Covid l’andamento sarebbe stato analogo.
Ancora una volta le effettive scelte degli elettori hanno spiazzato i sondaggi. Non tanto per quanto riguarda il referendum, poiché il netto successo del Sì era previsto anche se il No sembrava aver compiuto una rimonta più cospicua, ma soprattutto nel voto regionale: in Toscana e in Puglia non c’è stato alcun testa a testa né ribaltone, i candidati del centro-sinistra hanno vinto con distacchi molto netti. Come mai?
Secondo me dipende molto dalla sincerità con cui si risponde alle domande dei sondaggi. Nel referendum si trattano questioni generali e c’è una scelta netta tra il Sì e il No: è più agevole esprimere la propria posizione. Nelle situazioni più complesse come le regionali entrano in campo molti fattori e non sempre gli elettori hanno facilità a dichiarare le loro reali motivazioni. Quindi l’affidabilità dei sondaggi è molto minore.
E lei, si aspettava questi risultati?
Per quanto riguarda la Toscana ero convinto che il centro-sinistra avrebbe tenuto, invece ero molto incerto sulla Puglia. Ma in quella Regione il trasformismo elettorale storicamente tipico del Mezzogiorno è risultato decisivo. Quanto al referendum, pensavo che il No avrebbe ottenuto qualcosa in più. Evidentemente lo spirito anti-parlamentare è presente nel Paese. Non credo, infatti, che molti tra coloro che hanno votato Sì lo abbiano fatto per attivare una stagione di riforme. Penso piuttosto a un’ultima fiammata populista.
L’esito complessivo della tornata elettorale avrà un effetto di stabilizzazione sul governo?
A me pare che il voto abbia stabilizzato soprattutto il potere delle Regioni.
Ha vinto la capacità di governo dei territori.
Hanno vinto quattro governatori in carica che hanno esercitato in maniera molto pugnace il loro ruolo. Mi riferisco a Veneto, Liguria, Campania e Puglia. E anche in Toscana il presidente eletto ha avuto ruoli di vertice nel sistema politico locale. Peraltro si conferma perdente la strategia d’attacco di Salvini a livello regionale: al dunque è un approccio che si scontra con il senso pratico della gente. Mi sembra quindi eccessivo parlare di stabilizzazione sul piano nazionale. Direi invece che si va verso un ridisegno degli equilibri del sistema politico. Tutti i partiti escono provati dal voto, a eccezione forse di Fratelli d’Italia che però non è riuscito ancora a decollare. Nella Lega, come già si accennava, la linea di Salvini ha subìto l’ennesimo colpo. In Veneto c’è stata la grande affermazione di Zaia che, per usare una battuta, si potrebbe definire un vecchio dc veneto in salsa leghista. E anche per Toti in Liguria vale qualcosa di analogo. Forza Italia ha ricevuto un colpo fortissimo perché in molte situazioni è emersa la sua irrilevanza. Il M5S esce a pezzi dal voto, con il problema ulteriore che dov’è andato meno peggio lo ha fatto con una campagna dai toni vetero-grillini. L’illusione di Renzi di creare la gamba di centro del centro-sinistra si è dissolta come neve al sole. Lo stesso Pd, che pure indubbiamente ha registrato un successo rispetto alle aspettative, ha almeno due problemi.
Quali?
In due delle tre Regioni in cui si è affermato il centro-sinistra, a ben vedere, hanno vinto in concreto dei leader locali che con il partito nazionale hanno un rapporto problematico, per usare un eufemismo. E poi viene messo in discussione il rapporto con il M5S che, stante anche il risultato elettorale, potrà essere consolidato soltanto se i grillini accetteranno di andare in qualche modo al traino del partito più strutturato e dotato di una classe dirigente. Ma i grillini reagiranno a questa prospettiva e ciò creerà difficoltà alla maggioranza. Ecco perché sono scettico sulla stabilizzazione.
Anche nel breve periodo?
Nel brevissimo periodo ipotizzare una certa stabilizzazione è ragionevole. Ma stiamo parlando di un paio di mesi, tanto per dare un’idea. In un periodo più lungo tutto diventa più complicato. Basti pensare che la gestione dei fondi europei riaccenderà la competizione tra i partiti e nella maggioranza non sarà facile trovare un equilibrio, con un M5S che ha subìto una batosta, un Pd in fase di rilancio e Italia viva che vorrà dimostrare di contare ancora. Un ulteriore fattore destabilizzante è rappresentato dalla riforma elettorale. È vero che può essere rinviata perché tanto nell’immediato non si andrà a elezioni politiche. È vero che, se pure dovesse accadere, con un triplo salto mortale si potrebbe andare a votare anche senza riforma elettorale. Ma almeno a livello di dibattito il tema non sarà eludibile e creerà tensioni tra i partiti della maggioranza, compreso Leu. E poi non va dimenticato che viviamo in tempi turbolenti e, tra virus e crisi economica, possono accadere tante cose che oggi non sono prevedibili.