Da un lato il successo del negoziato europeo che apre prospettive inedite e irripetibili per il nostro Paese e per tutta l’Unione. Dall’altro i dati drammatici sull’occupazione – flagellata dagli effetti della pandemia – che l’Istat continua a snocciolare nell’assolvimento del suo compito istituzionale. Oggi la politica italiana si trova all’interno di questi due poli ed è chiamata a dare risposte all’altezza della sfida. La sintesi è nelle parole del presidente Mattarella fatte filtrare nei giorni scorsi dal Quirinale: “Apprezzamento e soddisfazione per l’importante esito del Consiglio Europeo, che rafforza il ruolo dell’Unione e contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”.
Il punto è che il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione non potranno durare all’infinito ed è assolutamente necessario che quando essi si esauriranno siano già operativi i primi investimenti previsti dal programma, magari quelli che aspettano soltanto di essere sbloccati e sono già “cantierabili”, come si dice in gergo.
Dovrebbe essere il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae) l’organismo governativo deputato a mettere a punto il piano italiano. Ma c’è una forte spinta a istituire un’interfaccia parlamentare dell’esecutivo per un’operazione che ha una portata epocale e segnerà nel bene o nel male il futuro dell’Italia per i prossimi dieci anni (se non di più). Una commissione parlamentare ad hoc sarebbe anche il modo di coinvolgere le opposizioni senza andare a toccare i già delicati equilibri del Governo.
Come pure appare utile e doveroso coinvolgere il Parlamento nella delicata questione della proroga dello stato d’emergenza fino al 31 ottobre. Proroga che ha delle motivazioni oggettivamente consistenti, ma che dev’essere ben articolata nel rispetto di criteri e vincoli giuridici.
La volontà collaborativa delle forze politiche sarà presto messa alla prova perché il 29 giugno si voterà sulla richiesta del Governo di un’ulteriore scostamento di bilancio pari a 25 miliardi, necessari per poter finanziare soprattutto il prolungamento degli ammortizzatori sociali. Un voto che richiede la maggioranza assoluta dei membri di ciascun ramo del Parlamento e al Senato la maggioranza potrebbe non avere i numeri, dopo i continui cambi di casacca di questi mesi. Se si pensa che il giorno dopo l’assemblea di Palazzo Madama dovrà esprimersi anche sull’autorizzazione del processo a Salvini per il caso Open Arms, c’è da avere i brividi.
Il quadro politico continua a mostrarsi precario ed è sempre più chiaro che il problema non è il presidente del Consiglio: Giuseppe Conte esce indubbiamente rafforzato dal negoziato europeo. Sono piuttosto le ambiguità delle forze politiche – in un sistema parlamentare come quello italiano – a rendere incerte le prossime tappe. Tanto più avendo sullo sfondo l’appuntamento elettorale di fine settembre, tra voto regionale e referendum sul taglio dei parlamentari. Neanche l’accordo di Bruxelles – un evento di cui forse non si è compresa fino in fondo la rilevanza epocale – è servito almeno per ora a razionalizzare la situazione. E sì che è risultata a tutti chiara la messa in “fuorigioco” dei sovranisti. Se l’Italia avesse avuto un governo a guida sovranista – lo ha indirettamente ammesso lo stesso Salvini – mai e poi mai avrebbe potuto ottenere quel che ha ottenuto.
La questione europea è diventata dirimente, quasi come la questione atlantica nel dopoguerra.
Eppure, pochi giorni dopo l’accordo, nell’Europarlamento M5S, Lega e FdI si sono ritrovate a votare insieme una mozione contro il Mes che aveva un senso fondamentalmente anti-europeista.
Sull’Europa il centro-destra è diviso in tre, con Forza Italia pienamente integrata nella maggioranza che sostiene la Commissione europea, la Lega che continua a ripetere i suoi slogan contro l’Unione e FdI che, dopo l’accordo e il risultato italiano, è sembrata voler abbandonare i toni più oltranzisti. Ma anche la maggioranza appare divisa, con il M5S tenacemente contrario al Mes, il fondo salva-Stati che fa parte del pacchetto europeo di rilancio.
Tra i partiti che sostengono il Governo sussistono anche altri motivi di tensione, come la legge elettorale. In questo caso è stata Italia Viva a smentire l’accordo che era stato siglato a suo tempo. Certo, oggi il tema non è in cima alle preoccupazioni degli italiani, ma nella prospettiva del taglio di deputati e senatori diventa cruciale per assicurare una rappresentanza parlamentare democraticamente ragionevole.