Il cinema italiano debutta in gara, al terzo giorno della 77ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, con “Padrenostro” di Claudio Noce, prodotto e interpretato da Pierfrancesco Favino, un dramma familiare sullo sfondo degli anni di piombo con richiami alla storia del regista. Sempre in competizione oggi, 4 settembre, c’è l’indiano “The Disciple” di Chaitanya Tamhane, un racconto di formazione che intreccia tradizione musicale e fotografia sociale del Paese. Fuori gara c’è la commedia brillante “The Duke” di Roger Michell con due protagonisti maiuscoli, i britannici Jim Broadbent e Helen Mirren. E per loro non pochi applausi alla proiezione stampa. Ecco il punto su Venezia77 direttamente dal Lido con la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) e l’agenzia Sir.
“Padrenostro”
Al suo terzo lungometraggio (suo è “La foresta di ghiaccio”, 2014) e con incursioni anche nella serialità televisiva, Claudio Noce porta al Lido una storia personale, che attinge alle pagine più intime della propria famiglia. È “Padrenostro”, un dramma che esplora il clima degli anni di piombo a Roma, esattamente l’anno 1976, quando il padre rimane ferito in un attentato terroristico. Prendendo le mosse dunque da tale avvenimento, il regista ritorna liberamente sulla storia raccontandola nella prospettiva di un bambino di dieci anni, Valerio (Mattia Garaci), chiamato a confrontarsi con l’irruzione della violenza nel proprio mondo. Accanto a lui un amico inaspettato, il quattordicenne Christian (Francesco Gheghi), con il quale vive giornate avventurose. “Indubbio punto di forza del film – indica Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e giurato del premio cattolico SIGNIS a Venezia77 – è l’interpretazione di Pierfrancesco Favino, nel ruolo del padre Alfonso Noce. Anche questa volta Favino mette a segno un ruolo di grande vigore e realismo, che imprime slancio e fluidità a un’opera che deve fare i conti con una sceneggiatura zoppicante e non priva di buchi narrativi. Partendo, infatti, da buone intenzioni, mostrare la durezza degli anni di piombo attraverso l’innocenza dell’infanzia (molto spontaneo il giovanissimo Mattia Garaci), il film perde però di compattezza e inevitabilmente di intensità”.
“Sulle prime ricorda il film ‘Io non ho paura’ di Gabriele Salvatores – afferma Sergio Perugini, segretario della Cnvf e ugualmente giurato Signis alla Mostra – lo sbocciare di un’amicizia tra due preadolescenti su un terreno impervio, spingendo i toni del dramma verso i confini della ‘favola’ dalle ricadute sociali. Il film di Noce, ‘Padrenostro’, segue in parte questo tracciato, attingendo al vissuto del regista, e la messa in scena iniziale risulta notevole e coinvolgente, soprattutto per il grande lavoro che l’autore fa con i giovani interpreti. Nel corso della narrazione però qualcosa scappa di mano, mancano i necessari ancoraggi nella struttura della storia, che sbanda in maniera confusa tra realtà e fantasia. Neppure la la prova di grande convinzione di Favino permette di condurre in porto adeguatamente il film che perde pathos sul finale”. Dal punto di vista pastorale il film “Padrenostro” è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“The Disciple”
Indiano classe 1987, il regista-sceneggiatore Chaitanya Tamhane arriva in concorso a Venezia77 con un’opera intrigante e insolita, che mette a tema la tradizione musicale locale e il racconto della vita nella Mumbai di oggi. Protagonista è il ventenne Sharad Nerulkar che sogna di diventare un esponente della musica classica indiana; questo gli impone una vita nel segno della disciplina e delle rinunce, del tutto solitaria. Quando, dopo anni, non vede arrivare i risultati sperati, con non poca fatica traccia un bilancio della propria esistenza e prova a rimettersi in gioco.
“Non c’è dubbio – sottolinea sempre Massimo Giraldi – che la regia di Tamhane arrivi a Venezia77 con originalità e forte personalità. L’opera conduce lo spettatore alla scoperta della musica, ma soprattutto, della cultura tradizionale indiana, mettendone in luce miti, leggende come pure il conflitto con lo scenario contemporaneo. Tamhane confeziona una storia di grande suggestione, dove la musica è uno degli interpreti principali in campo; si lascia andare anche a numerose sequenze di concerti, per favorire l’immersione nel clima culturale, sfidando lungaggini o soluzioni più convenzionali”.
“È una poetica riflessione sul ruolo dell’artista nell’India di oggi – puntualizza Sergio Perugini –, coniugando passione e rigore personale con i cambiamenti del mondo musicale ai tempi dei talent show. Di questo tratta il film ‘The Disciple’, il cui aspetto forse più interessante, insieme alla componente musicale, è il cammino formativo-esistenziale del protagonista: a venticinque anni il suo desiderio di emergere è solido, ai limiti dell’ossessione; andando avanti nella vita, però, il giovane è chiamato a fare i conti con la realtà, il bisogno di relazioni e di costruirsi un tessuto di affetti. Nell’insieme il film affascina per queste atmosfere insolite, per questo ritmo contemplativo che ammanta la narrazione (anche se a volte irrompono improvvise fratture di armonia); è da lodare di certo un coraggio produttivo, quasi provocatorio con le vorticose regole del mercato audiovisivo odierno”. Dal punto di vista pastorale, il film “The Disciple” è da valutare come consigliabile, poetico e per dibattiti, con un’accortezza per i minori per alcuni passaggi.
“The Duke”
La nuova commedia del britannico Roger Michell (tra i suoi film più noti “Notting Hill”, 1999), “The Duke”, passa fuori concorso a Venezia77 e fa il pieno di consensi. Prendendo le mosse da un fatto di cronaca nella Londra di inizio anni ’60, il furto del ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery, l’opera racconta della battaglia sociale del tassista Kempton Bunton a favore degli anziani e dei veterani di guerra, affinché venga concesso loro di non pagare la tassa televisiva. “Jim Broadbent ed Helen Mirren sono (come sempre) superlativi – indicano così Giraldi e Perugini – Elemento trainante di questa riuscita commedia inglese è senza dubbio la loro interpretazione dei coniugi Bunton, capaci coniugare toni esilaranti, ironici, come pure raccordi drammatici. Michell sa fare bene, e molto, il suo lavoro, con una regia presente e convincente, calibrando tempi comici con puntualizzazioni storiche e uno sguardo realistico senza tempo. Il film, infatti, al di là di essere una commedia godibile offre un chiaro spaccato sociale, un invito alla coesione e solidarietà reciproca: il bisogno di essere prossimi, comunità, non isole”. Dal punto di vista pastorale “The Duke” è senza dubbio consigliabile, brillante e adatto per dibattiti.