Mascherine e veli in testa per le donne, bandierine azzurre di benvenuto e ingresso gioioso nella mensa dei poveri di via Dandolo della Comunità di Sant’Egidio, a Roma. Con due ore e mezza di ritardo rispetto al previsto per via delle misure di controllo della pandemia a Fiumicino. Ma sani, salvi e in salute. Un ritardo inconsistente agli occhi di chi ha dovuto trascorrere anni in fuga, dall’Afghanistan fino all’isola di Lesbo, in Grecia, definita da tutti “l’inferno d’Europa”. Qui migliaia di rifugiati sono bloccati nei campi per anni senza un futuro, in condizioni a dir poco disumane. Questi quattro nuclei familiari, 10 afghani tra cui due bambini, riescono ad intravedere oggi una speranza grazie ai corridoi umanitari organizzati dall’Elemosineria Apostolica insieme alla Comunità di Sant’Egidio, con la collaborazione dei governi italiano e greco. Dovevano partire a dicembre, ma il Covid-19 e le chiusure delle frontiere hanno procrastinato tutto. Si tratta dell’ultimo gruppo di profughi che Papa Francesco ha voluto portare in salvezza, che si aggiungono ai 57 già venuti in Italia, con diversi viaggi. Il primo è stato il il 16 aprile 2016 nello stesso aereo con cui il Papa è tornato a Roma dalla sua storica visita a Lesbo. “Oggi è la prima porta che si apre dopo il lockdown”, ha detto il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, accogliendoli nei locali della mensa dei poveri nel cuore di Trastevere. Con il sistema dei corridoi umanitari sono giunti finora in Europa oltre 3 mila profughi dal Medio Oriente e dall’Africa. Tutto questo mentre nelle aule parlamentari sembra che si stiano smuovendo le coscienze sulle tragedie dei migranti. Dopo le foto agghiaccianti del corpo annegato nel Mediterraneo che nessuno recupera, 22 deputati della maggioranza hanno votato una risoluzione trasversale che esprime contrarietà agli accordi dell’Italia con Tripoli.
“I rifugiati hanno bisogno di aiuto da parte di tutto il mondo!”: è l’accorato appello di Razieh Gholami, rifugiata afgana arrivata in Italia insieme al marito e a due bambini, dopo due anni passati in Grecia. Razieh ha donato un suo dipinto ai volontari della Comunità di Sant’Egidio, che ha definito “angeli custodi”. “Viviamo in un secolo in cui scienza e tecnologia hanno fatto passi da gigante e gli esseri umani hanno avuto la capacità di costruire i robot e la bomba atomica. Ma l’umanità e l’amore verso gli esseri umani sono progrediti?”, si è chiesto la giovane mamma, ricordando che chi è fuggito, come loro da Paesi in guerra o persecuzioni, sta cercando”sicurezza e una vita migliore”. “I rifugiati che si trovano a Moria – ha raccontato -, vivono in una situazione difficile e spaventosa: non hanno i diritti fondamentali, quelli necessari per vivere, sono depressi, senza speranza, non hanno il modo né di tornare né di andare avanti!” Perciò si è chiesta, in un grido sussurrato: “Se e ci fossero profeti divini in questo secolo, cosa direbbero alle persone di fede?
L’umanità è morta in questo mondo?”
Ora che è in un posto tranquillo e migliore ha voluto dedicare il dipinto a chi è sempre pronto “ad aiutare le persone disperate”.