La Corte costituzionale ha bocciato una delle norme più controverse del primo “decreto sicurezza”, il provvedimento varato nel 2018 dal governo giallo-verde e uno dei cavalli di battaglia dell’allora ministro dell’Interno Salvini. La norma è quella che preclude l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo, rispetto alla quale i tribunali di Milano, Ancona e Salerno avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. Il comunicato di quest’ultima, in attesa del deposito della sentenza, informa che la decisione è stata presa “per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”.
L’articolo 3 della Costituzione recita che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo, dunque, è il principio che la Corte ha ritenuto violato nella norma del “decreto sicurezza”. Sul secondo dei due profili evidenziati dal comunicato, quello della “irragionevole disparità di trattamento”, non c’è molto da commentare: le leggi possono ovviamente prevedere trattamenti differenziati tra le persone, ma devono essere “ragionevoli”, non aprioristici. La norma cassata dalla Consulta appariva come una norma anti-immigrati e basta. Il primo profilo, invece, sollecita una riflessione ulteriore perché la decisione della Corte intercetta lo stesso ordine di argomentazioni avanzate da osservatori ed esponenti della società civile critici nei confronti dei decreti Salvini. “La norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza”, si legge nel comunicato. Qui sta la sua “irrazionalità intrinseca”. La Consulta naturalmente si riferisce alla norma specifica su cui era stata chiamata a pronunciarsi, ma in sede di commento la sua argomentazione si può estendere al senso complessivo dei decreti in questione.
Se si ricacciano nella clandestinità gli immigrati, altro che sicurezza.
Si alimenta invece un bacino in cui possono pescare le organizzazioni criminali di ogni natura.
La sentenza della Corte costituzionale è giunta nel momento in cui si stava finalmente ponendo mano a una revisione del sistema introdotto dai decreti Salvini. Revisione rallentata in modo esasperante dalle divisioni nella maggioranza, con il M5S che non vuole smentire platealmente i provvedimenti che ha contribuito ad approvare, e le opposizioni “sovraniste” pronte a riattizzare il fuoco della propaganda tutte le volte che si prova a parlare ragionevolmente di immigrazione.
Qualcosa di simile era avvenuto il giorno prima, quando la Corte – che ha i suoi tempi e non rincorre certo le manovre politiche quotidiane, pur non operando negli spazi siderali – era intervenuta su una vicenda collegata a un altro tema da molto tempo al centro del dibattito pubblico, quello del ponte Morandi e delle concessioni autostradali. In risposta ai quesiti sollevati dal Tar della Liguria a proposito del “decreto Genova” del 2018, la Consulta “ha ritenuto non fondate le questioni relative all’esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione”. E ciò in quanto “la decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso”.
È confortante, per i cittadini, registrare come gli organi di garanzia siano operativi con efficacia e autorevolezza per la tutela di tutti e di ciascuno. La Corte costituzionale, come nel suo ruolo precipuo la Presidenza della Repubblica, rappresentano un baluardo della nostra democrazia che dobbiamo tenerci stretto. Ma la politica deve porsi con estrema serietà una domanda sui tempi delle sue decisioni, che a volte sono importanti quasi quanto i loro contenuti.